È stato deciso di rappresentare l’hashtag“#Vivi” con questa foto, perché esprime appieno tanto il significato del tema in sé, quanto l’operato dell’Epicentro Giovanile, il gruppo giovani della diocesi di San Severo di cui faccio parte: quello “interno” dal 1993 e quello missionario dal 1996.

Non è possibile sostenersi fedeli se la nostra fede è passiva, poiché eludiamo così un fondamento cardine della cristianità, quale quello dell’amore verso il prossimo. Ciò è stato ben assimilato dall’Epicentro che, sin dalla sua fondazione, ha cercato di vivere in prima persona, e con tutti i suoi ragazzi, finanche le situazioni di disagio in cui versavano gli ultimi, al fine di far apprendere le diversità del mondo e, pertanto, vedere il tutto sempre da diverse prospettive.

Uno dei traguardi di questo obiettivo riguarda le piccole esperienze di missione che don Nico ci permette di vivere. Infatti, più o meno ogni due anni, nel periodo natalizio, alcuni ragazzi dell’Epicentro partono verso la missione diocesana nel Benin del Nord, a Cotiackou, dove possono conoscere l’operato dei parroci e soprattutto la vita di missione e della gente del posto, ossia di coloro che consideriamo gli ultimi.

Esempio lampante di ciò è la fotografia candidata al contest. Racconta del viaggio in Benin del 2013, al quale partecipò anche Matteo Ferrero, il nostro Segretario regionale Puglia. L’ultimo viaggio si è tenuto nel periodo natalizio del 2018. In questo viaggio partii anch’io assieme ad altri tre ragazzi. L’esperienza è stata per noi una buona maestra, poiché guardando e vivendo, anche se marginalmente, le situazioni di disagio in cui versava la maggior parte degli abitanti, abbiamo compreso concretamente quelle che furono le parole dello scrittore Antoine de Saint- Exupéry nella celebre opera “Il piccolo principe” che diceva: «L’essenziale è invisibile agli occhi». Infatti, quel che più ci colpì del viaggio fu il sentito “culto” del prossimo. Con ciò voglio intendere l’importanza che gli abitanti, specialmente quelli dei villaggi, davano all’accoglienza dell’ospite.

Questo “fenomeno” ci è piaciuto chiamarlo “Le galline di Kayarika”, poiché successivamente ad una messa tenutasi nella cappellina del luogo, a Kayarika, come dono per la nostra presenza, ci furono date ben due galline.

La situazione ci fece riflettere molto nel tragitto di ritorno considerando che la carne, in quei luoghi, è considerata cibo di festa, per cui non consumabile ordinariamente.

Pertanto risuonava strano il fatto che una piccola popolazione povera donasse due ricchezze ad un gruppetto di persone bianche, sicuramente più ricche di loro.

Ma l’accoglienza non si traduce solo materialmente. Per questo mi pare doveroso raccontare un altro ricordo.

A seguito di una messa, accadde una cosa alquanto buffa. Era la prima mattina nel villaggio, era presto e al termine della messa mi trovavo a scambiare due chiacchiere con un uomo del posto, che parlava francese, quando d’un tratto iniziano a salutarmi in lingua locale, ossia il “wama ”, due anziane signore del villaggio, sicuramente mosse dalla curiosità perché non mi avevano mai incontrato prima.

Ciò che differenziò la mia concezione di accoglienza fu la considerazione di chi mi trovavo dinanzi. Vale a dire: chi di noi si sarebbe subito seccato se uno straniero non avesse capito la nostra lingua? Eppure, invece di arrabbiarsi, le due signore iniziarono a ridere assieme a me, e non di me, poiché mi risultava difficile capire cosa dicessero e, pertanto, non riuscivo a rispondere, se non grazie all’aiuto di don Nico che aveva compreso la situazione.

Mi farebbe piacere parlare anche dell’ottimo operato condotto dalla Chiesa locale: essa, infatti, porta a termine con avanguardia attività delle quali non si è minimamente informati nonostante la loro notevole importanza. Ad esempio, un nostro connazionale, fra Fiorenzo, gestisce un ospedale nella vicina Tanquietà. Qui, spesso anche da solo, porta a termine molti interventi contemporaneamente; qui è riuscito ad utilizzare l’intelletto con creatività, ossia è stato capace di coniugare il suo sapere scientifico con le credenze popolari dei locali stregoni, in modo tale da convincere anche le persone più scettiche a farsi curare da un medico specializzato.

In conclusione, nessun libro millenario potrà mai comprendere le situazioni di ciascuno, se non qualcuno che, anche per un secondo, le vive insieme a noi. Questo per far comprendere il significato della nostra foto in cui un ragazzo corre e si diverte assieme ad altri ragazzi, che seppur diversi da lui, in quel momento vivono le stesse emozioni.

 

Nicola Cota