C’è molta speranza in Africa, e anche in Italia, attorno alla liberazione di padre Gigi Maccalli, il missionario della Società Missioni Africane, rapito il 17 settembre di due anni fa in Niger.

Nella diocesi di Crema (quella di provenienza del missionario), come ogni 17 del mese, anche stavolta si sono svolte processioni e preghiere per la sua liberazione.

Ma c’è qualcosa di diverso ora: una speranza in più che si fa mano a mano più tangibile, stando anche al cauto ottimismo manifestato dai confratelli di Gigi Maccalli. In particolar modo padre Mauro Armanino, che abbiamo sentito al telefono da Niamey pochi giorni fa, ci ha parlato di un clima di grande fiducia. «Non ne sappiamo molto, ma la voce è che ci siano delle trattative in corso, e un dialogo costante, tra il vescovo della diocesi di Niamey e le autorità locali per Gigi».

Padre Mauro ci parla di una «responsabilità grande che il vescovo Djalwana Laurent Lompo sente di avere» e conferma che non ha mai mollato, mai allentato l’attenzione su padre Maccalli.

E’ anche una benedizione il fatto che il vescovo sia un sacerdote del luogo, che senta «forte il suo ruolo di protezione e che abbia tanto sofferto» per il rapimento del missionario.

«Questa rimane per lui una ferita aperta», dice padre Mauro. In una lettera indirizzata proprio al confratello-amico, padre Armanino scrive: «Era notte quando ti hanno portato via e da allora sono passati due anni di tenebre solo interrotte da un breve messaggio video il 24 marzo scorso, primo e per ora unico segno di vita.

Ci sono state testimonianze, racconti, ipotesi, ricerche e forse trattative, sappiamo poco di tutto questo». Ma chi è padre Gigi? E che cosa ha lasciato nella diocesi africana nella quale stava svolgendo una missione tanto amata dalle persone del luogo?

E’ ancora Armanino a chiarire: «Portavi sempre notizie dal profondo, dai poveri contadini e delle piccole e fragili speranze che cercavi di condividere attraverso progetti di attento umanesimo integrale».

La figura che emerge è quella di un missionario a strettissimo contatto con il popolo, tanto da divenire uno di loro. Era un infaticabile animatore di comunità amato dai bambini.

Ed è proprio dalla ricostruzione che Armanino fa delle ultime ore prima del rapimento, che è possibile trovare la chiave di volta del dramma.

«L’ ambasciatore ci aveva offerto quella che sarebbe stata l’ultima nostra cena prima del dramma – scrive – In quella cena c’erano tutti. I poveri, i bambini dei quali ti occupavi, la piccola deceduta al ‘Bambin Gesù’ di Roma in un disperato tentativo di salvarla; gli animatori, le famiglie, i giovani che aiutavi, assieme ad altri, per continuare gli studi o la formazione professionale. Forse c’era tra loro anche un Giuda. C’è sempre da qualche parte qualcuno che tradisce gli amici, che avrebbe informato, coscientemente o meno, i rapitori sul tuo ritorno e le tue abitudini serali».

Andiamo indietro fino a quel 17 settembre del 2018: padre Maccalli quella sera attorno alle 22 era a casa nell’adiacente parrocchia, a 125 chilometri da Niamey quando è stato sorpreso da un gruppetto (le ricostruzioni dicono otto persone) di “banditi” che hanno bussato alla porta, lo hanno prelevato e portato via in moto, verso il confine col Burkina, secondo alcuni testimoni.

Non prima d’aver sparato in aria, a mo’ di fuori legge. In una casa vicina c’era anche padre John Arokiya Dass intervistato dal corrispondente a Niamey diVoa Afrique (la versione africana di Voice of America).

«Quel lunedì mi sono addormentato attorno alle 21.30 ma tra le 21.30 e le 22 ho sentito dei rumori – così racconta padre John – e ho pensato che alcune persone del villaggio fossero venute per un caso di possessione! Sentivo tutto quel rumore… Padre Pierluigi è uscito per vedere chi fosse e m’ha detto: “Esci, esci!”». «Hanno sfondato la porta e se lo sono portato via», ha confermato Thomas Codjiovi, responsabile della comunicazione della missione cattolica in Niger.

I media locali continuano ad interessarsi del caso, se non altro perché questo rapimento fa parte di una serie di episodi violenti e ravvicinati che inquietano le popolazioni nigerine e burkinabè.

Le vittime sono spesso civili inermi. Rfi Afrique, versione africana on line della radio francese Rfi, titolava: “Niger: la difficile riconversione di Agadez”.

Aspettando con ansia il ritorno di padre Maccalli non dimentichiamoci che il contesto sociale e politico del suo rapimento è quello di un paese africano dove tutto manca e dove l’illegalità è la norma e l’insicurezza e la paura sono una costante.