Non importa se arrivi da Quito o da Guayaquill, perché le ore di automobile per raggiungere Esmeraldas sono sempre tante. Ma il tempo passa tra una parola e l’altra, tra uno sguardo che si perde all’orizzonte, e al pensiero di quanta vita anche oggi incontrerò. Mi accompagna Massimo, un giovane laico fidei donum che con la moglie Silvia sta dedicando due anni alla missione, assieme ai loro figli. Ci stiamo inoltrando verso il Nord dell’Ecuador, a ridosso della frontiera con la Colombia, sulla Costa del Pacifico, nel vicariato di Esmeraldas. È qui che incontro padre Ottorino Poletto, un gigante di uomo. Infatti i miei occhi devono salire parecchio prima di incontrare il suo grande sorriso, i suoi due metri di altezza però non incutono paura. È un padre Comboniano e assieme ad altri confratelli opera in una delle tre parrocchie della città di San Lorenzo. Il caldo torrido della costa del Pacifico si sente addosso, lo respiri, qui non c’è da rompere il ghiaccio per iniziare il racconto.
Padre Ottorino parte da lontano, dal 1980. «E’ il terzo “servizio missionario” che mi viene affidato dopo la mia partenza dall’Italia, 38 anni fa.
Il primo “servizio” durato otto anni, lo vissi come fidei donum di Padova, sempre in Ecuador, nella diocesi di Tulcan, sulla Sierra. Fu un’esperienza molto ricca che mi permise di capire che la mia vocazione missionaria non era ad tempus bensì ad vitam. Questa scoperta mi portò alla decisione di far parte dei missionari Comboniani, nel desiderio di dedicare il resto della mia vita alla missione, in un contesto spirituale e organizzativo più appropriato e di preferenza in situazioni sociali particolarmente esigenti. Questa maturazione nella mia vocazione missionaria mi aprì mente e cuore per dedicarmi a piene mani al “secondo servizio” missionario di 24 anni, vissuto in Mozambico, nella zona Sud della diocesi di Beira».
Vangelo e promozione umana
Dal Sud America all’Africa, poi ancora in Ecuador. Il suo racconto è un fiume di incontri e vicende, è un libro aperto sulle scoperte che la vita gli ha offerto ed è un abbraccio totalizzante ad ogni umanità incontrata: «Considero il periodo africano quello centrale della mia vita. In un contesto sociale di guerriglia, povertà, abbandono, calamità naturali, ebbi modo di dedicarmi all’attività pastorale e insieme alla promozione sociale delle categorie più fragili. Sull’esempio di Gesù, anche per me l’annuncio del Vangelo era una chiamata alla conversione per tutti, e insieme un’esigenza di migliorare le condizioni di vita della gente. In altre parole, l’evangelizzazione era promozione integrale della persone. Nacquero molte piccole comunità cristiane nei villaggi e sorsero opere sociali e progetti per la formazione dei giovani, l’assistenza dei malati e il miglioramento delle condizioni di vita della gente».
Incalzo padre Ottorino per approfondire che cosa l’ha portato al contatto concreto con una terra, col quotidiano della gente. Cosa gli ha svelato l’aver trascorso quasi una vita in missione? «In questi anni – risponde – ho capito che la fede è il tesoro che dà serenità e coraggio nella vita e quando annuncio il Vangelo sento che la mia fede cresce e mi riempie di gioia. Ho avuto pure la chiara esperienza che ogni persona e ogni popolo hanno il diritto di sapere che Dio li ama e, anche se spesso sembrano indifferenti, in realtà mostrano con segni diversi la necessità di questo amore. Il Signore ci chiama a spendere tutte le nostre energie per facilitare l’incontro delle persone con Lui, ma la fede è solo un suo dono. Le differenze di storia e cultura tra Ecuador e Mozambico sono grandi, ma le esigenze del cuore di ogni popolo, anche dal punto di vista religioso, sono le stesse. A 67 anni posso dire che la fede ha dato un senso alla mia vita: il fatto di annunciarla mi riempie il cuore e mi ha permesso di sentirmi utile alla gente che la Provvidenza mi ha dato di incontrare».
Con i poveri di Esmeraldas
Mi spiace interrompere la vivacità delle sue parole, perché l’esperienza di padre Poletto è molto significativa, mi comunica un colore di una fede molto intensa e delicata, allo stesso momento. Gli chiedo quale pastorale quotidiana si vive in particolare nel vicariato di Esmeraldas e come si può coniugare con la Chiesa “in uscita” che papa Francesco desidera tanto. «Esmeraldas – riprende – è un vicariato assai vivace dal punto di vista pastorale. Benché non possa contare su una tradizione secolare e ben consolidata, relativamente alla religiosità popolare, alla ricezione dei sacramenti, alla visione cristiana della famiglia, come in gran parte delle diocesi della Sierra, Esmeraldas si presenta come una Chiesa viva, ricca di iniziative e proposte nel campo dell’evangelizzazione e della formazione, con una forte presenza nel settore educativo. Infatti, in quasi in tutte le parrocchie, il vicariato gestisce scuole e collegi di vari indirizzi e livelli a cui si aggiunge l’Università Cattolica dell’Ecuador che ha una sua sede prestigiosa anche in Esmeraldas. Ci sono poi molte iniziative e progetti nel campo della promozione sociale, nel settore sanitario, nella difesa dell’ambiente, nella lotta alla droga, nell’assistenza ai carcerati, nel campo delle comunicazioni (come la radio diocesana Antena libre). Una cosa è chiara: la gente sente che, nonostante limiti e difetti, la Chiesa è dalla sua parte e in particolare dalla parte dei poveri. Anche se i preti sono pochi e i laici impegnati dovrebbero essere più numerosi e occupare maggiori spazi, non possiamo negare che Esmeraldas sia realmente una Chiesa “in uscita”».
La Chiesa che mi fa respirare padre Ottorino è concreta, è in uscita, è sulla strada, è dentro alle esistenze umane più difficili. Capisco dal suo racconto che il territorio di San Lorenzo in questi mesi sta vivendo una situazione sociale assai difficile. Da decenni c’è assenza di iniziative e controllo da parte del Governo. Tutti sanno che si tratta di una zona di intenso traffico di droga (soprattutto cocaina) che si coltiva in abbondanza nella zona Sud della Colombia, dove chi realmente gestisce il potere e le attività economiche della gente non è il governo colombiano ma i guerriglieri dissidenti delle Farc che non condividono l’Accordo di Pace firmato lo scorso anno.
«Negli ultimi mesi – spiega il missionario – la situazione è diventata drammatica per l’esplosione in varie zone di bombe anche di notevole potenza, con lo scoppio di un ordigno a Mataje che provocò la morte di quattro militari, il sequestro nella stessa località di tre giornalisti, barbaramente uccisi pochi giorni dopo. Tutto questo naturalmente ha messo in allarme il Paese e il governo e ha militarizzato tutta la zona di frontiera.
La Chiesa e i missionari non hanno abbandonato il campo ma hanno assicurato in modi diversi solidarietà, condivisione e vicinanza alla gente.
Non si sa cosa potrà succedere nel futuro. Si vive una situazione di grande incertezza».
I doni dello Spirito
Padre Poletto vive sulla sua pelle questa realtà, le parole vibrano nella stanza dove ci troviamo. Rompo il suo racconto che mi apre un mondo inaspettato, chiedendo come vede dal suo osservatorio e dalla sua lunga esperienza la missio ad gentes oggi in Italia e nelle nostre diocesi. Risponde: «Tutto ciò che è ad gentes e apertura e collaborazione con altre Chiese, è grazia di Dio. È fondamentale che nell’invio di preti fidei donum ci sia una vera apertura ai doni dello Spirito. Ci sono preti che vivono con gioia il loro servizio ad altre Chiese e poi tornano arricchiti e si rimettono al servizio della loro Chiesa di origine. E’ un grande dono dello Spirito. Ma c’è anche chi, e lo dico per esperienza, partendo come fidei donum si apre ad un servizio missionario ad vitam che potrà essere vissuto sempre da fidei donum o entrando in una congregazione missionaria. Anche queste due possibilità sono da considerarsi doni dello Spirito. E’ perciò fondamentale che ogni missionario al servizio di altre Chiese si senta accompagnato e sostenuto nel discernimento della volontà di Dio sulla sua vita. Nel mio caso partii 38 anni fa da fidei donum con l’assoluta certezza che sarei rientrato in diocesi e invece, vivendo il servizio missionario, ebbi modo di scoprire che il Signore mi chiedeva non solo alcuni anni ma il resto della vita e così entrai, con la benedizione del Vescovo di allora, tra i missionari Comboniani. Tutto il cammino vissuto è stato un dono di Dio».
Ringrazio padre Ottorino. Non mi rimane che rimettermi in strada, con le parole del missionario che mi risuonano nel cuore come un canto. Una canzone forse non tanto orecchiabile per tutti, ma reale, concreta, presente nell’aria. Ancora una volta ringrazio il Signore, perché attraverso uomini e donne di buona volontà segna la storia in modo indelebile e generoso. Anche oggi ne ho avuto la prova.