Il saluto reverenziale che ho appreso qui, sa di antico e di profondo rispetto. Porti alla fronte le mani giunte, chiudi gli occhi e t’inchini leggermente a chi ti sta davanti, dicendo: «Sauadìcrap», che significa: «Ben trovato». Padre Bruno Soppelsa, di origini bellunesi, vive da otto anni nel Nord della Thailandia, nella diocesi di Chiang Mai, e dal suo primo giorno quando celebra s’inchina come quando saluta un amico o uno sconosciuto: «Sauadìcrap». L’umano e il divino s’intrecciano non solo in un saluto ma anche nel rispetto di vivere in una terra dove i cattolici sono appena lo 0,5% su una popolazione di circa 70 milioni di persone.

Padre Bruno, dopo otto anni in Costa d’Avorio, com’è stato il passaggio a vivere qui in Thailandia? Quali le diversità e le differenze? Cosa accomuna l’uomo di ogni continente secondo le tue conoscenze?

«La mia prima esperienza missionaria fu nella parrocchia di Sakassou, nella diocesi di Bouaké, in Costa d’Avorio, nel marzo 2001. Un tempo reso unico anche dagli eventi sociali e politici che, solo un anno dopo il mio arrivo, si sono evoluti in maniera drammatica in una guerra civile, che ha accompagnato tutta la mia permanenza sul suolo ivoriano. Otto anni intensi a contatto con una Chiesa giovane, un laicato accogliente, entusiasta, maturo e intraprendente, che mi ha insegnato a rileggere il Vangelo con gli occhi della vita. Un’esperienza che nel vissuto della guerra e dell’essenzialità mi ha segnato e profondamente cambiato dal punto di vista umano e nel mio ministero. Non è stato facile cambiare registro e tuffarmi in un’avventura diametralmente opposta, come quella asiatica. Ma l’ho fatto con entusiasmo e tanta riconoscenza al Signore per le grazie con cui da sempre benedice e accompagna la mia vita. Nel nuovo impegno ho avuto tempo un paio d’anni per imparare la lingua thailandese prima di tuffarmi nell’attività pastorale. Durante tutto questo tempo ho sperimentato la meravigliosa accoglienza della gente Thai, e in particolare dei presbiteri diocesani che mi hanno ospitato nella loro casa canonica; ho potuto conoscere la mentalità della gente, percepire il loro modo di ragionare, vedere le loro reazioni, modi di fare, condividere i momenti importanti dettati dalle grandi feste nazionali e buddiste. A differenza dell’esperienza ivoriana, mi sono mancate le liturgie ritmate, roboanti, coinvolgenti; le corali e le processioni danzanti, gli abbracci, i bambini che ti si aggrappano da tutte le parti. Qui in Asia tutto è più controllato, contenuto, misurato; solo un «Wai», il tipico saluto a mani giunte, espressione di un profondo contatto spirituale ricco di gratitudine e di rispetto. Al di là di ciò che appare, la vicinanza e la conoscenza con la gente ti fa percepire un’umanità che è patrimonio comune dell’essere umano di ogni nazione e continente e che non cambia mai: sete di verità, tenacia nella fede, solidarietà, condivisione, accoglienza».

Come vivi la tua quotidianità in questo contesto particolare?

«La mia attività pastorale qui nel Nord della Thailandia si è diversificata negli anni e nei luoghi in cui ho operato e tuttora sono presente. I primi cinque anni li ho vissuti nella parrocchia di Chaehom, assieme a don Bruno Rossi e a don Raffaele Sandonà. Il lavoro più urgente è stata la cura delle comunità sparse per le foreste dei monti. Sette le tribù presenti nei nostri villaggi: gente di provenienze, tradizioni, culture e lingue differenti. Per ciascun gruppo etnico, un diverso tipo di approccio anche nell’accompagnamento della fede. Difficoltà nella comunicazione, veicolata da valenti catechisti, almeno uno per etnia, che ci desse modo di trasmettere i contenuti desiderati. Il primo aiuto richiesto è stato quello di avere un’identità sociale grazie all’ottenimento della cittadinanza thailandese; poi acqua potabile, i pannelli solari per la luce, sostenere alcuni progetti per ingaggiare qualche maestro per l’insegnamento elementare. La costruzione di alcuni centri a fondovalle che permettesse l’accoglienza dei figli delle famiglie dei monti che dovevano frequentare le scuole superiori senza avere un luogo dove abitare. Questi centri sono stati costruiti vicino alle scuole superiori governative che i ragazzi frequentano quotidianamente. Garantiamo il vitto e l’alloggio, attraverso l’appoggio dei nostri Centri missionari e grazie alla promozione umana assicurata da alcuni progetti di cooperative create da noi missionari, grazie all’iniziativa lavorativa e commerciale del “Caffè Bruno”, ormai famoso in tutta la Thailandia».

Ora sei a Lamphun, una nuova sfida. Come uomo e come credente, come vivi il confronto con una filosofia, con una religione e con uno stile di vita così diverso? Quale impatto ha il Vangelo?

«Dallo scorso anno sono nella parrocchia di San Francesco, a Lamphun, dove è parroco don Attilio De Battisti. E’ una città di circa 4.500 chilometri quadrati e conta circa 405mila abitanti. Una sola parrocchia eretta nel 2011, l’unica di tutta la provincia. I cristiani non arrivano neppure a 200 e la maggior parte sono stranieri venuti in cerca di lavoro, dal momento che Lamphun è una città a vocazione industriale, con tutte le problematiche sociali che ne derivano. La nostra comunità si compone di persone provenienti dai vicini Myamar, Vietnam, Cina e Filippine. I thailandesi residenti sono davvero pochi. Lamphun è stato il centro propulsore di tutto il buddhismo Theravada nel Nord della Thailandia, mantiene quindi un ruolo molto importante per ciò che riguarda la storia del buddhismo. Oltre alla cura pastorale della comunità cattolica e la partecipazione a progetti umanitari per il sostegno di alcuni poveri in villaggi montani, la nostra attività è molto centrata sul dialogo con la religione buddhista; cerchiamo poi di partecipare alla vita sociale della gente nelle sue manifestazioni culturali con attenzione particolare alle feste religiose. Molto il tempo dedicato alla visita e all’incontro con i monaci dei templi più importanti della nostra provincia: tanti hanno manifestato interesse, curiosità e desiderio di un confronto espresso dalle molte domande fatte su alcune citazioni del Vangelo, sulla Chiesa, sulla vita del sacerdote».

La Redemptoris Missio sottolinea che «la missione è appena agli inizi» e dobbiamo «rivolgere l’attenzione verso il Sud e l’Oriente» (n. 40), dove le «giovani Chiese sono la speranza della Chiesa universale» (n. 91). Su questa linea si colloca la scelta interessante delle Chiese del Triveneto. Raccontaci la sfida della collaborazione tra diocesi.

«Credo che l’esperienza missionaria che sto vivendo in Thailandia a nome del Triveneto, sia una grande opportunità per tutti. La formula d’invio interdiocesano permette a diocesi, pur di piccole dimensioni e con un numero esiguo clero, di poter esercitare la sua dimensione missionaria con efficacia. La forza sinergica di più realtà unite nello stesso obiettivo permette di non dover pensare troppo a un gravoso impegno economico. Lavorare in équipe con sacerdoti di origine, età, esperienze e formazioni differenti è una ricchezza aggiunta per la fantasia e l’efficacia nel lavoro pastorale. Il lavoro d’équipe in missione chiede poi il supporto di un lavoro a monte, da parte dei Centri missionari interessati al progetto, soprattutto dei rispettivi vescovi. Tutti sono coinvolti in questo progetto missionario comune: un lavoro improntato sulla corresponsabilità. E’ questa, senza dubbio, la strada da percorrere. E più sarà l’impegno in questa sfida, più grande sarà il beneficio per le diocesi d’invio e di arrivo».

Nelle parole di padre Bruno, sento un fiume impetuoso di passione per la missione. Che mi conferma ancora una volta una regola assai importante: la missione è chiamata a lanciare sempre nuovi ponti, senza interruzioni, oltre ogni terra, oltre ogni oceano. Non c’è continente che non vada abitato e amato profondamente. Insomma il mondo è il campo su cui gettare parole semplicemente evangeliche, dove lo stile è quello dell’accompagnare, come fa padre Bruno, qui, in Thailandia.

Missionari dal Triveneto alla Thailandia

Don Bruno Rossi, don Raffaele Sandonà, padre Bruno Soppelsa e don Attilio De Battisti

Questa missione fa parte di un progetto delle diocesi del Triveneto per la Thailandia, in particolare a sostegno della Chiesa locale di Chiang Mai. Qui si trovano ad operare quattro presbiteri: don Bruno Rossi, don Attilio De Battisti e don Raffaele Sandonà della diocesi di Padova; don Bruno Soppelsa della diocesi di Belluno, don Ferdinando Pistore della diocesi di Vicenza, arriverà nei prossimi mesi e si fermerà a Bangkok per lo studio della lingua. Le parrocchie in cui il Triveneto è presente sono due: una in montagna, nel distretto di Chaehom, provincia di Lampang; l’altra a Lamphun, cittadina e capoluogo dell’omonima provincia, a 30 minuti dalla più grande