L’Uganda è il Pese più ospitale d’Africa e del mondo, dal punto di vista dell’accoglienza ai rifugiati. Si tratta di una precisa politica governativa, chiamata Open Door.

Nonostante l’evidente unicità di questa scelta, però, non mancano i risvolti critici. Ci sono varie ragioni per cui il Paese accetta in modo massiccio i rifugiati.  Alcuni ricercatori si sono chiesti il perché della generosa strategia di Museveni.

Ed hanno risposto che è proprio il crescente autoritarismo del regime ugandese ad aver bisogno di una simile agenda dell’accoglienza. Anticipiamo qui una parte dell’inchiesta che Popoli e Missione pubblica nel numero di Luglio-Agosto.

«Il Paese può essere definito un regime democratico “ibrido” – scrivono Julie Schiltz e Kristof Titeca per Al Jazeera – Enfatizzare questa storia di successo (apertura ai rifugiati, ndr.) consente a Museveni di divergere l’attenzione dalle tendenze semi-autoritarie del suo regime, come dimostrato dagli sforzi fatti per abolire il limite temporale al mandato presidenziale, trasformandolo di fatto in una presidenza a vita».

Ma c’è un motivo ancora più interessante: mostrandosi agli occhi del mondo generoso ed aperto verso i rifugiati, il presidente può permettersi anche di «ignorare l’appello internazionale che spinge per l’avvio di un’inchiesta indipendente sui comportamenti dell’esercito ugandese nel conflitto ad Ovest dell’Uganda», scrivono i due ricercatori.

Ed inoltre «la narrazione dell’ospitalità consente all’Uganda di spostare l’attenzione da una parte all’altra. L’obiettivo è evitare di indagare su una questione cruciale: il suo coinvolgimento nel conflitto Sud sudanese ed in particolare il sostegno fornito a Salva Kiir.

Alle due osservazioni se ne aggiunge una terza: il fatto che l’Europa, come già avvenuto con la Turchia, donando fondi a chi accoglie direttamente gli africani in Africa, non fa altro che deresponsabilizzare se stessa rispetto al dovere di accoglienza.

E’ il proseguimento della cosiddetta “esternalizzazione delle frontiere” e della politica che tende a bloccare i rifugiati in Africa anziché consentire loro di arrivare dove vogliono.

In fondo con i campi profughi della Turchia è stato fatto lo stesso: finanziamenti a pioggia in cambio di quote di rifugiati da tenere a bada.

Peccato che le condizioni di vita in Turchia non fossero ideali, così come il permanere senza limite dei profughi in Uganda non è una soluzione definitiva. Si tratta della normalizzazione dell’emergenza». (L’Inchiesta per intero è pubblicata sul prossimo numero di POPOLI E MISSIONE)