La forma più appropriata per rispondere al mandato missionario oggi è ritenuta quella della cooperazione tra le Chiese. Tale cooperazione viene dalla comunione tra le Chiese e coinvolge tutti i membri del popolo di Dio. È certo per questo che sempre più frequentemente si accolgono nelle comunità cristiane d’Italia presbiteri di altre Chiese che collaborano alla pastorale ordinaria.

La Conferenza episcopale italiana (Cei), attraverso lo strumento normativo delle Convenzioni, disciplina e regola la presenza del clero straniero in Italia. Attualmente sono “in Convenzione” 810 sacerdoti diocesani stranieri in servizio pastorale e 620 sacerdoti stranieri studenti. Circa 1.178 sono invece i sacerdoti religiosi stranieri presenti in Italia con accordi tra le proprie Congregazioni o Istituti e le diocesi italiane.

I sacerdoti stranieri in servizio pastorale provengono per la maggior parte dal continente africano, ma anche dall’Europa; nello specifico la Polonia, l’Ucraina e la Romania sono i Paesi di maggiore provenienza, mentre per il continente asiatico i sacerdoti indiani sono i più numerosi.

Dall’anno 2003, quando sono entrate in vigore le Convenzioni, circa 230 sono i sacerdoti stranieri che sono stati incardinati in Italia a seguito dell’esperienza vissuta. Il Lazio è la regione ecclesiastica italiana che accoglie più presbiteri stranieri, soprattutto per la presenza delle università pontificie; seguono Toscana, Emilia Romagna e Triveneto. Le diocesi che invece ne hanno di meno, sono la Puglia, la Basilicata e la Sicilia.

I sacerdoti italiani fidei donum sono 420 e i laici italiani che partono in missione, sempre con la Convenzione della Cei, sono 200. Il criterio base di questa esperienza è la cooperazione missionaria, ma il vento della missione, come si evince dai numeri, sta cambiando direzione, spinge dal Sud verso il Nord, per cui i missionari partono sempre di meno dal nostro Paese e ne arrivano sempre più. Al di là dei presbiteri stranieri che vengono in Italia per studiare, ciò che merita una riflessione, sulla quale sono anche intervenuti i vescovi italiani riunitisi nell’Assemblea Generale dello scorso maggio, è la modalità e il tempo di presenza nelle diocesi italiane dei presbiteri che vengono per prestare un servizio esclusivamente pastorale.

Un’esperienza pastorale che ha molteplici valenze o resta a senso unico?

Chi decide in quale diocesi italiana andranno a prestare servizio i sacerdoti stranieri sono i rispettivi vescovi, in base a conoscenze personali e non, passa-parola tra presbiteri che sono già in Italia o anche gemellaggi. Ci si interroga se questo servizio che si andrà a svolgere sarà un arricchimento vero da un punto di vista pastorale e personale, oppure servirà a coprire dei buchi laddove in alcune diocesi c’è carenza di clero. E le comunità parrocchiali italiane godranno di un arricchimento pastorale e missionario da queste esperienze? O resterà il sacerdote straniero, il cui italiano – non parlato ancora bene – non consentirà di capire fino in fondo il suo messaggio che invece potrebbe avere dei contenuti pastorali arricchenti per la comunità?

Le testimonianze di missionari e missionarie lasciano sempre nel cuore di chi ascolta un messaggio di speranza, di bene e di solidarietà, oltre ad essere uno sprono per rinvigorire la propria fede. La decisione dell’accoglienza dei presbiteri stranieri, secondo quando indica la normativa delle stesse Convenzioni, sulla base di chiare motivazioni di carattere pastorale e di valutazione, spetta unicamente al vescovo, così come tutte le determinazioni successive riguardanti il ministero affidato, l’accompagnamento da parte di altri presbiteri, l’integrazione nel presbiterio diocesano, la vigilanza e la verifica sul ministero svolto.

I vescovi sono chiamati a vigilare anche sul tempo di permanenza nella diocesi italiana che li accoglie: la Convenzione stabilisce un tempo di tre anni, rinnovabile fino a un massimo di nove. Ma in più occasioni i presbiteri decidono di cambiare diocesi, chiedono di restare oltre il tempo stabilito e non sempre in accordo con i loro vescovi. Accompagnarli, aiutarli a motivare la loro presenza da un punto di vista pastorale e missionario, cogliendo anche la ricchezza delle loro culture e tradizioni, può essere un modo per far vivere al meglio l’esperienza a loro e alle comunità che li accolgono. In ogni caso, è sempre una grande opportunità di annuncio e di testimonianza, una occasione per lasciarsi trasportare da quello Spirito missionario che pervase la vita della Chiesa degli Atti degli Apostoli: una Chiesa che vive una situazione di freschezza, novità, incomprensione, minoranza e opportunità, sa anche individuare lo spiraglio dentro il quale fare breccia per entrare nel cuore di un’umanità sempre in ricerca.