In Sudan, i negoziati per la formazione di un governo di transizione, ripresi ieri, si sono conclusi senza un nulla di fatto. Il gruppo che riunisce le forze di opposizione, Dichiarazione della libertà e il cambiamento (Dfc), hanno incontrato per la terza volta il Consiglio militare di transizione (Tmc), che ha preso il potere nel paese. I leader della Dfc e della Tmc sabato scorso avevano concordato di istituire un’autorità congiunta civile e militare per superare le controversie in atto denominata “Consiglio di Stato sovrano”. Le difficoltà maggiori, per passare dalle parole ai fatti, si riscontrano a causa di posizioni ancora distanti in merito ai compiti di questa autorità, alla sua composizione e alla durata del mandato. Oltre al consiglio di transizione che dovrebbe svolgere il ruolo di presidenza, dovrebbero esserci un governo e un parlamento designato. Il Dfc chiede in particolare che il Consiglio di Stato sovrano sia composto da otto civili e sette militari, mentre i generali propongono sette seggi per loro e solo tre per i civili. Su questi numeri si è registrata la spaccatura.

Nel frattempo  è giunta notizia che il Partito del congresso popolare sudanese, d’ispirazione islamista, ha annunciato che non riconoscerà il nuovo Consiglio congiunto civile-militare, perché l’accordo bilaterale esclude le altre forze politiche. I militari attualmente al potere hanno anche detto che intendono porre fine all’instabilità causata dai sit-in da parte di migliaia di manifestanti nel centro della capitale sudanese. Da rilevare che l’Associazione dei professionisti sudanesi, che ha svolto un ruolo centrale nel costringere l’ex presidente Omar Hassan Ahmed al-Bashir, ha messo in guardia la giunta contro ogni tentativo di interrompere le proteste, accusando i militari di voler replicare il precedente regime.

 

Foto: AFP