«Ho l’impressione che la verità sul Sud Sudan non viene riconosciuta semplicemente perchè l’Unione Africana e la comunità internazionale preferiscono continuare ad avere come interlocutore questo governo così com’è, senza grossi moniti. D’altra parte, le opposizioni effettivamente non sembrano credibili. La popolazione però è condannata a un calvario».

Padre Christian Carlassare, missionario comboniano, in Sud Sudan dal 2005, ci spiega in questa intervista cosa succede davvero nel Paese africano tra i più insicuri al mondo, dove il “cessate il fuoco”, firmato tra governo e opposizione a dicembre scorso, non regge e le violenze contro i civili sono quotidiane.

«Il Paese non è pacificato – spiega Carlassare – : la dignità umana è calpestata, il valore della vita molto basso, la popolazione non viene protetta e non le viene garantito quello di cui ha bisogno per il futuro».

Di recente la violenza sempre più smaccata contro donne (violentate dai gruppi armati), bambini (reclutati in guerra), è stata al centro dell’attenzione europea, tanto che il Consiglio Affari Esteri dell’UE ha espresso «profonda preoccupazione per il protrarsi delle violenze, per le gravi violazioni e gli abusi dei diritti umani nel Sud Sudan».

Inoltre la Chiesa locale si è esposta ancora di più, schierandosi dalla parte della gente. Il vicepresidente del Sud Sudan, James Wani Igga, ieri, in un discorso pubblico ha accusato il clero e le chiese cristiane di fomentare il malcontento contro il presidente Salva Kiir e i funzionari governativi.

«E’ significativo – aggiunge padre Christian – che i vescovi cattolici del Sud Sudan abbiano denunciato che i leader di governo e opposizioni non mettono da parte in nessun modo i loro interessi privati. I vescovi hanno addirittura il sospetto che i leader, pur riconoscendo il bisogno della pace, non sappiano come farla».

La Chiesa, «presenza profetica», dice padre Carlassare, «ha le sue difficoltà ad accompagnare il Paese sulla via della pace. Ma si trova in una posizione privilegiata essendo vicina alla gente, presente ed incarnata fra tutti i gruppi, e riesce a parlare  ad una voce con le parole del Vangelo. Qui è l’unica speranza!».

Il bilancio degli ultimi 5 anni è davvero catastrofico, denuncia il missionario: «ci sono state decine di migliaia di morti, milioni di persone sfollate, saccheggi, stupri, carestie, collasso economico, violazione dello stato di diritto, distruzione delle infrastrutture, istruzione negata a migliaia di bambini (se non milioni) e famiglie private dell’assistenza sanitaria più basilare».

La cosa paradossale è che la guerra qui ha assunto i connotati di guerriglia ma fa lo stesso migliaia di morti: «nè il governo nè le opposizioni hanno più la forza militare per combattere: ci sono stati troppi morti nei primi tre anni di conflitto.

Tuttavia, se inizialmente il conflitto era circoscritto al governo da una parte e un preciso gruppo di opposizione dall’altra, adesso ci sono tanti gruppi che si oppongono al governo e hanno una propria agenda non sempre chiara. Spesso legata agli interessi locali di un gruppo specifico».

Il governo sembra sempre più interessato a mantenere il potere con l’intenzione di reprimere questi gruppi piuttosto che dialogare con la popolazione locale.

«Purtroppo già nel 2013 il paese ha imboccato la strada sbagliata – dice – di una politica che esclude e che quindi ha fatto cadere il paese in un conflitto interno che prende una colorazione etnica. Il processo di dialogo nazionale infatti, nonostante stia offrendo un’arena di dialogo per molte persone, non sembra essere inclusivo e non da’ garanzie».

A tutto questo si aggiunge un’economia al collasso: «il prodotto interno lordo del paese è pressoché inesistente. L’industria del petrolio è quanto mai compromessa.

Le poche altre industrie e attività sono state chiuse. La svalutazione della moneta è arrivata all’800% senza un adeguato aumento dei salari».

Se nel 2013 un salario mensile base poteva essere equiparato ai nostri 250/300 Euro, oggi, ci spiega, oggi non supera i 15/20 euro.

«Siamo grandemente sotto la soglia della povertà di 1 dollaro al giorno – spiega –  Oltre a questo molti lavoratori statali, forze armate comprese, non ricevono il loro salario da mesi. E occorre anche tenere presente che il tasso di disoccupazione è altissimo, ben oltre la media degli altri paesi.

Praticamente non c’è lavoro, se non sottopagato con il governo (nel campo dell’insegnamento, medico, e gestionale) o ben remunerato nelle agenzie e organizzazioni che cercano di tamponare la crisi».

Il numero di rifugiati è aumentato moltissimo e non solo verso l’Europa e l’occidente ma verso l’Africa stessa: «Un quinto del paese ha pensato di poter trovare condizioni migliori nei paesi limitrofi. Si parla infatti di quasi due milioni e mezzo di Sud Sudanesi che vivono soprattutto in Uganda, ma anche in Sudan, Ethiopia, Kenya e Congo».

In realtà molti di loro sono «finiti in campi rifugiati dove, pur in luoghi più sicuri, vivono comunque molto miseramente. All’interno del paese ci sono più di 2 milioni di sfollati che hanno perso la loro casa e proprietà. Più di 200 mila vivono all’interno dei campi di protezione dei civili allestiti dall’ONU e non hanno dove andare».

Che speranza rimane? «La popolazione e i loro leader sono in attesa dell’annunciata – poi cancellata – visita di papa Francesco seguita poi dall’azione diplomatica del Vaticano. Si spera in una decisa inversione di marcia».