Una data storica, quella del 13 gennaio scorso, per la firma della Dichiarazione di Roma sul processo di pace in Sud Sudan da parte di un rappresentante del governo sudsudanese, Barnaba Marial Benjamin, e di Pa’gan Amum Okiech, portavoce dei movimenti di opposizione (Ssoma) che non avevano aderito all’accordo di pace del settembre 2018 ad Addis Abeba. Tra loro, amico e garante di pace, Paolo Impagliazzo, segretario della Comunità di Sant’Egidio che ha definito la firma congiunta «un importante e significativo passo in avanti per una pace inclusiva. È il risultato di giornate intense, ma anche di anni di impegno di Sant’Egidio per il dialogo politico».

Okiech ha dichiarato che «ci vergogniamo di questa guerra tra noi ma vogliamo assicurare a tutto il mondo che quel gesto del papa (che si è inginocchiato a baciare i piedi del presidente Salva Kiir nell’incontro di aprile dello scorso anno a Santa Marta in Vaticano, ndr) ci ha ispirato e il suo appello alla prosperità e alla fratellanza fatto per il nuovo anno è un sogno che si avvera». Già dopo l’accordo di Addis Abeba, il presidente Kiir e il suo principale oppositore Riek Machar si erano impegnati a comporre un governo d’unione nazionale entro maggio 2019. Non essendo arrivati a concretizzare l’impegno, la data era slittata al successivo 12 novembre e poi ulteriormente spostata all’inizio del 2020. Finalmente, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio che ha portato avanti il dialogo politico tra le parti contrapposte da una guerra civile che lacera il Paese da otto anni, dal 15 gennaio è iniziata la tregua tra le parti in conflitto. La Dichiarazione di Roma prevede tre punti fondamentali: la cessazione delle ostilità; il dialogo per il ripristino della pace e della democrazia, con il sostegno della Comunità di Sant’Egidio; l’accesso degli aiuti portati dalle organizzazioni internazionali per la popolazione provata dal conflitto e dalle inondazioni del novembre dello scorso anno in cui hanno perso la vita oltre 900mila persone. A latere degli impegni ufficializzati restano aperti molti problemi che si spera di chiarire a breve. Innanzitutto le questioni della formazione di un esercito unificato e dei confini con gli Stati confinanti. Secondo Mario Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio, non è facile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi: «Che si formi o meno un governo, l’importante sarà coinvolgere tutte le forze che non avevano firmato il precedente accordo di Addis Abeba». Verso questo impegno sono indirizzate anche le parole di Amum Okiech che riconosce nella firma della Dichiarazione di Roma l’impegno dei protagonisti di «affrontare insieme le radici dei problemi che hanno portato alla guerra», come la corruzione e la mancanza di rispetto dei diritti civili. Insieme a Benjamin ha rivolto un ringraziamento a papa Francesco per l’attenzione che porta al Sud Sudan. I due leader hanno ricordato il ritiro spirituale organizzato nell’aprile dello scorso anno in Vaticano, ideato dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, come il gesto molto forte del papa di inginocchiarsi davanti a Salva Kiir e Riek Machar, leader dell’opposizione, supplicandoli di riconciliarsi. Secondo Garofalo «questo incontro ufficiale a Roma è un passo in avanti molto significativo». Una bella risposta alle parole e ai gesti del papa che durante l’udienza al Corpo diplomatico del 9 gennaio scorso ha annunciato un suo prossimo viaggio in Sud Sudan.