Il XVI e XVII secolo sono un’epoca molto complessa per la storia della Chiesa, ma vedono anche l’affermazione della missione intesa come vera e propria come liberazione. Alla conquista del Nuovo Mondo, con il colonialismo di matrice spagnola e portoghese e l’invasione brutale di terre intere fino ad allora incontaminate, dicono gli storici, si affianca l’evangelizzazione di popoli e Paesi che mai erano entrati in relazione con Cristo. In questa quinta puntata intendiamo indagare alcuni aspetti della dibattuta epoca dell’avanzata europea nelle Americhe, senza naturalmente avere la pretesa di essere esaustivi. In particolare accenneremo ad alcune figure coraggiose della Chiesa cattolica, che seppero lasciare un’impronta decisiva nel rapporto tra missionari, potere e teologia. Impossibile non ricordare Bartolomeo De Las Casas, monaco domenicano e vescovo spagnolo, evangelizzatore di uomini, campione della libertà degli indios, vissuto tra il 1484 e il 1566. «Irruente, non sempre obiettivo, talora unilaterale, largamente sconfitto in un primo momento – dice di lui il biblista don Andrea Lonardo, docente all’istituto di scienze religiose Ecclesia Mater di Roma- Las Casas con le sue opere (Brevissima relación de la destrución de las Indias e la Historia de las Indias) e con la sua attività indefessa di polemista e di vescovo, costituisce l’esatta antitesi di Aristotele da Ginés de Sepulveda e l’indispensabile richiamo ai valori evangelici essenziali». In polemica contro la tesi, sostenuta dal suo oppositore, de Sepulveda, dell’esistenza di uomini “schiavi per natura”, Las Casas ribadisce invece l’uguaglianza di ognuno. Gli scritti di Bartolomeo che difese gli indios aggrediti dalla violenza dei conquistatori spagnoli, sono un inno alla vera conversione. Ribaltando l’idea di missione del 1500 (i conquistatori spagnoli andavano a convertire con la spada) potremmo affermare che veri missionari furono coloro che cercarono di fermare gli eserciti. Di certo lo fu De Las Casas, che tentò l’evangelizzazione dei cosiddetti inviati della Sacra Corona; egli provò senza successo a riportare i conquistatori alla ragionevolezza e alla parola di Gesù. In realtà ebbe anche una certa influenza sulle decisioni di Carlo V, che infatti introdusse nuove leggi a tutela degli indios. Ma i massacri non furono evitati.

«Sono salito su questo pulpito – scriveva Bartolomeo – io che sono la voce di Cristo nel deserto di questa isola, per farvi conoscere una cosa e perciò conviene che la ascoltiate con una attenzione speciale, perché questa voce sarà la più nuova che avete mai ascoltato. Questa voce afferma che tutti voi siete in peccato mortale e in esso vivete e morite, a causa della crudeltà e tirannia che usate contro queste genti innocenti. Ditemi: con che diritto e con che giustizia mantenete questi indios in una servitù così crudele e orribile?». E’ comunque un dato di fatto che, grazie a questa sua denuncia, vennero compilate le “leggi nuove” ratificate da Carlo V, con le quali venivano abolite le encomiendas, strutture organizzative agricole fondate su un sistema schiavistico-feudale, principale causa dello sfruttamento dei nativi americani.

Un altro nome importante della Chiesa fedele al Vangelo è quello di Francisco de Vitoria (1483-1546), anche lui domenicano spagnolo, considerato uno dei padri fondatori del diritto internazionale. De Vitoria ammise l’eventualità di una “ignoranza invincibile” della religione e quindi la possibilità della salvezza per gli indios, negando la legittimità della maggior parte delle guerre di conquista. Dobbiamo considerare che queste voci fuori dal coro, per la cultura e la mentalità dell’epoca, furono davvero rivoluzionarie e andrebbero rivalutate. Ad ispirare questi monaci, era una spiritualità che si innalzava al di sopra della menzogna, intuendo una verità che era seppellita dalla politica e dalla volontà di dominio. «Non c’è dubbio che la conquista ispano-portoghese dell’America meridionale sia coincisa con l’avvio di un lungo periodo di schiavizzazione e di stragi – scrive lo storico Federico Cardini – Ma gli ingredienti fondamentali di una politica di massacro, per poterla definire genocida, sono la sistematicità e l’intenzionalità».

Era considerato folle e al di fuori della legge (quindi punibile con la morte) schierarsi contro re e potenti in un’epoca di conquista che in base alla propaganda (ogni periodo storico ha la sua!) veniva ammantata di giustizia, addirittura divina. In parallelismo con l’oggi, potremmo dire che queste figure incomprese somigliano a quelle che in epoca attuale si schierano decisamente contro chi pretende il respingimento dei migranti e la chiusura all’altro. Sono missionari oggi anche coloro che evangelizzano il cuore della politica cieca e fanno emergere un’altra idea di mondo e di Dio.

All’epoca della colonizzazione spagnola in realtà, furono i papi stessi a sostenere il dominio: nella prima Bolla pontificia relativa alle terre appena scoperte, Alessandro VI «esorta con forza i reali di Spagna a diffondere la religione cristiana tra gli abitanti delle nuove terre: la conquista spagnola è legittimata dal pontefice come strumento di conversione degli infedeli», scrive ancora Andrea Lonardo. I conquistatori che non riuscirono a penetrare in Amazzonia, si avvalsero anche del sostegno dei gesuiti. Alcuni monaci come Andres Lopez già nel 1572 avevano viaggiato fino a Cusco e La Paz, e avevano intrattenuto corrispondenza con gli spagnoli di Santa Cruz. Nel 1586 i Gesuiti giunsero a Quito e da quella città andina iniziò la lenta penetrazione nell’Amazzonia, sulle rive dei fiumi Marañón e Ucayali. Nel 1619 i gesuiti chiesero l’autorizzazione a fondare una loro missione nel territorio del Río Marañón, che fu concessa nel 1632. «Laddove non era riuscita la colonizzazione dei conquistadores capeggiati da Pedro de Ursua – scrive lo scrittore e storico Yuri Leveratto – i gesuiti avevano trionfato».

Monumento del domenicano Antonio de Montesinos a Santo Domingo.

In questi secoli travagliati viene calpestato il Vangelo dagli stessi evangelizzatori, ma allo stesso tempo la parola viene raccolta e sprigiona verità. «Molti dei religiosi, sacerdoti, vescovi, che operano nelle Americhe con spirito missionario, presa coscienza del trattamento inflitto agli indigeni, cominciano ben presto a difenderli, condannando i conquistadores, guadagnandosi ostilità e opposizioni», scrive Lonardo. Tra i primi interventi, ricordiamo l’infuocata predica tenuta a Santo Domingo nel 1511 dal domenicano Antonio de Montesinos, che accusa di peccato mortale contro il comandamento della carità tutti coloro che esercitano soprusi e crudeltà sulle popolazioni innocenti. Ma bisognerà attendere il 1600 per avere una vera e propria schiera di missionari difensori del Vangelo e degli uomini oppressi.

Una figura molto bella è quella di padre António Vieira, gesuita portoghese, che nel 1652 riparte per il nuovo mondo con l’idea di aiutare gli indios. «La Compagnia di Gesù – scrive il giornalista Antonio Termenini – lo invia nella provincia di Maranhão per fondare nuove missioni. Un compito reso più difficile dalla violenta opposizione ai Gesuiti esercitata dai coloni portoghesi in Brasile. Per loro, sempre a caccia di schiavi per le piantagioni l’opera di evangelizzazione degli indios da parte dei gesuiti (che li metteva al riparo dalla schiavitù) era una minaccia». Vieira, che in passato aveva difeso gli schiavi che arrivavano dall’Africa, prese immediatamente le difese degli indios e continuò a farlo anche quando, più tardi, la Compagnia di Gesù smise di essere incisiva.