Farebbe tanto bene «ai cristiani d’Europa prendere coscienza del fatto che una parte notevole delle loro radici cristiane latine si trova nel Sud del Mediterraneo».

Così diceva non molti anni fa l’allora vescovo di Algeri, Henri Teissier. Un uomo che con i 19 martiri della Chiesa d’Algeria condivise la scelta di restare accanto alla propria gente nei difficili anni Novanta. E’ in effetti ripercorrendo a ritroso la storia della missione, che ci imbattiamo in un segmento spesso ignorato della fede: non possiamo non ricordare che la letteratura cristiana latina è nata nell’Africa romana e che le più antiche opere di teologia cristiana in latino vengono proprio da Cartagine. La terza puntata di questa nostra ricerca alla scoperta dei primi missionari, dunque, si concentra su quell’area molto frastagliata che vede come protagonisti i cristiani d’Africa, nel periodo che va dall’inizio del 200 al 500 dopo Cristo, ossia l’epoca precedente alla svolta costantiniana. La nostra attenzione va alla lingua usata per tradurre i testi dal greco e all’imprescindibile opera di divulgazione di questi. Il fine della missione era quello di trasmettere gli insegnamenti del cristianesimo a tutte le genti, a partire dalla traduzione dei testi: la divulgazione in latino, dicono gli esperti, è una svolta vera e propria per quei secoli. Ai tempi di Tertulliano,  apologeta cristiano nato a Cartagine attorno al 155 d.C., i cristiani del Nord del Mediterraneo scrivevano ancora in greco: ed è proprio lui che inizia a tradurre i primi trattati teologici in latino.

Tertulliano

In uno scritto molto interessante che ribalta lo stereotipo facendoci comprendere come in realtà è proprio dall’Africa del Nord che arrivano i primissimi “missionari”, il vescovo Henri Teissier scrive che «un altro campo di espressione cristiana molto antica in lingua latina ci viene attestato in Africa dagli Atti dei martiri».

Tanto che il documento cristiano in latino più antico che ci sia pervenuto e anche il primo racconto proveniente dall’Africa cristiana è quello dei martiri scillitani del 180, quando Scilli era una città dell’Africa Proconsolare. Gli Atti riferiscono che un gruppo di 12 cristiani, sette uomini e cinque donne, nell’allora Numidia, il 17 luglio 180 furono condotti a Cartagine davanti al proconsole Saturnino d’Africa, per rispondere della loro fede cristiana. Furono imprigionati dopo aver ammesso di credere in Cristo e messisi in ginocchio sul luogo dell’esecuzione, furono decapitati con una spada mentre rendevano grazie a Dio.

Non stupirà sapere che anche le biografie dei santi nascono in Africa e avranno un largo seguito in tutta la Chiesa. Lo storico francese Claude Lepelley scrive che «il cristianesimo occidentale non è nato in Europa, ma nel Sud del Mediterraneo». E questo ci fa riflettere sul fatto che prima di Montecassino e di Cluny, dunque del monachesimo, non ci furono solo i martiri perseguitati dai romani pagani, ma una gran quantità di missionari testimoni della Parola, che presero a cuore la sua divulgazione e morirono per questo.

Con sant’Agostino, vescovo d’Ippona poi, «l’Occidente latino ha conquistato la sua indipendenza teologica e con ciò anche la sua propria personalità cristiana», dice sempre Teissier. «Alcuni potrebbero disapprovare questa evoluzione, e preferire la lettura del cristianesimo proposta dai padri greci – dice il vescovo d’Algeria – Ma tutti devono riconoscere che l’Occidente latino deve soprattutto ad Agostino la sua propria lettura del messaggio biblico».

Dall’Africa attraversarono il mare anche le più antiche versioni latine della Bibbia, ben prima che Girolamo la traducesse nella forma tramandata nei secoli e giunta pressoché uguale fin quasi al Vaticano II. Quando sant’Agostino d’Ippona muore il 28 agosto 430, la vita monastica nell’Africa latina risplendeva nonostante l’occupazione vandalica, ostile alla Chiesa cattolica e al monachesimo. In quella martoriata zona Proconsolare i monaci e le monache, raccontano i testimoni, furono vilipesi, maltrattati, torturati e fatti schiavi. Molti di loro finirono in esilio, morirono d’inedia, vennero nascosti nei boschi e uccisi.

Per conoscere bene la storia del monachesimo nordafricano di quel periodo, dobbiamo ricorrere alla Vita di san Fulgenzio di Ruspe, composta attorno al 535 dal diacono Ferrando di Cartagine. Lo stesso san Fulgenzio, infatti, è la persona più importante, dopo ovviamente sant’Agostino di Ippona, per la vita monastica nell’Africa latina. Ricco e colto, Fulgenzio aveva già

San Fulgenzio di Ruspe

cominciato la vita pubblica quando venne attratto dagli ideali monastici: decise di entrare nel monastero appena fondato da Fausto, vescovo di Praesidium Diolele. Sulla figura di questo monaco santo – Fulgenzio – vale la pena soffermarsi ancora. Nel territorio tra Hammamet e il golfo di Gabes, in Tunisia, nel V secolo sorgeva una parte della provincia romana: qui Fulgenzio nasce da famiglia nobile e pagana, ma da madre cristiana. Non è del tutto chiaro come avviene il suo mutamento radicale e la vocazione addirittura al monachesimo. Tutto comincia, dicono i biografi, con la lettura di commenti biblici scritti proprio da Agostino di Ippona, che dunque grazie ai suoi testi riesce ad evangelizzare chi gli è vicino e anche chi da lontano legge in latino. Al tempo di Fulgenzio tutta l’Africa romana è regno dei dominatori Vandali, mentre i sudditi sono cattolici. Non solo la convivenza è dura, ma il martirio è spesso un epilogo scontato: sono loro, i testimoni d’Africa, cui la Chiesa delle origini è debitrice, ad essere stati perseguitati come lo furono i primi cristiani a Roma. Sotto il regno di Trasamundo (496-523), ad esempio, avvengono tremende persecuzioni: Fulgenzio vuole farsi eremita lì, come tanti, ma nell’anno 500 lo troviamo a Roma, in una città suddita che vuole mostrarsi splendida al suo nuovo padrone, Teodorico il Goto. Tornato in Africa, Fulgenzio viene consacrato sacerdote e in un monastero di Cagliari, diventa maestro di vescovi, di preti, di monaci, e consigliere e pacificatore dei cittadini dell’impero.

In conclusione, per usare sempre le parole del vescovo Teissier, «un’illusione di prospettiva ha portato troppo spesso a considerare i primi secoli cristiani nell’Impero di Occidente, come una realtà quasi unicamente europea».

Ma è invece una regione come la Proconsolare ad essere stata evangelizzata molto prima e in misura più vasta di tante regioni del Nord dell’Italia. Fare memoria di questo pezzo importante della storia della Chiesa ci aiuterà a comprendere meglio anche l’evoluzione della missione nei secoli successivi e in qualche modo ci riporta subito all’Africa, terra di missione ma anche luogo fisico e simbolico dal quale tutto è partito, anche l’evangelizzazione.