L’apertura della seconda Giornata di Assisi, è stata affidata alla riflessione di don Roberto Repole, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Torino. “Il servizio alla Chiesa. La missione come dono” il tema intorno a cui ha sviluppato il suo intervento, ripensando la missione ecclesiale nella prospettiva del dono. <<E’ un modo di vivere e prospettare la missione della Chiesa in un contesto culturale come il nostro, facendo i conti seriamente con la fine della cristianità. Questo significa che la libertà delle persone è tale da potersi non solo rifiutare ma anche essere indifferenti alla proposta del Vangelo; e che non possiamo davvero più fingere di essere una maggioranza o che la vita cristiana ed ecclesiale possa essere data per scontata>>. C’è anche da considerare ha aggiunto don Repole che <<si tratta di una proposta teologica che nasce in un contesto occidentale, ma che permette di riguadagnare qualcosa che è insito nel cristianesimo: in questo senso si evidenzia come il contestuale autentico non possa mai essere l’antitesi dell’altrettanto autentico universale>>. Negli scenari della contemporaneità si può meglio comprendere in che senso la Chiesa sia per natura missionaria e come annuncio evangelico e prassi caritativa e umanizzante lungi dall’essere antitetiche siano due facce della stessa medaglia e rappresentino entrambe alla logica del dono>>.

Le vie della missione passano attraverso il dialogo tra gli uomini e le culture,come ha spiegato Milena Santerini,docente presso l’Università Cattolica di MIano, parlando di “Tessiture di fraternità. Muoersi tra culture e religioni diverse”. La professoressa Santerini si è soffermata sulle caratteristiche del nostro tempo, pensando a come la Chiesa può e deve concervare la sua vocazione all’universalità: <<In quella che si può definire la bella epoque globale, convivono realtà frammentate e pluraliste. Nei circa 200 Paesi del mondo ci sono 5.000 diversi gruppi etnici, due terzi dei Paesi hanno almeno una minoranza etnica o religiosa che costituisce il 10% della popolazione. Salvare le differenze è importante, è un antidoto all’uniformità di stili di vita e di consumi. Ma bisogna mettere in conto che le differenze possono anche dividere…Non possiamo accontentarci di descrivere il meticciato di culture esaltando le differenze per rispettarle o per ribellarci all’uniforme>>. Evitando i rischi di relativismo, bisogna ricordare le parole di papa Ratzinger che sottolineava che ogni cultura ha bisogno dell’altro perché << tutto ciò che in una cultura si chiude al dialogo appare una deficienza della cultura stessa….La dimensione interculturale scaturisce dall’intrinseca aperture al senso universale dell’uomo>>. Dobbiamo formarci alla “cultura dell’incontro” di cui spesso ci parla papa Francesco, ricordando <<che la fratellanza o fraternità è una condizione esistenziale, una coscienza di una relazione tra fratelli e sorelle figli di Dio e insieme un progetto di futuro>> ha concluso la professoressa Santerini.