Sono entrate nel vivo le Giornate nazionali di Formazione e Spiritualità Missionaria con un fitto programma di riflessioni bibliche e testimonianze missionarie. Dopo la lectio della teologa Laura Verrani dedicata all’impegno di san Paolo e Barnaba per la comunità cristiana di Antiochia, don Michele Roselli, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Torino, ha portato alla riflessione dell’assemblea la sua relazione su “Ascoltare la vita per ascoltare Dio. Come fare?”, tratteggiando «una teologia della grazia di Dio, della sua generosità e della universalità della salvezza: c’è una parola di grazia che Dio continua a rivolgere al mondo. La vita è un luogo teologico perché in essa si può ascoltare l’eco della Parola».

E il momento di rinnovamento che stiamo vivendo è incentrato proprio sull’ascolto «una postura che modifica alcuni meccanismi tradizionalmente usati dalla Chiesa dell’evangelizzazione e li spinge in una direzione che è contemporaneamente all’altezza di Dio e del “cambiamento di epoca” (come dice papa Francesco) attuale». C’è un ribaltamento rispetto al passato nella rilettura della storia della missione, laddove appare che l’evangelizzazione non è stato «un’azione unilaterale da arte di chi possiede il Vangelo verso chi non lo ha ancora» , perché oggi appare chiaro che «prima di essere raggiunta dalla proposta di fede, l’altro è già attraversato da tracce di Dio che ci precede misteriosamente con la sua azione nella vita di ciascuno» ha spiegato don Roselli.

Ma su quali orizzonti si muove “La missione delle Chiesa nel mondo di oggi”?

“Formati e inviati” è il tema della sessione pomeridiana animata da molte testimonianze in presa diretta sulle strade della missione. Gianni Borsa, direttore delle riviste della Fondazione Missio, ha introdotto gli interventi di suor Luigina Coccia, superora delle missionarie Comboniane si è chiesta quali sono i soggetti destinatari della missione; ma anche chi sono oggi i poveri e gli esclusi del nostro tempo che abitano nelle periferie del mondo. «La missione è destinata a qualunque uomo o donna- ha detto suor Luigia – solo così si può fare un cammino che umanizza chi incontriamo e noi stessi. Siamo destinati a tornare ad essere piccole comunità cristiane immerse nella società come lievito nella pasta. Eppure nuove conversioni in situazioni particolari, ci incoraggiano a creare legami più forti tra noi. Multiculturaltà, ospitalità e dialogo saranno la chiave del cambiamento».

Cosa intendiamo per missione ad gentes? Se lo chiede don Cesare Baldi, della diocesi di Novara, già direttore di Caritas Algeria e la sua lunga esperienza in Ciad e Costa d’Avorio. «A 32 anni dalla Redemptoris Missio, il termine missione è denso di significati che si intrecciano – spiega don Baldi -. Ritornando al patrimonio di insegnamenti conciliari, possiamo ritrovare le risposte ecclesiali della chiesa universale, con la forte spinta all’unità spirituale dell’umanità. La questione a livello teologico sta nell’unità nella diversità».

La seconda sessione degli incontri pomeridiani ha visto le testimonianze di don Olindo Furlanetto, la volontaria laica Sara Foschi, e la piccola Sorella Daniela Chiara di Gesù.

«Viviamo in piccole comunità in contesti di periferie urbane – Daniela Chiara, già missionaria per 15 anni in Niger con i pastori nomadi musulmani -. Vivo in una roulotte con le sorelle in un campo di rom in una periferia urbana, lavoriamo come loro per vivere, facciamo piccolo artigianato e lo andiamo a vendere sulla strada. Ho imparato che la formazione passa dalla disponibilità ad essere trasformati da loro. Piuttosto che “inviati” vogliamo essere ospiti, anzi sorelle. Per me il Vangelo è vivere con persone a cui nessuno dà ascolto».

Don Olindo Furlanetto fidei donum per 30 anni in Brasile,rientrato da cinque nella diocesi di Treviso, ha raccontato la sua missione per 30 anni in Brasile «con la prima tappa nel Nord Est, per sette anni. Sono molto cambiato, venivo dalla scuola teologica occidentale e approdavo alla realtà della Chiesa latino americana degli anni Ottanta. Ho scoperto lì l’importanza del lavoro sinergico delle reti di comunità, quello che ora stiamo sollecitando nella riflessione del cammino sinodale. A Limoeiro nello Stato di Pernanbuco avevo una trentina di comunità da coordinare, poi sono passato a Manaus nella zona dell’Aamazzonia dove sono stato rettore del Seminario. Sono partito con molto entusiasmo e mi sono accorto che sono stati i poveri di quell’area ad evangelizzare me. Mi hanno insegnato ad ascoltare, a sedermi con loro, a camminare e lavorare insieme».