Il Rwanda è stato il teatro di una delle più orrende mattanze della storia umana. Stiamo parlando di un piccolo lembo di terra, nel cuore della Regione africana dei Grandi Laghi, sconosciuto alla gran parte dell’opinione pubblica mondiale quando, nell’aprile del 1994, iniziarono i feroci massacri a seguito dell’abbattimento dell’aereo del presidente Juvénal Habyarimana. Sono trascorsi 25 lunghi anni d’allora ed è importante fare memoria per non dimenticare. Un impegno che il mondo missionario deve riaffermare anche perché, prima del genocidio, il Rwanda sembrava fosse uno di quei Paesi, in quanto a battesimi e devozione, in cui il Vangelo avesse messo radici più che in altre nazioni africane. La storia d’altronde ci insegna che le comunità sono fatte di uomini e di donne che a volte, in giro per il mondo, non si sono realisticamente confrontate col Vangelo e con le sue incarnazioni. Basti pensare ai disastri perpetrati da certi regimi, in tempi anche recenti, sui Balcani, nella cosiddetta Europa cristiana. Sta di fatto che, tornando al nostro ragionamento sulpaese delle Mille Colline, contrariamente a quanto si pensa, il genocidio andò avanti ben oltre la soglia degli anni Novanta.

Foto: Pascal Guyot/ Afp

Prima a morire furono centinaia di migliaia di tutsi, l’etnia minoritaria vessata impunemente dalle milizie Interahamwe, oltre a un numero non indifferente di combattenti hutu delle Forze armate ruandesi, appartenenti al gruppo etnico demograficamente maggioritario e fino ad allora dominante.

Successivamente, si passò alla vendetta dei vincitori che passarono all’arma bianca non solo i loro acerrimi nemici, ma anche tantissimi profughi hutu, perpetrando una vera e propria pulizia etnica, soprattutto nelle foreste dell’ex Zaire, da Shabunda a Walikale, fino a Tingi-Tingi.

Dunque, anche l’attuale classe dirigente ruandese ha le sue grandi responsabilità, a partire dall’attuale presidente Paul Kagame. Fu proprio lui, è bene rammentarlo, a condurre vittoriose le truppe del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) a Kigali, dando vita al nuovo corso politico che, pur non brillando in termini di democrazia, ha dato un grande impulso all’economia nazionale. Non è un caso se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non rinnovò nel 2003 l’incarico a Carla Del Ponte, che guidava la procura del Tribunale penale per i crimini in Rwanda. L’ipotesi di aprire inchieste anche sul Fpr – preannunciata dal magistrato elvetico – suscitò infatti le ire di Kagame che fece pesare le sue influenti amicizie a Washington e dintorni.

Il Genocide Memorial Centre a Kigali
Foto: Steve Terrill/Afp

Non v’è dubbio che i massacri del 1994, avvenuti prima e dopo la presa della capitale ruandese, Kigali, costituirono un’orribile carneficina, per certi versi indescrivibile quanto a ferocia, che causò, secondo alcune fonti governative ruandesi, un milione di morti, principalmente d’etnia tutsi, e, secondo altre, tra le 800 e le 500mila vittime tra tutsi e hutu. Stando al censimento del 1991, il 90,4% (pari a circa 6,5 milioni) della popolazione residente in Rwanda era hutu, l’8,2% (pari a 600mila) era tutsi e lo 0,4% era d’etnia twa. In generale, anche se con alcune eccezioni, i commentatori sono concordi nell’affermare che questi dati possono essere ritenuti alquanto attendibili. Essi corrispondono anche ai risultati ottenuti, estrapolandoli da precedenti censimenti e dai dati sulle migrazioni, di fonti indipendenti. Da rilevare, inoltre, che una buona percentuale della popolazione era mista e che dunque occorre sempre e comunque molta prudenza nel leggere i numeri. Sta di fatto che nel 1994 ed anche dopo, le Nazioni Unite furono colpevolmente incapaci di fermare le violenze, prima in Rwanda e poi nel vicino ex Zaire. Detto questo, è bene rammentare che il genocidio rappresentò un vero e proprio shock anche per la Chiesa cattolica. Molte uccisioni furono perpetrate in edifici sacri, morirono quattro vescovi, sacerdoti, religiosi e laici impegnati, per non parlare dello scandalo di chi partecipò ai massacri passando dalla parte di Caino. Non pochi cattolici furono direttamente artefici delle uccisioni e ciò non ha certamente giovato all’edificazione delle giovani generazioni.

Una fossa comune scoperta nel 2004 a Nyamirambo, Kigali.
Foto: Gianluigi Guercia/Afp

A distanza di 25 anni, alla maggioranza cattolica (65%) spetta il compito di dare il buon esempio. Alcune componenti ecclesiali, infatti, sono tuttora divise e questo certamente non giova alla causa del Vangelo. Soprattutto, vi è il bisogno di onorare i defunti, le centinaia di migliaia di vittime di un olocausto che non potrà mai essere dimenticato. È il caso, ad esempio, di Félicitas Niyitegeka, laica consacrata. Sessantasettenne, abitante a Gisenyi, e appartenente all’etnia maggioritaria hutu, aveva deciso assieme alle sue consorelle, poco dopo lo scoppio della guerra civile, di ospitare nella loro casa un gruppo di rifugiati tutsi, minacciati di morte dai miliziani di Habyarimana. Sapendola in pericolo, il fratello di Félicitas, colonnello delle forze regolari ruandesi, l’avvertì di lasciare subito la casa per sfuggire a una morte sicura. Ringraziandolo della sua premura, la consacrata scrisse al fratello dicendo: «Piuttosto che salvarmi e abbandonare le 43 persone che mi sono presa la responsabilità di proteggere, preferisco morire con loro». Nei giorni seguenti Félicitas continuò a dedicarsi per mettere in salvo la vita di decine di persone, facendole passare attraverso la frontiera. Il 21 aprile 1994 i miliziani arrivarono alla casa della comunità e costrinsero lei e le consorelle insieme al gruppo di ospiti tutsi, a salire sul camion che le avrebbe condotte al cimitero, luogo di esecuzione. Durante il tragitto fu Félicitas ad infondere coraggio a tutti. Una volta a destinazione, i miliziani, temendo la reazione del fratello, tentarono invano di costringere Félicitas ad allontanarsi. Ma lei rispose: «Non ho più ragione di vivere» e fu uccisa con gli altri. Una storia, questa di Félicitas, che fa onore alla Chiesa e al Rwanda.

Oggi il Rwanda è certamente cambiato e il progresso ha impresso una notevole accelerazione allo sviluppo. Ciò non toglie che sarebbe peccaminoso dimenticare quel passato che si nasconde tra le sue mille colline.