Mentre la Repubblica Democratica del Congo combatte per arginare una devastante epidemia di Ebola che dilaga oramai da mesi nel Nord Kivu e in altre zone (sono 2.418 le persone colpite finora), il Fondo Monetario Internazionale concede un prestito di 448,6 milioni di dollari al Paese.

Si tratta di un programma triennale che arriva dopo oltre due anni di negoziati tra Washington e il governo di Kinshasa.

La somma, suddivisa in varie tranche, e soggetta però ad una serie di condizionalità legate alle riforme (tra le quali la lotta alla corruzione), e darà una “boccata d’ossigeno” al Paese africano, così almeno assicurano le autorità.

Fin da subito verranno sbloccati i primi 44,9 milioni di dollari, che però dovranno essere restituiti secondo le modalità fissate dal Fmi e tutto questo indebiterà il Congo ancora più di quanto già non lo sia.

Il governo di Vital Kamerhe (primo ministro dal 7 aprile scorso) dovrà usare questi fondi per creare crescita nel Paese, come chiede il Fmi, e dunque dovrà procedere con investimenti redditizi.

 Ma il problema è che la Repubblica Democratica del Congo (già molto indebitata con diversi creditori), è in perenne emergenza, dovuta alla fortissima conflittualità ed instabilità interna e alla crisi dell’Ebola, alla quale quest’anno si è aggiunta quella del morbillo.

L’Unicef, anzi, spiega che in Congo si muore più di morbillo che di ebola: i casi di bambini (e adulti) morti di morbillo ammontano a 1.981 nel 2019, contro i 1.641 morti di Ebola.

Proprio oggi è partita una campagna di vaccinazioni a tappeto, in accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unicef, nella Provincia dell’Ituri e non solo lì.

In questa zona nordorientale del Congo, dove sorgono diversi campi per sfollati interni, saranno vaccinati 67mila bambini. La maledizione del Congo sembra insanabile: laddove la guerriglia imperversa, la gente rischia la vita,  laddove scappa e si rifugia nei campi, viene raggiunta da malattie e virus che si diffondono con rapidità.

 «La minaccia combinata di Ebola e morbillo per migliaia di famiglie che vivono nei campi per sfollati, luoghi insani e molto popolati, è senza precedenti», ha detto al Guardian il portavoce dell’Unicef Edouard Beigbeder.

Padre Eliseo Tacchella, missionario comboniano a Butembo-Beni, nel Nord Kivu, ci ha raccontato spesso la vita ai tempi dell’Ebola, dove tuttora la gente fa fatica a fidarsi delle autorità e anche dei medici. Da venticinque anni minacciata dalla guerriglia e massacrata dalle milizie armate, mette in dubbio che i vaccini siano efficaci e, sobillata dalle milizie locali, teme che invece il vaccino procuri la morte.

La regione del Nord Kivu è ricca di risorse naturali al confine con l’Uganda e il Ruanda.

E’ proprio questa sua vicinanza all’Uganda che ha fatto temere giorni fa che l’epidemia di Ebola fosse sconfinata: ma al momento secondo l’Oms il contagio è sotto controllo.

Ci sono state però tre persone della stessa famiglia morte di Ebola in Uganda, tuttavia da un mese a questa parte non si sono registrati nuovi casi.

«E’ chiaro che la gente qui in Nord Kivu è stufa della guerra e si lascia prendere in giro: dopo 25 anni di guerriglia e di massacri si è tentati di credere che persino un vaccino possa essere un’invenzione per uccidere – spiega padre Tacchella – – C’è poi anche un discorso di superstizione e di credenze popolari, che per fortuna non riguarda l’intera popolazione congolese».

Il terrore numero uno della gente è quello della selezione eugenetica: si è diffusa la finta notizia che le case farmaceutiche assoldate da elementi governativi starebbero sperimentando vaccini per iniettare dei virus ed eliminare fisicamente alcune popolazioni di Beni, come quella di etnia Banande.

I discendenti di queste etnie del Nord Kivu «si sono sempre opposti alle invasioni: hanno tentato di cacciarli via e prendere le loro terre e massacrarli, ma loro non rispondono mai con la violenza ma facendo figli in quantità».

Le milizie locali più numerose sono quelle dei Mai Mai: con questo termine in realtà si indicano gruppi di autodifesa armati, combattenti composti da leader locali che arruolano giovani uomini e anche bambini prelevandoli dai villaggi in base a criteri etnici.

I gruppi maggiori di combattenti Mai Mai sono i Congolese Resistance Patriots e l’Alliance of Patriots for a Free and Sovereign Congo.