Uno dei nove docufilm prodotti da Luci nel Mondo per la Fondazione Missio, in occasione dell’Ottobre missionario, racconta la vicenda di padre Norberto Pozzi, missionario carmelitano scalzo nella Repubblica Centrafricana. La sua stessa voce, nel video intitolato “Quella maledetta mina!”, racconta cosa è accaduto il 10 febbraio scorso.

Padre Pozzi stava andando a sistemare delle cose nelle scuole delle missioni, per questo si era portato qualche operaio. Superato il villaggio di Bozoum un conoscente lo avverte: tieniti sulla sinistra, perché c’è la possibilità che la strada sia minata. Padre Norberto, come chiunque vive in Centrafrica, è abituato a simili avvertimenti, fa parte del vivere quotidiano in questa parte di Africa. Supera il primo ponticello, supera il secondo, studiando bene dove mettere le ruote sul ponte, e poi il gran botto. La jeep vola, tutti illesi tranne lui. Il missionario perde conoscenza, la riprende a sprazzi dopo, per ricordare di essere stato caricato su una moto, uno davanti che guida, lui in mezzo con un piede a penzoloni, dietro un altro che lo sorregge. E via di corsa verso Bozoum. Nel tragitto la folla che grida, che lo accompagna, che gli tende la mano.

Arriva in condizioni critiche al posto medico, dove l’unica sacca di sangue che hanno è uno zero+, il suo. Sarà un caso, che padre Norberto rilegge dicendo: “Si vede che non era la mia ora”. E poi il trasporto in elicottero prima a Bangui e poi a Kampala, dove gli amputano il piede. E da lì al Rizzoli di Bologna.

Padre Pozzi è in missione da molti anni: era arrivato come laico alla ricerca di un senso della sua vita. Il lavoro in missione, piano piano, l’ha cambiato. Da muratore entra in Seminario e diventa frate carmelitano. L’attività di padre Norberto è frenetica e divisa tra evangelizzazione e promozione sociale in un territorio, la Repubblica Centrafricana, scossa da mille tensioni, non da ultimo una guerra tra fazioni che ha fatto intervenire l’ONU con una forza di interposizione. Le mine fanno parte del tragico e disgraziato gioco della guerra.

C’è da dire che quello del 10 febbraio scorso è il quarto attentato che subisce il missionario. Nei primi tre rimane illeso: in uno la pallottola si conficca nel poggiatesta a un centimetro dalla nuca, nel secondo nel cambio della jeep, al terzo riesce a sfuggire agli attentatori. «Finché ne esci illeso, superi l’impatto. Ma quando ci lasci qualcosa, allora ti fai delle domande».

Ma la voglia di “piedi in cammino” è ancora intatta, nonostante tutto.

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