In piazza per dire no al governo oramai illegittimo e criminale di Joseph Kabila in Congo, ma anche per denunciare l’occupazione di una terra saccheggiata fino all’inverosimile.

Roma stamattina ha visto sfilare per le vie del centro storico un corteo di oltre 300 persone in marcia per la pace nella Repubblica Democratica del Congo; cantando e gridando slogan rivolti verso piazza San Pietro, i manifestanti hanno portato il vessillo di un’Africa crocifissa.

Tra loro c’erano sacerdoti, suore, ma anche molta società civile della diaspora.

“No allo sfruttamento delle nostre miniere e del nostro petrolio! Via la dittatura di Kabila!”: dai megafoni di chi era in testa, partivano parole di denuncia e di rabbia. Ma non soltanto.

La marcia per la pacificazione dell’ex Zaire, voluta anzitutto dalla Cappellania Cattolica della Repubblica Democratica del Congo e dalle associazioni laiche Congolesi in Italia, è stata piena di speranza.

Sotto un cielo terso e un sole spettacolare, la diaspora congolese ha portato in Vaticano la preghiera per un esito positivo dell’impasse politica (Kabila, scaduto il mandato, non accenna a lasciare la presidenza) e per una liberazione umana ancor prima che politica.

La speranza è riposta soprattutto nel Papa che dopo l’Angelus ha salutato il gruppo e rinnovato l’appuntamento per la Giornata di digiuno e preghiera in programma il 23 febbraio prossimo.

“Grazie Santo Padre Francesco”: un lungo striscione bianco apriva il corteo, mentre sventolavano le bandiere della RDC.

Le parole più pronunciate in francese e in italiano: “via i mediocri” e degagè, dimissioni di Kabila. Poi “liberazione e pace”.

La marcia è partita, subito dopo la messa delle nove, da piazza Pasquino, dove ha sede la chiesa della Natività di Gesù ed è poi sfilata lungo corso Vittorio Emanuele II per arrivare in via della Conciliazione e in piazza.

C’erano anche attivisti e gruppi che da anni si impegnano concretamente nella diaspora per portare in Europa la voce di un Paese depredato delle sue ricchezze (l’80% del coltan e del cobalto impiegati in Europa per le tecnologie vengono dal Congo).

 

L’eurodeputata Cecile Kyenge, congolese in una nostra intervista ha usato parole molto dure: “E’ il momento di dire basta – ha detto – Kabila deve andarsene. C’è molto silenzio e molta complicità a livello europeo. Bisogna arrivare fino alla Corte penale internazionale: è questione di crimini commessi, che sono passati inosservati e i responsabili devono pagare”.

La polizia congolese ha più volte sparato sulla folla inerme durante i cortei del 31 dicembre e del 21 gennaio scorso nella capitale, e sono morte decine di persone.

L’attivista John Mpaliza, presente alla marcia di Roma, ci ha detto: “io sono qui come parte del popolo congolese: in Congo non c’è una questione religiosa, noi siamo qui in tanti e tutti uniti per il nostro popolo che sta soffrendo e che in venti anni ha visto morire 8 milioni di persone e 2 milioni di donne che hanno subito violenza come arma di guerra”. Il numero dei morti è impressionante: su uno dei cartelli si leggeva che dal 1994 sono state uccise 12 milioni di persone.

“L’economia europea fiorisce grazie alla morte di tutte queste persone e l’ipocrisia dell’Europa deve finire – ha detto un attivista di Tam Tam Afrique – Se l’Europa vuole essere partner del Congo deve cambiare politica e dare all’Africa la possibilità di evolversi”.

Il 24 marzo è prevista una fiaccolata a Reggio Emilia che verrà portata anche all’Onu a Ginevra.

I promotori della manifestazione odierna si fanno portavoce degli “Accordi politici di San Silvestro del 2016″, voluti dalla Chiesa e dal Comitato Laico di coordinamento (C.L.C.) di Kinshasa” e chiedono nuove elezioni.