THAILANDIA, MILLE PAROLE FATTE DI GESTI
Era giugno quando ho saputo che avrei avuto tutto il mese di agosto a casa dal lavoro.
Spinta da un’irrefrenabile voglia di avvicinarmi a qualcosa di nuovo, di magico, verso qualcosa di significativo, che “lasciasse il segno”, ho deciso di tentare, nonostante fosse già tardi, la richiesta per un viaggio di missione. Avendo già vissuto in passato questo tipo di esperienza, mi sono subito rivolta al Centro missionario di Belluno Feltre (vicino casa mia): «Ci sarebbe in programma con Missio Giovani un viaggio pazzesco in una terra meravigliosa, la Thailandia. Ma purtroppo non ci sono più posti disponibili, mi dispiace». «Va bene, sarà per la prossima volta», mi sono detta senza crederci troppo.
Poche ore dopo, come per miracolo, ricevetti la chiamata più bella della mia vita: «Matilde, da non crederci, si è liberato un posto per il viaggio
in Thailandia! È proprio segno che devi partire!» Era giugno, e ho fatto i salti di gioia.
Ho subito capito la serietà e l’affidabilità di Missio Giovani: a luglio infatti incontrai i miei compagni di viaggio a Verona, per un weekend di preparazione e formazione. In quell’occasione ci siamo conosciuti, confrontati, abbiamo riso, scherzato, cantato, pregato, mangiato, tutto questo
insieme. Insieme, perché, come ci hanno detto subito Giovanni e Anita, i due nostri splendidi accompagnatori, insieme avremmo affrontato questo percorso, questo viaggio. I nostri compagni sarebbero stati il collante di ogni piccola grande esperienza durante la missione. E noi tutti, ospiti di una terra magica e colorata: la Thailandia.
La sera prima di partire ero elettrizzata, completamente euforica, nonostante fossi stanchissima dalle tante ore di lavoro e un po’ impaurita nel lasciare il mio fidanzato per tre settimane. «Tornerai più bella di prima, carica di una luce nuova; fotografa con gli occhi tutto ciò che vedi, e
cattura con il cuore tutto ciò che senti» queste le sue parole prima che partissi. E subito svanì la paura, e subito mi pervase la gioia.
Ed ecco l’incontro con i miei compagni e con Anita e Giovanni: come vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo (qualche settimana in realtà, ma a me sembrò un’eternità), consapevoli di condividere qualcosa di non detto, ma di speciale. Così abbiamo preso il volo: con l’aereo e con il cuore.
Dopo moltissime ore, siamo arrivati: stanchi ma felici. C’era chi aveva dormito, chi si era confrontato con il compagno di posto, chi era stato per conto suo, assaporando fino all’ultimo l’emozione della partenza. Tutti quanti, però, avevamo addosso il profumo delicato della serenità, il colore
acceso della curiosità e il calore potentissimo dell’amore; ed è così che abbiamo affrontato i primi giorni di formazione e preparazione assieme a Chiang Mai.
Poi siamo stati divisi in piccoli gruppi, ognuno diretto verso un paese diverso, ognuno entusiasta di conoscere il luogo e le persone che lo avrebbero accolto. Io e le mie compagne fummo ospitate da un Centro di Accoglienza a Mae Sai, in provincia di Chiang Rai. Centro fondato parecchi anni fa da padre Alberto Pensa (originario di Torino) per bambini nati in villaggi lontani dalla città e dalle scuole, che passano lì le loro giornate, condividendo i pasti, la messa quotidiana, i balli, i canti, i giochi: come una grande, grandissima famiglia.
Occhi curiosi ma discreti, sorrisi luminosissimi ma educati, gentilezza perfetta, accoglienza incantevole: questo è stato il meraviglioso abbraccio
che ci ha accolto, il coloratissimo quadro che ci è apparso davanti, come una fotografia di tutto ciò che è bello e semplice, senza sapere di esserlo.
E gli abbracci… gli abbracci più sinceri della mia vita. Abbracci lunghi, carichi di piacevole silenzio, perché non occorreva dire niente, quando stando zitti ci dicevamo tutto.
Questa è una delle cose che mi ha colpito di più: il thailandese è una lingua completamente diversa dalla nostra; non ha alcuna somiglianza,
alcuna radice comune, ho fatto molta fatica a imparare anche solo qualche parola; ma davvero, parlare spesso sarebbe stato di troppo.
Ricorderò per sempre le mille perfette parole fatte di gesti: quelle manine che mi stringevano forte le dita, quelle testoline sudate dopo ore di corse sul prato che venivano a strusciarsi sulle mie gambe, come un gattino che cerca solo una tua carezza, e magari anche un abbraccio.
Quei pasti preparati per noi ogni giorno, frutto di ore di lavoro in cucina, a base di riso, verdura, carne e amore. Le messe al Centro e nei villaggi, di cui capivo ben poco, ma comprendevo tutto. Con il codice del cuore. E quando si apre quello, quando impari a decifrarlo e ad accoglierlo, non servono parole.
Aveva ragione Luca, il mio fidanzato: tornerai carica di una luce nuova, colma di quelle manine che mi stringeranno forte le dita. Lo faranno
per sempre, per sempre mi ricorderanno quanto bello è amare con purezza, accogliere con discrezione, comunicare con gli occhi, con il sorriso, con la gentilezza.
Perché certe cose non si possono dimenticare. Mai.