La seconda serata del Forum di Sacrofano è dedicata alla visione del film “Papa Francesco, un uomo di parola” (2018) del regista tedesco Wim Wenders che racconta con una formula inedita il papa che tutti conosciamo e che, proprio grazie a quest’opera, scopriamo di non conoscere abbastanza. Grazie ad una lunga chiacchierata tra il pontefice e Wenders, alternata a documenti forniti dal Centro televisivo Vaticano, ripercorriamo i momenti salienti di uno straordinario pontificato che ha portato il cardinale di Buenos Aires ad essere il successore di Pietro. Sempre vicino ai poveri delle periferie dimenticate ma anche sul podio delle Nazioni Unite, tra i profughi a Lesbo, con i leader della Terra, nelle terre di conflitto, sotto la pioggia insieme alle vittime dello tzunami nelle Filippine, sorridente tra i giovani, addolorato nelle denunce dei mali della Chiesa. Il papa stesso si racconta come un missionario h24, 365 giorni l’anno, impegnato a costruire ponti ovunque lo porti il suo ministero itinerante. Sempre fedele all’annuncio del Vangelo, in missione in ogni contesto e cultura. Istantanee di un lungo e appassionato abbraccio all’umanità, sul modello del Poverello di Assisi di cui ha preso il nome. Proprio all’inizio del film rivediamo il santo negli unici inserti in bianco e nero dell’opera che prendono vita dagli affreschi di Giotto ad incarnare l’icona di una fede semplice, povera, sempre innovatrice e rivoluzionaria.

Spiega il regista tedesco: «Sono rimasto commosso quando il 13 marzo 2013 ho sentito l’annuncio dal balcone della Basilica di san Pietro. Il nuovo papa appena eletto dal Conclave aveva scelto il nome di Francesco. Ho capito subito quello che voleva dire, per me è stato uno choc. Francesco era il nome dell’unico santo che ho conosciuto durante l’infanzia. Non potevo credere che quest’uomo ancora sconosciuto avesse il coraggio di scegliere questo nome. Nessun papa aveva mai osato. San Francesco è stato il riformatore più radicale della Chiesa. Poi ho ascoltato quel “Buonasera!” del nuovo papa e ho riso insieme alla gente che era in Piazza San Pietro. Quando sono stato invitato a fare questo film ho sentito che avrei iniziato a girare proprio dalla scelta del nome che prometteva solidarietà con i poveri e gli esclusi. Il papa non ci dice soltanto di fare questo ma ci mostra come farlo, dando l’esempio».

Contattato nel 2013 da monsignor Dario Viganò (all’epoca direttore del Centro Televisivo Vaticano), Wenders ha iniziato a lavorare a questa nuova opera nel 2015, dopo il Festival di Venezia. Le riprese nei giardini vaticani hanno visto il regista tedesco (non cattolico, formato alla scuola teatrale di Weimar) faccia a faccia con il papa per quattro volte nell’arco di due anni, per raccogliere le <<parole di questo uomo di parola>>. Per la prima volta nella storia del cinema (e della Chiesa) un papa ha accettato di farsi intervistare per ribadire con chiarezza e semplicità i temi a lui cari. «Ho sentito parlare di lei ma non ho visto nessuno dei suoi film. Come può immaginare, non vado al cinema » ha detto il pontefice a Wenders incontrandolo per la prima volta. Di questa esperienza interiore prima che artistica, il regista dice: «Nemmeno nei sogni più folli avrei pensato di fare un film su un papa. Ancora meno di un papa così straordinario. Incontrarlo, parlare direttamente con lui così a lungo mi ha veramente sconvolto. A parte i tempi di registrazione delle interviste, ho lavorato al montaggio per molti mesi e sono stato sempre con lui. Questo mi ha cambiato dentro».

Il film segue due registri differenti: quello di una conversazione personale, che si fonde con quello di uno sguardo sul mondo, campo dell’azione evangelizzatrice di papa Francesco. I due linguaggi si amalgamano in un’unica testimonianza di fede, come sottolinea Wenders: «L’energia positiva, la fiducia in Dio, l’umiltà, il coraggio ma anche la gentilezza accogliente di quest’uomo, tutto questo è stato per me fonte di ispirazione e di contagio. Oggi sento di essere un “cristiano ecumenico” convinto. Ma non so se questa definizione esiste».