Alle 8,30 l’appuntamento per i giornalisti accreditati al Sinodo per l’Amazzonia è rigorosamente davanti alla Sala Nervi, entrata obbligata per tutti i padri sinodali e anche per papa Francesco che puntualmente arriva da Santa Marta.

I padri sinodali li riconosci perché tutti hanno la borsetta di juta proposta dalla REPAM (la rete ecclesiale panamazzonica)  per sottolineare un prodotto tipico della regione.

Parlano volentieri con i giornalisti, non di quanto stanno discutendo (sono tenuti alla discrezione e al silenzio come ha puntualmente evidenziato anche , per non alimentare “un Sinodo fuori”) ma degli scenari che questa assise apre.

Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere alla Pontificia Accademia delle Scienze si auspica che il Sinodo accolga appieno le novità contenute nella Laudato Si’ e porti la Chiesa senza indugio sulle strade dell’ad gentes. (Qui la video intervista).

Per monsignor Sergio Gualberti, italiano, vescovo di Santa Cruz in Bolivia, il Sinodo deve dare risposte a esigenze concrete.

In Bolivia, dice, sono andati perduti 4 milioni e 200 mila ettari di foresta in un mese a causa degli incendi.

«Si deve prendere coscienza che questo gioco al massacro è voluto e la chiesa deve prendere sempre più le distanze dalla logica estrattivista».

Le comunità indigene chiedono aiuto alla Chiesa, desiderano una Chiesa vicina alle loro esigenze. Monsignor Adolfo Zon, saveriano spagnolo, è vescovo dell’ Alto Solimões in  Brasile, sulla triplice frontiera con  Colombia e  Perù.

«Le comunità più lontane distano da Tabatinga, sede della diocesi, 1000 km da percorrere sui fiumi. Non ci sono strade! Come fare con distanze enormi ad essere chiesa, a seguire le comunità?», dice.

«Già il documento di Paolo VI Ministeria Quedam», afferma dom Zon, offre soluzioni alle nostre esigenze pastorali.

Padre Saul Ruiz Alvarez è il responsabile dei saveriani nel nord del Brasile, vive a Belem do Parà, ha lavorato quasi 15 anni nelle aldee indigene. «Ci sono troppi interessi in Amazzonia –  dice – e il capitalismo  considera l’Amazzonia come merce di scambio. E quando arriva  la vita nella foresta viene distrutta. Come portare il vangelo tra queste problematiche?».

Peter Hughes è un missionario irlandese da più di 40 anni in Perù. «Siamo in un momento di svolta – dice – dove la chiesa è chiamata a rivitalizzare il suo volto, stando vicino alle esigenze dei popoli indigeni».

Maria Marques de Miranda, laica francescana parla del ruolo della donna e delle aspettative che lei ha per questo Sinodo.

«C’è tempo ma questo è il nostro tempo”, dice. Rivendichiamo come donne un riconoscimento del ruolo che abbiamo nelle comunità».

Sul ruolo della donna e sui conflitti oggi in Amazzonia le fanno eco suor Gervis Monteiro da Silva, paolina che lavora a Manaus, e suor Celia Guimarães Vieira, esperta in biodiversità.

Per ultimo monsignor Erwin Kräutler, vescovo emerito di Xingù – Brasile.

Senza mezzi termini dice che il suo desidero è di poter proporre, attraverso questo Sinodo, al Papa di valutare il ruolo dei viri probati e del diaconato delle donne.

E’ anche su questo, come ha ben inquadrato stamattina mons. Eugenio Coter, vescovo del Pando (Bolivia) nella conferenza stampa, che i padri sinodali si confronteranno.

Mons. Coter ha esteso il concetto dicendo che in Amazzonia, nel mondo indigeno,  l’assenza dell’eucaristia è una delle problematiche: c’è la ministerialità legata alla Parola, all’unzione degli infermi, alla catechesi, alla liturgia, all’accompagnamento dei giovani,  alla “partilha”, perché in Amazzonia non c’è celebrazione se poi  non si  condivide di quel poco che si ha.