Il coltan e il cobalto del Nord Kivu sono minerali “insanguinati” esattamente come lo erano i diamanti dell’Angola ai tempi di Dos Santos e quelli della Liberia di Charles Taylor.

E’ per questo che servirebbe un «Protocollo internazionale che controlli davvero la provenienza del coltan, mettendo al bando i minerali estratti clandestinamente, soprattutto con il contributo della forza-lavoro dei bambini».

A tornare sul tema dell’uso improprio delle risorse nella Repubblica Democratica del Congo, è padre Eliseo Tacchella, un comboniano storico, per molti anni missionario a Butembo-Beni.

 «Il Processo di Kimberley, avviato nel Duemila – ricorda padre Eliseo – portò alla firma di un  accordo internazionale per l’attivazione di un sistema di certificazione nella circolazione dei diamanti grezzi».

La cosa in una certa misura funzionò. Anche se la Repubblica Democratica del Congo non fu mai davvero in grado di assicurare la provenienza “pulita” dei suoi diamanti. Il bollino di certificazione “diamante pulito” per quelli che arrivavano nelle piazze di Anversa, era un obbligo per le multinazionali dei diamanti e garantì che non provenissero dalle zone di conflitto. Il caso del Botswana sembra quello di maggior successo, finora. 

Per il coltan del Nord Kivu (la regione della RDC disseminata di miniere clandestine) e il cobalto,  la cui produzione è del 60% nella RDC,  servirebbe oggi «una analoga messa al bando universale di quanto proviene dalle miniere controllate dai gruppi armati ribelli che alimentano la guerra», suggerisce ancora il missionario.

Anche perché questi minerali alimentano la guerriglia delle bande armate che seminano il panico tra i civili. L’ultimo episodio violento risale al 20 gennaio scorso e ha visto morire 30 civili.

Dal coltan si estrae la tantalite, componente fondamentale dei nostri cellulari, video-camere e apparecchi High tech.

«Serve una tracciabilità. Ma il governo congolese la vuole davvero?», si chiede ancor Tacchella.

L’attuale presidente Félix Tshisekedi, il cui mandato è iniziato il 25 gennaio 2019, è subentrato a Joseph Kabila, il presidente più discusso della storia del Congo.

(Clicca qui per un pezzo su Ebola, virus e complotti in Nord Kivu). 

In realtà negli ultimi mesi, anche su pressione dell’opinione pubblica internazionale e mosso dal fatto che il coltan estratto dai bambini serve a finanziare i ribelli, il governo congolese ha avviato maggiori controlli.

In particolare è in via di sperimentazione un nuovo sistema digitale messo a punto dalla RCS Global,  una società che ha sede a Berlino e che dovrebbe controllare la catena di estrazione del minerale e bloccare quelli che non provengono dalla Societe Miniere de Bisunzu’s (SMB), vicino Rubaya, sito ufficiale e maggior deposito di coltan del Paese.

«Il problema è che i ribelli per comprare armi e pagare i loro combattenti, fanno scavare miniere clandestine un po’ ovunque, usando il lavoro minorile», spiega padre Tacchella.

I minerali vengono subito fatti sparire e rivenduti nei Paesi limitrofi. Per cui, quando arrivano in Europa o in altri Paesi occidentali, risultano acquistati in zone diverse da quelle del Nord Kivu.

La Repubblica Democratica del Congo, soprattutto nelle regioni di nordest, è una sorta di far west, dove agiscono almeno 140 gruppi armati di ribelli, i quali hanno come scopo «quello di depredare le miniere e di togliere la terra ai contadini per occuparla», spiega il missionario.

Il fenomeno dei furti di terra, forse meno noto, è altrettanto grave nel Nord Kivu: «la gente viene costretta da queste milizie a lasciare la casa e il suo piccolo fazzoletto di terra coltivata per cederla ai combattenti che sono diventati i padroni del Nord Kivu».

«In città di solito non ci sono grosse violenze: i massacri più gravi avvengono nella periferia di Beni, dove sono stati rapiti tre sacerdoti. Beni fa 500mila abitanti e la periferia è molto estesa».

Padre Eliseo, che fino a due anni fa ha vissuto nella diocesi di Butembo Bemba, ed è stato testimone del clima incandescente legato al continuo posporre le elezioni politiche, ha sempre denunciato il fatto che il paese era nelle mani di un dittatore. Il popolo non è stato mai davvero protetto dalle violenze dei ribelli, se non dai vertici di una Chiesa locale che ha a cuore la sorte della gente.

Il comboniano ha vissuto indirettamente anche gli orribili fatti del 31 dicembre 2018, quando nelle varie parrocchie sono state uccise dalla polizia otto persone.

In quell’occasione è stata repressa una marcia pacifica organizzata dalla comunità cattolica, conclusa con la morte degli otto manifestanti e l’arresto di numerosi attivisti congolesi per la difesa dei diritti umani.