Padre Pierluigi Maccalli è stato rapito in Niger la sera del 17 settembre scorso. Le notizie che trapelano sono poche e frammentate. Il missionario è vivo ma non sappiamo dove si trovi. La stampa africana azzarda delle ipotesi, le inchieste ricostruiscono il clima di violenza jihadista che imperversa in tutta l’area.

«I villaggi di Diabiga e Kompienbiga, nella parte orientale del Burkina Faso, sono finiti sotto attacco tra il 14 e il 15 settembre scorso. Bilancio: otto civili uccisi. Dieci giorni dopo, il missionario italiano Pier Luigi Maccalli viene rapito a Bamangoa, in Niger, da uomini armati arrivati dal vicino Burkina. Al rapimento ha fatto seguito il 23 settembre scorso, quello di tre impiegati, tra cui un indiano e un sudafricano, nella miniera d’oro di Inata, in Burkina».

Nel cercarli, tre uomini della gendarmeria subiscono un’imboscata. E muoiono. E’ l’inchiesta del giornale francofono Mondafrique a ricostruire nei dettagli i numerosi episodi di violenza avvenuti di recente tra Niger e Burkina, tra cui quello che riguarda il rapimento del nostro missionario della Società delle Missioni Africane.

Secondo Mondafrique, che titola “Un prete italiano rapito dai jihadisti”, la chiave di volta di tutta questa escalation di violenza è da ricercare nelle nuove formazioni terroristiche che imperversano tra il Nord e l’Est del Burkina Faso, sconfinando in Niger, dove è facile sparire tra le sabbie di un deserto infinito.

Il giornale scrive che, fatto fuori il gruppo jihadista burkinabè Ansarul Islam, in seguito alle operazioni francesi in Mali, la piaga del terrorismo non è stata per nulla risanata. Anzi.

Escrescenze di ogni tipo, composte da gruppi armati pericolosi e improvvisati, decisi a fare cassa, imperversano senza freno in tutta quella zona dove i confini sono labili. Altre inchieste dicono che i jihadisti vengono dal Mali.

Ognuno azzarda le sue ipotesi, ma rimane il fatto che questa parte dell’Africa sub-sahariana, scossa da anni di interferenze francesi e di violenze settarie e tribali, è la culla di trafficanti e terroristi improvvisati.

Del missionario prelevato a casa, nella parrocchia di Bamoanga in Niger, la sera del 17 settembre scorso, hanno parlato per giorni i giornali nigerini, tra cui l’agenzia stampa Agence Nigerienne de Presse.

Padre Maccalli quella sera attorno alle 22 era a casa nella adiacente parrocchia, a 125 chilometri da Niamey quando è stato sorpreso da un gruppetto (le ricostruzioni dicono otto persone) di “banditi” che hanno bussato alla porta, lo hanno prelevato e portato via in moto, verso il confine col Burkina, secondo alcuni testimoni.

Non prima d’aver sparato in aria, a mo’ di fuori legge. In una casa vicina c’era anche padre John Arokiya Dass intervistato dal corrispondente a Niamey di Voa Afrique (la versione africana di Voice of America).

«Quel lunedì mi sono addormentato attorno alle 21.30 ma tra le 21.30 e le 22 ho sentito dei rumori – così racconta padre John – e ho pensato che alcune persone del villaggio fossero venute per un caso di possessione! Sentivo tutto quel rumore… Padre Pierluigi è uscito per vedere chi fosse e m’ha detto: “Esci, esci!”».

«Hanno sfondato la porta e se lo sono portato via», ha confermato Thomas Codjiovi, responsabile della comunicazione della missione cattolica in Niger.

I media locali continuano ad interessarsi del caso, se non altro perché questo rapimento fa parte di una serie di episodi violenti e ravvicinati che inquietano le popolazioni nigerine e burkinabè. Le vittime sono spesso civili inermi.

Un bel reportage è quello che pubblica Rfi Afrique, versione africana on line della radio francese Rfi, col titolo: “Niger: la difficile riconversione di Agadez”. Il racconto è insolito perché scava in quell’universo spesso incompreso dei cosiddetti passeur, chiamati con disprezzo in Europa “trafficanti”.

In molti casi si tratta di guide turistiche (che un tempo lavoravano nel deserto col turismo europeo) riconvertite in accompagnatori di migranti nelle rotte migratorie nel deserto, e qualche volta trasformati in veri e propri sfruttatori e infine riconvertiti ancora in altre attività, dopo il recente divieto di trasportare esseri umani diretti in Libia.

E’ la legge del 2016, quella che criminalizza il traffico di migranti, a mettere un freno ai passeur: il racconto di Rfi ci spiega come alcuni di loro cercano di sbarcare il lunario ora che questa attività è sospesa.

I finanziamenti dell’Unione Europea per riconvertire il lavoro sono spesso lenti e arrivano col contagocce: più spesso arrivano solo a posteriori, quando l’attività è stata già avviata ma nessuno ha i soldi per farlo. Così la povertà dei locali aumenta e i migranti comunque non si fermano: cercano altre rotte.

(l’articolo per intero è pubblicato sul numero di novembre di Popoli e Missione)