La Guinea Bissau è in piena anarchia istituzionale a seguito di una violenta disputa tra i due candidati alla presidenza, conclusasi con un colpo di mano militare a favore di Cissoko Embaló.

«In questo momento abbiamo due primi ministri, due governi paralleli, e un presidente auto-proclamato, Embalò, del Movimento para a Alternância Democrática», conferma al telefono da Bafatà don Lucio Brentegani, fidei donum in Guinea Bissau da 12 anni.

L’ex ufficiale dell’esercito sulla carta avrebbe vinto il ballottaggio, con il 53,55% dei voti, ma il risultato non è stato riconosciuto ed è ancora in fase di verifica da parte del Superiore Tribunale di Giustizia.

Temendo un ribaltamento dell’esito finale «Embalò ha forzato la mano, organizzando una cerimonia di auto-insediamento» e facendo intervenire l’esercito.

I rappresentanti dell’esecutivo, regolarmente nominato nella primavera scorsa, sono stati «espulsi a forza dai militari, mentre il nuovo governo ancora non è operativo – dice il missionario – Ha però dalla sua l’esercito e quindi si muove liberamente ed ha accesso a tutti gli uffici pubblici».

Il risultato è che il Paese è fermo e tutte le attività istituzionali sono sospese.

Per 24 ore ha addirittura avuto due presidenti, grazie ad un interim lampo dell’attuale capo del Parlamento.

La vicenda politica è complessa e l’epilogo da manuale per un Paese «purtroppo abituato agli interventi armati», dice il missionario.

Dal 1980 ad oggi si sono susseguiti ben otto colpi di Stato nella capitale Bissau.

Anche in questo caso, i fatti confermano una «modalità autoritaria» e una totale mancanza di rispetto per il popolo. «La gente è rassegnata e abituata alla violenza», dice don Lucio.

Con una popolazione di 1,8 milioni di persone, questo piccolo Paese dell’Africa occidentale, prevalentemente agricolo, ha il 70% degli abitanti che vivono ancora sotto la soglia di povertà.

Dopo le elezioni presidenziali del 29 dicembre scorso, la Commissione elettorale nazionale aveva confermato  la vittoria di Cissoko Embaló. Mentre Domingos Simões Pereira del Partido Africano para a Independência non era andato oltre il 46,45%. Ma Pereira ha subito parlato di brogli.

Da questo momento in poi il caos: Embaló, temendo un nuovo conteggio, ha accelerato i tempi della sua investitura. Si è fatto nominare Presidente con tanto di cerimonia ufficiale scatenando la reazione di una parte del Parlamento.

«I militari da lui manovrati sono entrati in tutti i ministeri e anche nell’istituto della previdenza sociale e hanno buttato fuori quelli che c’erano prima», dice ancora il missionario.

«Il fatto positivo è che non ci sono stati spargimenti di sangue – aggiunge – La situazione è di calma apparente, perché non c’è stata violenza e quindi niente coprifuoco, né militari in strada. Tutto sembra normale».

Don Lucio, che vive a Bafatà e non nella capitale, dice: «non sono ancora stato a Bissau, ma so che anche lì non c’è alcun segno di violenza, la vita scorre come sempre. Però i militari stanno anche impedendo ai giudici di valutare nuovamente il risultato elettorale». I militari oggi controllano anche le stazioni radio, le tv e tutti i media.

«La Guinea Bissau avrebbe bisogno di una cosa soltanto per ripartire e per risollevare la sua economia: di una stabilità istituzionale», dice. Esattamente quella che manca oramai dal 2015.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale, come riporta l’agenzia stampa Lusa, ha parlato di «situazione di anarchia» e ha chiesto il rispetto della Costituzione, minacciando di imporre sanzioni al Paese.