«Il Festival non vuole essere solo una serie di eventi. Sin dall’inizio ha voluto essere un percorso, un cammino fatto insieme: missionari e missionarie in Italia e nel mondo, realtà ecclesiali e della società civile. Un lungo e intenso percorso: due anni di preparazione per confrontarci e costruire un progetto comune. Questo è stato il percorso PreFestival e questo è il Festival e credo sarà anche la sua eredità. Speriamo che la missione torni al centro della vita cristiana, come la intende il documento di Aparecida: tutti siamo missionari. Cosa vuol dire essere missionari? Non vuol dire né spostarsi geograficamente, né dover convincere o convertire altri. Significa essere discepoli e testimoni sulle vie del mondo, camminando assieme agli uomini e alle donne di questo tempo».

Così Lucia Capuzzi, direttrice artistica del Festival della Missione di Milano 2022, racconta la bella esperienza che in tanti (dopo la prima edizione del Festival a Brescia nel 2017) vivono a Milano.

Perché Milano? Quali sono le aspettative?

«Milano è stata scelta e come Arcidiocesi ha accettato di ospitare il Festival. È una metropoli multiculturale e tutto questo si riflette nel Festival: il Festival vuole dialogare innanzitutto con la città e con il mondo, o meglio, portare un frammento di mondo in un altro pezzo di mondo, complesso, che è Milano. Da qui la tematica del dialogo ecumenico e interreligioso, della migrazione, dell’ecologia integrale, dell’economia, dell’arte: tutti elementi che per Milano sono importanti e che non si poteva trascurare».

Quale è stata l’attenzione imprescindibile, da parte della direzione artistica, che ha guidato l’organizzazione delle giornate dell’evento?

«Il Festival ha uno slogan che ci ha guidato: “Vivere per dono”. L’attenzione imprescindibile è quella di vivere davvero e rendere questo Festival “un dono”. Il dono si offre e non si impone. Il Festival della Missione è un momento di dialogo, di incontro, di condivisione di domande, di riflessioni, di inquietudini e speranze».

A cosa vogliono condurci i numerosi e variegati linguaggi ed incontri del programma? Cosa abbiamo bisogno di scoprire o riscoprire?

«Abbiamo bisogno innanzitutto di rincontrarci, dopo una pandemia che ha sconvolto i ritmi e i tempi. Vogliamo incontrarci, ma incontrarci davvero, non solo coincidere nello stesso luogo, e provare a farsi delle domande. Da qui la scelta di vari linguaggi, che vogliono intercettare un po’ tutti i mondi. Il Festival coincide con una grande stagione sinodale della Chiesa (poco dopo si apre il grande Sinodo sulla sinodalità di papa Francesco). Che cosa vuol dire questo? Dobbiamo smetterla di rinchiuderci in bolle: la Chiesa dev’essere una tenda sulla strada e tutti noi non dobbiamo cercare comodi rifugi dal mondo… Il Festival e la missione significano questo: camminare nel mondo e farsi provocare dal mondo».

 

(L’intervista integrale può essere letta su POPOLI E MISSIONE n.8/2022)

 

*Ufficio Comunicazione del Festival della Missione di Milano