L’evangelizzazione non è opera di navigatori solitari: la comunione è la prima forma di dire la Buona Notizia. L’esperienza di missione fra le giovani chiese ci ha fatto scoprire che l’evangelizzazione è e deve essere un’esperienza comunitaria. La missione si fa in comunione e insieme.
In molte diocesi italiane crescono i tentativi di ‘unità pastorali’, di lavoro in rete, dialogo tra le pastorali… Tutto questo, se da una parte genera creatività ed entusiasmo, dall’altra suscita mormorii, malumori, paure, piagnistei, e nostalgie del passato. Apriamo con coraggio il libro della missione, ascoltiamo il cammino delle giovani chiese: le loro fragilità e il loro coraggio possono essere di stimolo e sostegno ai nostri cammini pastorali.  Questa è la testimonianza che in questi giorni ci è pervenuta dal nostro amico don Alberto Reani,  fidei donum in Brasile, nella diocesi di Floresta.  Ascoltiamolo e ringraziamo il Signore.

Don Felice Tenero

 

Carissimi,

vi scrivo oggi stimolato dagli ultimi fatti che riguardano la diocesi e la mia presenza qui a Floresta, considerando che sono qui come segno di comunione tra Chiese sorelle: Floresta e Verona. Comincio condividendo con voi la mia gioia per aver partecipato ad un Consiglio Pastorale Diocesano in questo fine settimana dove i laici hanno mostrato la loro capacità di condurre pastoralmente “le cose di Chiesa”, dando allo stesso tempo la loro testimonianza di missionari cristiani.

Il Consiglio Pastorale è stato totalmente condotto dai laici. I temi trattati sono stati presentati da loro e il modo, era come se raccontassero la loro vita. Uno di loro, presentando il tema dell’anno del laicato, raccontava del suo lavoro in una centrale idroelettrica, di come è riuscito ad organizzare i diversi lavoratori  (elettricisti, meccanici, ingegneri) che erano divisi e in conflitto tra loro; di come li ha riuniti proponendo un Circolo Biblico durante il momento di pausa. Tutto questo a partire da una sua domanda interiore: qual è l’annuncio di Gesù di fronte a una situazione come questa, dove un preconcetto può pregiudicare il funzionameto di una Centrale che produce energia elettrica per mezzo Brasile?

Da un lato la coscienza cristiana, dall’altro la coscienza sociale: se succedesse un problema tra le tre categorie di lavoratori la Centrale potrebbe fermare la produzione, come è già capitato più volte in passato. Ha chiesto ai responsabili della Centrale uno spazio per poter fare un Circolo Biblico durante la pausa. Ha riunito alcuni amici e ha fatto alcuni inviti. Il resto è venuto con la grazia di Dio. Da vent’anni i lavoratori si riuniscono in preghiera per meditare e riflettere la Parola di Dio nell’ora di pausa. E il bello è che non c’è più la necessità che lui sia presente.

Spiegava di aver imparato in Chiesa il metodo del “vedere, giudicare e agire”, e ha cercato di metterlo in pratica. La cosa ha reso agile il lavoro: costituita l’unità tra i gruppi di lavoro, è riuscito a risolvere con rapidità anche alcuni problemi di funzionamento della Centrale. Mentre parlava dell’anno del laicato dava testimonianza di vita. Alla fine ha professato la sua fede dicendo: Credo in Gesú Cristo, Credo nella Chiesa, Credo nella mia parrocchia e nella mia comunità. Le preposizioni “in” e “nella” mostravano un senso di participazione, di appartenenza, di comunione e di corresponsabilitá.

Poi fu la volta dei laici inviati al 14o Interecclesiale delle Comunitá Ecclesiali di Base (CEBs). Tutto questo ha dato nuovo coraggio a noi tutti, che così abbiamo ripreso la programmazione delle attività diocesane per il 2018, specialmente la Quaresima, con la sua Campagna della Fraternità contro la violenza, e la Camminata per la pace. La nostra regione è famosa per i conflitti e la violenza, con un altissimo indice di omicidi.

Una riorganizzazione personale

Un altro fatto che voglio condividere con voi mi coinvolge più personalmente ed esige una mia riorganizzazione di vita. La parrocchia qui vicino, Jatobá, è rimasta senza prete per un anno. I laici hanno affrontato la sfida dell’organizzazione della pastorale, dell’autosostenersi anche economicamente, dell’essere missionari nelle comunità, ecc. Finalmente, il giorno delle Ceneri è arrivato un parroco, padre Pietro Paolo. Ora, la notizia che i preti della Congregazione Sacra Famiglia lasciano la parrocchia di Tacaratu, nello stesso vicariato, e che le due congregazioni che avevano dato un cenno di disponibilità per venire ad aiutare nella nostra diocesi, alla fine non vengono. Questo  ci lascia di nuovo in difficoltà. La chiesa di Tacaratu è un santuario. La parrocchia è costituita da una cinquantina di comunità disperse su un territorio di più di 500 kmq.  Il vescovo mi ha chiesto di dare un aiuto. Già aiutavo la parrocchia di Jatobá, ma là i laici riuscivano a fare la maggior parte dei servizi. A Tacaratu posso contare su tre suore, già che il Consiglio Pastorale di Tacaratu non è organizzato ancora per sostenere la parrocchia, e il Consiglio Economico è fragile. Risultato: davanti alla necessità, sarò l’amministratore parrocchiale di Tacaratu. Questo implica una riorganizzazione mia e della parrocchia perché continuerò con la mia attività principale che è la presenza tra i popoli indigeni della diocesi. Ci saranno momenti in cui non potrò celebrare la messa e le comunità si organizzeranno con la Celebrazione Domenicale della Parola. Già ho chiesto al vescovo di permettere che le suore celebrino i battesimi. Vedremo come fare per i matrimoni. Una suora sarà responsabile con me dell’amministrazione economica.

Vi scrivo tutto questo perché sappiate che ci sono molte Chiese nostre sorelle in situazioni simili o peggiori, perché ricordiate che la Chiesa è tutta missionaria e che abbiamo bisogno di dare, di aver coraggio di donarci, di donare quello di cui noi abbiamo in abbondanza. Le nostre diocesi italiane, con ancora tanti preti,  potrebbero  aiutare altre dove non ci sono (qui a Floresta siamo in 18, di cui 7 locali e gli altri stranieri).

Vi scrivo perché vedo molti lamentarsi in Italia perché non hanno più il prete nella canonica della parrocchia, ma sono insieme, in comunità presbiterali, servendo  più parrocchie. Qui le parrocchie hanno un’estensione tra i 50 e i 100 chilometri,  con 50-80 comunità,  in maggioranza isolate, con strade senza asfalto. Solo le spese di benzina diventano assurde. La volontà nostra è di poter offrire perlomeno i sacramenti principali, ma come offrire quello che consideriamo più importante, ovvero una formazione di base, un’iniziazione cristiana che faccia dei laici testimoni di fede, missionari e animatori delle loro comunità? Per questo, ancora una volta, ho detto il mio si al vescovo quando mi ha chiesto aiuto. So che sarà difficile ed esigente. La mia agenda già piena dovrà prevedere tempi e priorità. La mia vita spirituale dovrà alimentarmi il sufficiente per poter ricaricarmi di Cristo e poterlo portare con me perché incontri la gente e, come faceva per le strade della Palestina, dar coraggio ai poveri, speranza ai disperati, un freno agli orgogliosi, e annunciare a tutti: Il Regno di Dio sta in mezzo a voi! Il cammino quaresimale ci aiuti a progredire nella conoscenza e familiarità con Gesù Cristo e corrispondere al suo amore per noi e per l’umanità sofferente che spera la resurrezione.