Cari amici di Missio, ci pare importante, come redazione di Popoli e Missione, ritornare su un tragico fatto di cronaca nera “africana” – è un eufemismo, s’intende – legato a quanto avvenuto giovedì scorso nelle acque antistanti la Libia. Decine di migranti, tra cui donne e bambini, sono annegati in quello che si teme possa essere stato il peggior naufragio dall’inizio dell’anno. Il mare s’è trasformato, ancora una volta, in un Mare Monstrum che si ostina ad inghiottire ad ogni piè sospinto, come un famelico titano, vittime inermi. Anche in questa occasione, purtroppo, nel nostro Paese i luoghi comuni hanno intasato i social ed ogni genere di comunicazione; ciarpame di chi specula sulle altrui disgrazie. Secondo Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI, se è vero che sono calati gli arrivi sulle coste del Bel Paese (come dichiarato dal ministro degli interni Matteo Salvini), le partenze invece sono cresciute. Con il risultato che oggi un migrante su sei perde la vita in mare, a differenza dello scorso anno quando moriva un migrante ogni 29. Infatti, se il tasso di mortalità nel Mediterraneo, nel periodo 2014-2018 si aggirava intorno al 2, 4%, tra il giugno 2018 e il giugno 2019 è salito al 6,2%.
Siamo dunque di fronte ad uno scenario inquietante rispetto al quale è necessario pregare, riflettendo in particolare sulle responsabilità umane (di noi tutti) di fronte a quei corpi senza vita cui è stato negato il diritto di “fuggire” e dunque di “esistere”. Per non parlare dei sopravvissuti, colpevoli d’un reato incomprensibile alle menti pensanti, quello di una presunta clandestinità, quasi fosse un peccato essere riusciti a salvare la pelle. Anche perché mentre un numero cospicuo di politici ed opinionisti continua ad istigare l’odio contro gli immigrati provenienti dall’Africa – strumentalizzando, ad esempio, la tragica morte di un nostro carabiniere Mario Cerciello Rega, ucciso a Roma per mano di un americano e non di un magrebino come dichiarato dai signori di cui sopra – il “Decreto Sicurezza Bis”, concepito in flagrante violazione del dettato costituzionale, del diritto internazionale e di quello del mare, smentisce l’identità cristiana di chi ha la pretesa di brandire il crocefisso. Infatti, il sacrosanto dovere di salvare le vite umane in mare non può essere confuso con il legittimo diritto di ogni Stato a esercitare il controllo dei flussi migratori. Questa confusione – istigata peccaminosamente ad arte nell’opinione pubblica – sta generando, di giorno in giorno, un clima d’intolleranza e di ostilità che rischia d’isolare e svalutare chi in mare compie quotidianamente il proprio dovere per salvare esseri umani in pericolo di morte.
Anche noi cristiani, che, solitamente, assolviamo noi stessi con la pretesa d’essere credenti, dovremmo avere il coraggio di confessare la nostra palese omertà. Quella di non dare voce ai senza voce, a coloro che vivono nei bassifondi della Storia. Purtroppo, spesso, è la demagogia a prendere il sopravvento, manipolando le coscienze, col risultato che, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, passiamo oltre. Anche loro, a pensarci bene, avevano motivi apparentemente religiosi per non fermarsi (non ci si poteva avvicinare al Tempio se si era contaminati dal sangue). Ma la domanda di Gesù non lascia scappatoie. Il Signore non ci chiede chi è il nostro prossimo (con buona pace di chi dice prima i miei e poi gli altri se posso, prima gli italiani e poi gli stranieri…). Il Signore vuole sapere chi è stato il prossimo di quell’uomo abbandonato e moribondo ai margini di una strada in Palestina e oggi lasciato mezzo morto su una spiaggia del Mediterraneo.