GAUDETE ET EXSULTATE

 

Mettere al centro Dio. A cinque anni dalla sua elezione come vescovo di Roma, colui che coordina nell’Amore e nella Caritá la chiesa cattolica, papa Francesco ha deciso di pubblicare la sua terza Esortazione apostolica dal titolo Gaudete et exsultate (GE). Essa ha come argomento la «chiamata alla santità nel mondo contemporaneo». Francesco condivide con ciascuno e ciascuna di noi  un messaggio «nudo», essenziale, semplice che indica ciò che conta, il significato stesso della vita cristiana, che è, nei termini di sant’Ignazio di Loyola, «cercare e trovare Dio in tutte le cose». Questo è il cuore di ogni riforma, personale ed ecclesiale: mettere al centro Dio.

L’Esortazione non vuole essere un «trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si potrebbero fare circa i mezzi di santificazione». L’«umile obiettivo» del Papa è quello di «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (GE 2). E in questo senso spera che le sue «pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità» (GE 177). Il discernimento è il centro vitale che promuove il cammino della santità. Il  vescovo di Buenos Aires,cardinale Bergoglio, divenuto papa, ha scelto il nome «Francesco»: come pontefice, ha sposato la missione di Francesco d’Assisi: «ricostruire» la Chiesa nel senso di una riforma spirituale che abbia Dio al centro: «Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente» (GE 1).

La Gaudete et exsultate si compone di cinque capitoli. Il punto di partenza è «la chiamata alla santità» rivolta a tutti e a tutte.

 

Una santità quotidiana e semplice

Cosí diceva il cardinale Bergoglio in una intervista alla Civiltà Cattolica alcuni mesi prima di essere eletto papa:«Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana». E ancora, più estesamente: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomonē, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui parla anche sant’Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio» Ci vengono in mente le parole dei padri conciliari nel documento Lumen Gentium  del Concilio Vaticano II che nel quinto capitolo parlano della «vocazione universale della santità».La santità va dunque cercata nella vita ordinaria e tra le persone a noi vicine, non in modelli ideali, astratti o sovrumani. La santità non è una santitá lontana, da “vetrina”, da “teca”, ben fatta, apparentemente bella, da “tintoria”. Non bisogna cercare vite perfette senza errori (cfr GE 22), ma persone che, «anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore» (GE 3). Per esempio, pratica di santità è anche la rinuncia al pontificato attuata da papa Benedetto XVI, Francesco ha affermato in una intervista sempre alla Civiltà cattolica . «Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà».

 

Una santità di popolo

Francesco ci aiuta a comprendere come la santità vive nel corpo vivo del Popolo di Dio. Ci aiuta a comprendere l’ importanza,nel cammino della santità di ogni uomo e donna, come sia fondamentale diventare Popolo  ( citare EG 270). In sintesi, egli afferma che la santità «è la visita di Dio al suo corpo». Scrive nell’Esortazione: «Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (GE 6).

Siamo dunque «circondati da una moltitudine di testimoni», che «ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta» (GE 3). Risuonano qui le parole del Pontefice che avevamo letto in Evangelii gaudium (EG), là dove aveva scritto di una «“mistica” del vivere insieme», di un «mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87).

Questa esperienza di Popolo riguarda non soltanto coloro che abbiamo accanto, ma si fonda su una tradizione vivente che comprende chi ci ha preceduti.

 

Una santità personale come missione

La santità stessa è una missione. Non c’è un ideale astratto. Francesco lo aveva scritto con parole di fuoco in Evangelii gaudium: «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri» (EG 273). Colpisce l’estrema concretezza degli esempi. Bergoglio non parla o scrive mai «in generale»: ha bisogno di indicare figure concrete, esempi, di fare persino elenchi.

Si tratta dunque di discernere la propria strada, la propria via di santità, quella che permette di dare il meglio di sé, come scrive Francesco ricordando implicitamente la lezione del suo confratello (cfr GE 11).

Questa dimensione personale che tocca tutti è uno dei pilastri della Gaudete et exsultate. «Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita» (GE 24), esclama Francesco, rivolto al lettore.

 

Una santità graduale, Che abbraccia tutto e senza steccati

Francesco ci propone in Gaudete et exsultate  un metodo fondamentale per il cammino quotidino, personale e come popolo, alla santità: la gradualità: «Dio non vuole per tutte le anime una eguale perfezione; tanto meno desidera che un’anima giunga d’un colpo a quel grado di santità che può raggiungere». La santità dunque emerge dall’insieme della vita, e non nell’analisi puntigliosa di tutti i particolari delle azioni di una persona. Non c’è una «contabilità» delle virtù. È dall’insieme della vita – a volte fatta anche di contrasti di luci e ombre – che emerge il mistero di una persona in grado di riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi (cfr GE 23). E questo, dunque, si compie «anche in mezzo ai tuoi errori e ai tuoi momenti negativi» (GE 24).

Occorre poi sempre considerare adeguatamente i limiti umani, il cammino progressivo di ciascuno, ma anche il grande mistero della grazia che agisce nella vita delle persone. Il santo non è un «superuomo». «E la grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo. Perciò, se rifiutiamo questa modalità storica e progressiva, di fatto possiamo arrivare a negarla e bloccarla, anche se con le nostre parole la esaltiamo» (GE 50).

Anzi, la santità può essere vissuta «anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti», nei quali «lo Spirito suscita “segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo”» (GE 9), come scrisse san Giovanni Paolo II.

Il rischio più grave, infatti, è la presunzione «di definire dove Dio non si trova, perché Egli è misteriosamente presente nella vita di ogni persona, nella vita di ciascuno così come Egli desidera, e non possiamo negarlo con le nostre presunte certezze» (GE 42). Al contrario, persino quando «l’esistenza di qualcuno sia stata un disastro, anche quando lo vediamo distrutto dai vizi o dalle dipendenze, Dio è presente nella sua vita» (GE 42).

 

Dobbiamo dunque cercare il Signore in ogni vita umana, senza «esercitare un controllo stretto sulla vita degli altri» (GE 43). Ritroviamo qui in poche righe il richiamo – che appare di frequente in Amoris laetitia (AL) (cfr, ad esempio, AL 112; 177; 261; 265; 300; 302; 310) – a evitare l’atteggiamento di essere controllori della vita altrui che porta a un giudizio che è condanna. Francesco ci invita, nella spiritualità della compagnia di Gesú di Sant’ Ignazio di Loyola, a ”cercare Dio in tutte le cose perché l’ esperienza spirituale dell’ incontro con Dio non è controllabile”…Quale Grazia ha condotto la nostra vita all’ incontro con l’ Amore gratuito nella sequela di Gesú!

A ciascuna, a ciascuno, buona erranza di missione nel pellegrinaggio della nostra vita semplice e comunitaria che è SANTITÁ!

Supporti multimediali pensati per questo articolo:

https://youtu.be/HYznWJRrlXY  Enzo Bianchi audio…sulla santità e il cammino ecumenico

https://youtu.be/_62TYRsvMz0  video clip sulla gaudete et exultate

https://youtu.be/-CIp3i8rB_M  il bimbo Emanuele che chiede del suo papá che non credeva…

https://youtu.be/4DGXRgFXC6o la canzone dei contrari di Angelo Branduardi

https://youtu.be/3fg0qhJSmS8  vanità tutto è vanità di Angelo Branduardi