«IL MIO NOME È madame MOUAFON»

Mi chiamo Ilaria Tinelli, anche se da un paio di mesi sono diventata “madame Mouafon” e nella Settimana Santa ho compiuto 27 anni. Nata e cresciuta a Brescia, in una famiglia da sempre missionaria, all’età di 18 anni, sulle orme dello zio missionario comboniano in Mozambico e su quelle di mio fratello maggiore, detto “giramondo”, ho vissuto la mia prima esperienza in terra africana.

Spinta dall’entusiasmo dei miei genitori che da sempre mi hanno insegnato a donarmi agli altri, ai più poveri, agli ultimi, ho colto al volo la proposta che mi era stata fatta al liceo, quella di partire per un’esperienza di un mese in un villaggio chiamato Pomerini, nella provincia di Iringa, in Tanzania.
Da quella prima esperienza che ho vissuto con altri giovani di alcune scuole superiori di Brescia e della provincia, ho potuto iniziare ad assaporare ciò che sarebbe diventato di lì a poco il mio mondo, la mia missione.
Negli anni successivi ho iniziato a frequentare il Centro missionario diocesano di Brescia (che già era di famiglia) ed il corso “Nuovi Stili di Viaggio” per poter conoscere di più quello che stavo vivendo, per avere l’opportunità di confrontarmi con altri giovani che avevano fatto la mia stessa esperienza, per vivere la fede con occhi e cuore un po’ più missionari nella mia quotidianità.
Ho così avuto l’occasione di poter partire per un’altra esperienza di missione a Morrumbene, nella diocesi di Inhambane (Mozambico), e l’anno successivo nuovamente in Tanzania, questa volta in un villaggio chiamato Nyabula. E ancora, nell’anno della mia maturità, ho deciso di mettermi in gioco per i giovani e, affiancando l’équipe nel corso annuale, sono partita con alcuni ragazzi per il Burundi, nelle missioni delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth.

È stata proprio nella terra “delle mille colline”, con la presenza di queste suore con le quali ho stretto un rapporto di amicizia, che il mio cuore è rimasto “intrappolato” per sempre nella “mia Africa” e che mi sono innamorata della missione.
Appena laureata ho, però, voluto provare a vivere quella che sentivo essere la mia vocazione per un periodo più lungo e così, nonostante avessi fatto richiesta per fare l’anno di Servizio Civile con Focsiv in Madagascar, il Signore ha voluto che partissi per vivere questa esperienza in Camerun, detto anche “l’Africa in miniatura” per i suoi differenti tipi di ambiente: dalla foresta equatoriale del Sud (da dove vi sto scrivendo), alla savana arida del Nord.

Nessuno avrebbe immaginato che dal quel 5 dicembre 2017 in cui ho messo piede in questa terra per la prima volta, mi ci trovassi ancora tutt’oggi. Eppure eccomi qui, sposata e felice, mentre vi scrivo dalla mia umile e semplice casa, illuminata dal bagliore di una candela.
Eh già, il Signore, nonostante le mie intenzioni fossero completamente diverse, mi ha voluta in questa terra. Ma vi dirò di più: quel “tipetto” con cui ogni tanto ci arrabbiamo perché pensiamo non ci ascolti, o perché fa cose che non ci piacciono, o ancora quando pensiamo che non esista perché in questo mondo ci sono tante ingiustizie, sì, proprio Lui, quell’unico Dio che è Padre di tutti noi, ha voluto che il mio cuore si incontrasse e si intrecciasse con quello di un giovane camerunese, senza che io chiedessi nulla. Che meraviglia!

E quel ragazzo non è un uomo qualsiasi. Ahamdou, dal 13 febbraio 2020, giorno in cui è stata scattata questa foto, oltre ad essere il mio infermiere preferito, il mio migliore amico, il mio confidente speciale, è diventata la persona che ogni sera mi avvolge tra le sue braccia, mio marito. Ecco perché all’inizio vi dicevo che da poco mi chiamo “madame Mouafon”.

Guardateci e vedete quante sono le diversità che ci arricchiscono, che ci completano a vicenda.

Lui musulmano, vestito con l’abito tipico, il boubou, ed io cristiana, innamorata della terra rossa, con il mio vestito bianco unito al pagne, il tessuto africano.

Siamo così diversi e così uguali, complici di un grande e unico amore. Così diversi e così uguali nel lodare quotidianamente l’unico Dio che abbiamo in comune, che lui chiama Allah ed io invece chiamo Cristo, quell’unico Dio che ci ha dato questo grande dono prezioso che è la nostra vita insieme, per sempre.

Un dono immenso per noi perché, davanti a tante discriminazioni e pregiudizi, possiamo testimoniare quanto sia bello amarsi nelle diversità. E’ davvero un dono meraviglioso, perché guardandoci negli occhi, ogni giorno, per il resto della nostra vita, troviamo quella pace interiore che tanto aspettavamo, quell’Amore vero che tanto cercavamo, quella gioia grande che da sempre Dio riservava per noi.

Ecco, questa sono un po’ io, piccola matita nelle mani del Signore; questi siamo un po’ noi, figli diversi ma fratelli dell’unico Dio Padre.
Certamente non è sempre facile vivere ogni giorno in un Paese così diverso da quello in cui sono nata o accettare la proposta del vescovo locale di lavorare in un ambito che mai avrei pensato, visti i miei studi universitari in educazione. Eppure tutto ciò che arriva cerco di vederlo come dono del Signore, come missione a cui Egli mi ha chiamata, perché questa è la mia vocazione: essere missionaria là dove il Signore mi vuole, testimoniando a tutti i fratelli che una convivenza tra diversità è possibile, che un mondo pacifico può esistere, anche nell’amore tra due religioni e culture diverse.

Ilaria Tinelli