“Nella cittadina di Nueva Helvecia, a 130 km da Montevideo, dove sono parroco,  ci sono solo 4 casi di positivi al Covid”, afferma don Marco Bottoni, fidei donum di Lodi  in Uruguay.

Don Marco, come è arrivato da voi?

Mah, si dice con delle persone arrivate dall’Italia o comunque all’Europa. In ogni caso qui il sistema ha reagito in modo tempestivo, sicuramente alla luce della tragedia che già stava travolgendo l’Europa.

In che modo?

Il 13 marzo, venerdì, c’è stato il primo contagio accertato e già la domenica successiva, il 15,  tutto era chiuso, fermo il campionato di calcio, le celebrazioni, il lunedì chiuse anche tutte le scuole e molte attività economiche.  Certamente l’Uruguay, grande come metà Italia e  con solo 3 milioni di abitanti -la metà dei quali vive in città- non può avere  le problematiche di altre realtà.  Però penso che la tempestività nel contenere il possibile contagio abbia aiutato molto.

Ad oggi di che numeri stiamo parlando?

Numeri contenuti: meno di mille positivi e solo 9 morti. Nella realtà  saranno certamente di più, ma comunque rimangono numeri  assolutamente marginali.

Come fa il parroco in questa nuova situazione?

Innanzitutto è bene ricordare che l’Uruguay non è né l’Argentina, né il Brasile, dove la fede fa parte integrante della vita della gente. L’Uruguay è il paese più laicista dell’America Latina, solo il 5% delle persone esprime sentimenti religiosi partecipando alle attività di una chiesa. Anche la chiesa cattolica quindi non è una chiesa dai grandi numeri. Detto questo, qui è tutto fermo anche se non c’è il blocco totale.  Abbiamo possibilità di spostamento mantenendo la distanza tra le persone, e il divieto di  raggruppamento. Per questo le celebrazioni sono sospese. Anche noi non abbiamo potuto celebrare i riti della settimana santa. Io celebro con una piccola comunità di suore che vivono vicino alla casa parrocchiale, avendo molte precauzioni per quanto riguarda distanze e protezioni. L’attività catechistica e di evangelizzazione nelle comunità è ferma. C’è la messa del vescovo trasmessa con i più svariati mezzi della comunicazione e cerchiamo di rimandare a questo appuntamento e non a moltiplicarlo con altri.

Come vive la gente questo periodo?

Con disciplina, anche se nell’immediato futuro ci saranno certamente dei problemi. Il blocco colpisce soprattutto i lavoratori informali. Nella mia realtà nessuno soffre la fame ma molti sono lavoratori che non hanno impieghi strutturati o con garanzie. Molti lavorano nell’edilizia con lavori di manovalanza a chiamata, non poche donne  svolgono lavori di colf o babysitter. Tutto chiuso, tutti a casa! Come si fa, mi dicono, a sostenere il blocco con la conseguente mancanza di salario, se dura per troppo tempo?

Avete messo in piedi delle iniziative di solidarietà?

Si, c’è la “olla solidaria”, la pentola della solidarietà, che è un pasto al giorno offerto a chi ne ha bisogno e una merenda per i ragazzi.

E’ una iniziativa della chiesa cattolica?

No, è di un comitato civico al quale anche la chiesa cattolica partecipa. Qui in Uruguay il laicismo diffuso e orgoglioso ama gestire direttamente anche queste forme di solidarietà. E la chiesa cattolica, come le altre chiese protestanti storiche- qui molto diffuse e arrivate con l’emigrazione  agli inizi del secolo scorso- appoggia volentieri.

 

 

nella foto nell’articolo: prime comunioni nella parrocchia di don Marco Bottoni, prima del coronavirus.