Parole chiare e orizzonti larghi per papa Francesco, che tratteggia a grandi pennellate lo scenario geopolitico in cui si giocano i destini di pace di molte aree di crisi nel corso del 2018. Ricordiamo le sue linee guida per diplomatici (e politici) in questo momento post-elettorale di grande incertezza.

C’è un modo, per quanti seguono “professionalmente” gli sviluppi di un pontificato, di comprendere nei primi mesi di ogni anno, quali saranno le principali direttive sul piano politico lungo le quali intendono muoversi il papa e la Santa Sede.

E’ quello di leggere insieme due interventi che aprono l’anno: il Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio, e il discorso che pochi giorni dopo il papa tiene al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Il pontificato di papa Francesco non fa eccezione.

Da questa duplice lettura emerge una questione di fondo: nella geopolitica mondiale crescono insieme una confusione valoriale e una paura nemica della pace e sembra latitare, tra i responsabili delle nazioni e tra le stesse popolazioni, il coraggio di essere operatori di giustizia e costruttori di pace.

La linea è quella di sempre, cioè sollecitare e sostenere la comunità internazionale nella scelta di strade di pacifica e giusta convivenza tra i popoli, con chiare specificazioni, come è ovvio, soprattutto nel discorso agli ambasciatori. Se una novità c’è stata quest’anno è stata l’accentuazione di papa Francesco sullo “stato dei diritti”.

Ricordando che nel 2018 cade il 70esimo della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, oltre che il centenario della fine della prima guerra mondiale, il papa ha rilanciato un tema cruciale nella riflessione della Chiesa.

«Nel corso degli anni, soprattutto in seguito ai sommovimenti sociali del Sessantotto, l’interpretazione di alcuni diritti è andata progressivamente modificandosi, così da includere una molteplicità di ‘nuovi diritti’, non di rado in contrapposizione tra loro» ha detto.

Si sono cioè «affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare.

Vi può essere quindi il rischio – per certi versi paradossale – che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano a instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli».

Parole chiare che chiamano in causa sia le “eccezioni” al primo e fondamentale dei diritti, quello alla vita, sia i danni di una globalizzazione economica e finanziaria sempre più rapace, sia le radicalizzazioni pseudoreligiose e le loro derive terroristiche.

Condanna delle armi nucleari
Per il resto, come ogni anno, l’attenzione è stata rivolta alle crisi in atto, a partire dal pressante invito a sostenere «ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni, accrescere la fiducia reciproca e assicurare un futuro di pace al popolo coreano e al mondo intero».

Un invito che ha concluso il lungo passaggio dedicato alla ribadita condanna del proliferare delle armi in genere e del riproporsi della minaccia nucleare in particolare.

In proposito, Francesco, ha citato il Trattato adottato dall’Onu l’anno scorso, ricordando che la Santa Sede lo ha ratificato.

E c’è da dire che tale scelta potrà sembrare inconsistente sul piano operativo, ma ha comunque un forte valore di esempio per quelle nazioni che in merito fanno ancora orecchie da mercante.

Un appello il papa ha rivolto a israeliani e palestinesi, invitando loro e la comunità internazionale a ponderare ogni iniziativa affinché «si eviti di esacerbare le contrapposizioni» e a non deflettere da un “comune impegno” a rispettare lo status quo di Gerusalemme, «città sacra a cristiani, ebrei e musulmani», in quella che a tutti è apparsa una neanche tanto velata condanna del recente riconoscimento statunitense di Gerusalemme come capitale di Israele.

Forme sottili di violenza
Passaggi specifici hanno riguardato la Siria e l’Iraq e le annesse questione dei milioni di profughi nei Paesi limitrofi, in particolare nel Libano, per il quale serve un vero sostegno internazionale. Tra le altre crisi, il papa ha citato quella «politica ed umanitaria sempre più drammatica e senza precedenti» in Venezuela, la situazione in Ucraina e le sofferenze «di tante parti del Continente africano», specialmente in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Nigeria e nella Repubblica Centroafricana.
Più in generale, il papa ha ricordato che a ledere i diritti umani non sono solo la guerra o la violenza.

«Nel nostro tempo ci sono forme più sottili», ha detto. Quelle cioè che vedono vittime «i bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere, talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti; gli anziani tante volte scartati, soprattutto se malati, perché ritenuti un peso; le donne, che spesso subiscono violenze e sopraffazioni anche in seno alle proprie famiglie; le vittime della tratta delle persone».

Francesco ha posto attenzione su temi fondamentali come famiglia; libertà religiosa; diritto al lavoro; salvaguardia dell’ambiente; necessità di «tutelare il diritto alla salute» e favorire «un facile accesso per tutti alle cure e ai trattamenti sanitari»; sollecitudine verso i migranti e la loro integrazione, che comporta diritti e doveri da parte di tutti i soggetti interessati.

Questione migratoria
Proprio alla questione migratoria era stato dedicato per intero il Messaggio per la Giornata della pace, giunta alla sua 51esima edizione. Francesco suggerisce quattro punti fermi: «accogliere, proteggere, promuovere e integrare», come uniche strategie efficaci per evitare le destabilizzazioni che possono accompagnare i flussi migratori.

Il papa non è certo un ingenuo, né  la sua è una mera espressione di «buoni sentimenti». L’attenzione è rivolta esplicitamente alla politica. In questo 2018, l’Onu dovrà definire e approvare due patti globali, «uno per  migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati». Dovranno indicare a ogni governo «un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche».

Ma come spesso è accaduto e continua ad accadere, le convenzioni rischiano di restare lettera morta per tanti governi che pure le hanno salutate con enfatiche dichiarazioni di plauso. Né sono di buon auspicio le più recenti politiche delle maggiori potenze, come gli Stati Uniti, ma anche dall’Unione Europea nel suo complesso, con particolare accentuazione in alcuni suoi Stati.

Per il papa è cruciale che quei patti «siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza».

Invita quindi i Governi a vero dialogo e vero coordinamento, senza limitarsi ai confini nazionali e senza cedere ai populismi che alimentano la paura.

Per esempio consentendo che anche «Paesi meno ricchi possano accogliere un numero maggiore di rifugiati, o accoglierli meglio, se la cooperazione internazionale assicura loro la disponibilità dei fondi necessari».

Il che non significa pagarli per impedire a migranti e profughi di raggiungere i Paesi pagatori. Anche perché gli ultimi esempi, cioè gli accordi europei con quel governo libico privo di reale controllo del suo Paese, per quegli infelici si sono tradotti in campi di concentramento, se non peggio, come documentato da molte fonti attendibili, a partire dai rapporti dell’Onu.