Una nota del CESTIM (Centro Studi sull’immigrazione) sull’articolo 110 bis del Decreto Rilancio del 19 maggio scorso che tratta di “emersione di rapporti di lavoro” e che riguarda braccianti e badanti. Italiani, ma soprattutto stranieri.  

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Conosciamo sanatorie e regolarizzazioni dal 1986. Sappiamo che almeno i due terzi degli attuali immigrati regolarmente presenti nel nostro Paese (più di 5 milioni), lo sono diventati grazie a sanatorie, regolarizzazioni e decreti flussi che nascondevano sanatorie e regolarizzazioni. A loro se ne aggiungeranno altri 2-300 mila con la regolarizzazione appena decretata. Alla fine sarà un bene per braccianti, badanti e colf che ne beneficeranno, nonostante per l’ennesima volta si saranno fatti passare attraverso il solito percorso super-accidentato (per usare un eufemismo) pieno di insidie, sofferenze, costrizioni a false dichiarazioni e penose conseguenze che potevano essere risparmiate. Resteranno purtroppo, però, ancora una volta fuori dai benefici della regolarizzazione decine se non centinaia di migliaia di compagni di sventura non rientranti nelle categorie considerate. A nostro giudizio, come a parere di tanti esperti (sociologi, economisti, operatori sociali) che dagli anni ’80 si occupano di immigrazione, l’unica regolarizzazione accettabile per noi in questo momento di crisi per Covid-19 – e se ben spiegata, accettabile anche per ampi settori dell’opinione pubblica – non dovrebbe e non potrebbe essere che quella universalistica (quella che non esclude nessuno, come si è fatto il mese scorso in Portogallo). Ossia per “eccezionali motivi di salute pubblica”. E questo con permesso di soggiorno della durata di un anno, considerata l’inespellibilità di fatto degli stranieri per i mesi che ancora avremo davanti di Coronavirus. Permesso di soggiorno convertibile in qualsiasi momento “per motivi di lavoro” a fronte del riscontro di una possibilità effettiva di attivazione di un regolare contratto di lavoro, come previsto dalle proposte di procedura contenute nei documenti dell’Asgi (rimandiamo all’appello dell’Asgi sottoscritto anche dal Cestim). Tutto ciò, con una lotta seria al lavoro di sfruttamento in nero sia degli italiani che degli stranieri, consentirebbe oltretutto la constatazione, anche a chi non conosce i Dossier Idos, i Rapporti Ismu e quelli della Fondazione Moressa, che l’economia italiana ha bisogno adesso e per gli anni a venire del lavoro (e molto) degli immigrati.

Cestim