Papa Francesco torna dunque, per la seconda volta dall’inizio del suo pontificato, nell’Africa subsahariana, visitando il Mozambico, il Madagascar e le Isole Mauritius. Come già accaduto precedentemente, nel novembre del 2015, quando si recò in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana (dove inaugurò l’Anno santo della Misericordia) nei prossimi giorni egli sarà messaggero della Buona notizia in un continente che ha fame e sete di giustizia e di pace.

Dal punto di vista squisitamente pastorale, questo viaggio apostolico costituisce un preludio al mese missionario straordinario indetto dal Pontefice per celebrare i cento anni dell’Enciclica missionaria Maximum illud di Benedetto XV. Essa spiegava che la storia universale della salvezza e conseguentemente l’azione di evangelizzazione dei popoli, non potevano assolutamente essere richiamate a giustificazione delle chiusure nazionalistiche ed etnocentriche di questa o quella nazione. Da attento osservatore delle vicende umane il Papa genovese d’allora — colui che ebbe l’ardire di stigmatizzare la prima guerra mondiale definendola «l’inutile strage» — scrisse con chiarezza e coraggio profetico per quei tempi, che l’annuncio del Vangelo non doveva essere confuso con le strategie delle potenze coloniali e con i loro interessi economici e militari. Un messaggio ancora oggi attuale in considerazione dei tentativi di strumentalizzazione ideologica del dettato evangelico. Ecco che allora, nuovamente, il magistero missionario di Papa Bergoglio si colloca nel solco tracciato dai suoi predecessori.

Come egli stesso ebbe modo di scrivere nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, la Chiesa per sua vocazione deve essere sempre «in uscita» perché l’andare è la legge della fede e dell’esistenza cristiana. Si tratta di un dinamismo proteso verso le periferie geografiche ed esistenziali di questo primo segmento del Terzo millennio. Una presenza, nei bassifondi della storia contemporanea, non certo neutrale, ma decisamente e scientemente dalla parte dei poveri. In questa prospettiva il baricentro dell’evangelizzazione si colloca sempre più a meridione, in quelle terre afflitte dal penoso «fenomeno della globalizzazione dell’indifferenza».

Emblematico è il caso del Mozambico, colpito ripetutamente da catastrofici cicloni, ultimi dei quali l’Idai e il Kenneth, che hanno seminato morte e distruzione. Tutto questo in un Paese che ha sofferto pene indicibili durante una sanguinosa guerra civile esplosa nel 1975 e conclusasi con gli accordi di pace siglati a Roma grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio nell’ottobre del 1992. L’odierno viaggio papale, che avrà come prima tappa questo Paese dell’Africa australe, ex colonia portoghese, avviene comunque sotto i migliori auspici. Infatti, il primo agosto scorso è stato raggiunto un accordo definitivo di riconciliazione fra il Governo di Maputo e gli ex ribelli della Renamo che prevede, tra l’altro, la celebrazione di libere, pacifiche e trasparenti elezioni generali il prossimo 15 ottobre. In questo contesto, la Chiesa cattolica mozambicana, oltre a sostenere il processo di pacificazione, si è particolarmente distinta nel campo educativo e in quello sanitario. In quest’ultimo settore ha ottenuto dei buoni risultati il progetto Dream, lanciato dalla Comunità di Sant’Egidio, che consiste nel sostegno a una serie di centri di analisi e cura per HIV sieropositivi e malati di AIDS, accompagnati da centri nutrizionali, dedicati ai pazienti in terapia. Da rilevare che il Mozambico è un Paese giovanissimo: oltre il 60 per cento della popolazione ha meno di 25 anni e per questo si guarda al futuro con speranza, non foss’altro perché le giovani generazioni sono quelle che invocano l’agognato cambiamento all’insegna della concordia, dello sviluppo e del bene condiviso.

La seconda tappa del viaggio sarà il Madagascar. In questi ultimi decenni esso è stato attraversato da crisi politico-istituzionali che hanno rischiato di farlo precipitare nella guerra civile per le divisioni all’interno dell’arena politica nazionale. La crescita economica è stata spesso ostacolata dalla corruzione e dallo sfruttamento delle risorse naturali. A ciò si aggiunga la piaga dell’esclusione sociale che penalizza fortemente i ceti meno abbienti. La Chiesa cattolica malgascia è molto vivace e impegnata, anche attraverso il contributo di congregazioni missionarie e ordini religiosi, nell’annuncio del Vangelo e nella promozione umana.

Dulcis in fundo, il viaggio apostolico si concluderà alle Isole Mauritius, circondate dall’immenso Oceano Indiano, dove la popolazione è composta da induisti, cristiani e musulmani. Per Papa Francesco sarà, certamente, un’occasione per affermare il dialogo interreligioso in un arcipelago crocevia dei popoli.

 

Osservatore Romano, 3 settembre 2019