Si sono susseguite a ritmi serrati le relazioni e il confronto in aula tra i 230 partecipanti alla 16esima edizione delle Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria, che si svolgono alla Domus Pacis di Assisi da ieri – domenica 26 agosto – fino a mercoledì 29. I lavori di oggi – moderati da Morena Savian, vicedirettrice del Centro missionario diocesano di Torino – hanno impegnato la platea sul tema del “futuro” che è strettamente legato a quello della “vocazione”.

L’équipe che ha ideato il programma dell’evento, organizzato ogni anno dall’Ufficio CEI per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, ha scelto di continuare ad approfondire il dibattito sui giovani nella Chiesa, chiamata in ogni suo ambito a riflettere sul mondo giovanile, in vista del prossimo Sinodo dei vescovi dedicato a “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” che si terrà a Roma in ottobre.

 

Il compito è stato affidato a don Alberto Lolli, presbitero della Chiesa di Milano, formatore ed esperto di pastorale giovanile, che vive quotidianamente gomito a gomito con 150 studenti dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, di cui è rettore.

«Non è vero che i giovani rifiutano la fede: la domanda che come Chiesa dobbiamo porci è: dove siamo noi davanti ai giovani che hanno sete di parole autentiche? I giovani – ha affermato con forza don Lolli – hanno sete di parole, ma non tollerano più la banalità».

Gli studenti con cui abita don Lolli sono lontani dall’esperienza ecclesiale. Eppure, si è chiesto il sacerdote, «chi dice ai giovani che la vita è complessa, chi parla loro di salvezza, di morte, di rinascita? Incontrano questi temi solo nei fantasy e infatti questi hanno grande successo. Noi, come Chiesa, stiamo rinunciando a parlare con loro». Molti gli stimoli, i ripensamenti, le provocazioni, gli interrogativi, i rovesciamenti di luoghi comuni che hanno pungolato i convegnisti, consapevoli che concentrarsi sul futuro, discernere, comprendere la volontà di Dio, scegliere la propria vocazione, è un cammino molto serio, nel quale i giovani non possono essere abbandonati a loro stessi: per trovare le parole adatte a riprendere un dialogo con loro – che non può prescindere dallo “stare con” e dal testimoniare con la vita ciò in cui si crede – occorre “rinnovarsi nella Parola di Gesù”, come recita il titolo di queste Giornate.

 

Il tema del futuro ha fatto da filo conduttore anche nella lectio guidata dal biblista Luca Moscatelli e basata sul discorso di Gesù nella sua ultima ora prima dell’inizio della Passione (Giovanni 17, 1-26): «In questo momento, Gesù prega il Padre per i fratelli che lascia nel mondo: non solo per quelli a lui contemporanei, ma per tutti. In altre parole, in questo momento Gesù guarda al futuro: un futuro che lo supera, perché va al di là del suo tempo» ha spiegato Moscatelli. Il fatto che di fronte alla morte, Gesù abbia la forza di pensare al futuro, interpella ciascuno di noi in prima persona a fare altrettanto, perché «anche a noi è chiesto di pensare al futuro» e non in maniera egoistica, ma amando sino alla fine, come insegna il Maestro.

 

Laura Gusella, monaca della Fraternità monastica Maranathà di Pratovecchio, ha sviscerato il tema del futuro come rivelazione biblica del tempo. Fedele all’obiettivo del convegno, quello di “rinnovarsi tutti nella Parola di Gesù” come recita il titolo delle Giornate, la biblista ha analizzato le categorie fondamentali nella considerazione biblica del tempo lasciandosi aiutare da un testo dell’Antico (2 Sam 7,1-17) e uno del Nuovo (Ap 21,1-10.22-27) Testamento. Approfondendo i brani biblici, ha attualizzato i messaggi che per il futuro se ne possono trarre. Uno su tutti: il futuro che Dio ci prepara è fatto anche di novità che invitano a liberarci da paure e pesantezze per aprirci all’inedito che entra nelle nostre vite, nel mondo, nella storia.

«E queste – ha concluso – sono certamente alcune novità, non facili per noi da comprendere e da gestire, ma sfide vitali che il futuro di Dio ci lancia: i giovani con la loro mentalità diversa e il loro sentire che ci appaiono distanti da quelli delle generazioni precedenti; gli immigrati con culture e visioni differenti; i cosiddetti “non credenti” o anche i credenti di altre religioni che ci invitano a guardare con prospettive nuove, a porci domande scomode e stimolanti».

 

Una particolare attenzione è stata riservata al caso cinese, con l’intervento di padre Gianni Criveller, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere per 26 anni nel Paese asiatico ed oggi ancora docente universitario in Cina. In un excursus appassionato sulla nascita e lo sviluppo del cristianesimo nel Paese del Dragone, padre Criveller si è soffermato sull’analisi della realtà attuale, indispensabile per comprendere il futuro dei fedeli di Gesù in quella realtà così lontana e diversa dalla nostra.

Oggi sono circa 70 milioni i cristiani cinesi (più del 5% della popolazione), di cui 12 milioni cattolici. Il loro numero è cresciuto soprattutto negli ultimi anni, quando si è sviluppato il fenomeno della “febbre cristiana”, definito così perché come oggi non si è mai diffuso il cristianesimo in Cina, né è mai stato così popolare e ben visto dalla popolazione.

«Perché questi numeri? Per dirvi che la Chiesa in Cina c’è e non sta nelle catacombe, né nella carceri: la Chiesa in Cina è una, anche se ci sono delle divisioni e, ultimamente, delle restrizioni che il governo applica, tipo quella che i minori di 18 anni non possono entrare nelle chiese» ha spiegato padre Criveller.

Ma la “febbre cristiana” in Cina non è l’unico fenomeno dell’attualità: c’è anche quello dei “cristiani culturali”, ovvero lo studio sempre più diffuso del cristianesimo da parte di studenti all’interno di università e centri culturali che si avvicinano al messaggio di Gesù non con il catechismo, ma con la cultura e lo studio. Per la prima volta il cristianesimo non è più visto come un qualcosa di straniero, ma come una cultura interessante da approfondire.

Le città cinesi in cui il cristianesimo si sta diffondendo maggiormente sono due: Wenzhau, dove il 30% della popolazione è cristiana, tanto da essere chiamata la “Gerusalemme della Cina”; Hong Kong dove un dato può parlare per tutti:

«Qui – ha detto il missionario del Pime – ogni anno 4mila adulti entrano nella nostra chiesa cattolica e ricevono il battesimo: lo fanno grazie al passaparola di amici, cioè per amicizia. Segno che il cristianesimo non teme la città, non teme la post-modernità, e non teme il futuro».