E’ Raymond Saw Po Ray, vescovo di Mawlamyine (Myanmar), ad aver fatto richiesta alle Pontificie Opere Missionarie (POM) internazionali del contributo di 10mila euro per l’edificazione di una cappella nel villaggio di Moe Ma Lin.

Ed è grazie alle offerte raccolte nelle parrocchie italiane durante la Giornata Missionaria Mondiale dello scorso anno, che questo progetto (il n.47) ha potuto prendere il via.

Recentemente il vescovo ha inviato alla Fondazione Missio (espressione della Direzione italiana delle POM) un breve scritto e alcune foto che testimoniano l’avanzamento dei lavori. Si legge:

«Siamo lieti di informarvi che abbiamo ripreso la costruzione della cappella del villaggio di Moe Ma Lin nel mese di luglio 2022. L’attuale situazione può permetterci di continuare ad edificare la nostra cappella che speriamo di completare entro la fine del 2022. Contiamo di avere la vostra considerazione e comprensione in questo momento di grande crisi (per il Paese, ndr) durante la costruzione della cappella».

Le problematiche a cui il vescovo fa soltanto un accenno sono dovute al caos che sta vivendo in questo periodo il Myanmar: è solo del 19 settembre scorso la notizia della profanazione, da parte dell’esercito golpista birmano, di un edificio religioso cattolico e dell’attacco di una scuola elementare di un complesso monastico buddhista, nel quale sono rimasti uccisi 11 bambini. Purtroppo, con il colpo di Stato del febbraio 2021, i militari hanno spodestato il governo guidato da Aung San Suu Kyi, politica birmana, premio Nobel per la pace nel 1991, attiva nella difesa della democrazia e dei diritti. Da quando il potere è stato preso con la forza dai militari, l’esercito birmano si è macchiato di violenze atroci contro i civili, prendendo più volte di mira le istituzioni religiose (non solo cristiane).

Costruire un luogo di culto nel villaggio di Moe Ma Lin in Myanmar non è solo un modo per assicurare uno spazio di preghiera ai cattolici della zona. Una volta ultimato, l’edificio diventerà anche un punto di aggregazione, di accoglienza e di ascolto per tutti (compresi i non cristiani), messo a disposizione dalla Chiesa locale.

L’area in questione, infatti, ospita una popolazione variegata, composta da Birmani, Karen, Mon, Moken e qualche altra etnia minoritaria. Tutti vivono, per lo più, di agricoltura e pesca, in condizioni precarie e difficili.

Qui non è diffuso il concetto di lavoro regolare e la disoccupazione aggrava la povertà della gente. Alcuni emigrano nella zona di confine con la Thailandia per cercare un lavoro, ma spesso incappano in problemi legati al traffico di esseri umani e separazioni familiari.

La costruzione di una cappella assume un valore aggregativo a servizio della comunità, in aggiunta a quello già prezioso di assicurare ai cristiani uno spazio per la preghiera.

Qui le foto che descrivono l’avanzamento dei lavori.