Fidei donum – Lettera enciclica, Pio XI

 

LETTERA ENCICLICA FIDEI DONUM DEL SOMMO PONTEFICE PIO XII AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI,  VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI  CHE HANNO PACE  E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA SULLO STATO DELLE MISSIONI CATTOLICHE IN AFRICA

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

 

Il dono della fede, cui, per divina elargizione, va congiunta nelle anime  dei fedeli un’incomparabile abbondanza di beni, domanda apertamente la  nostra perenne gratitudine al suo divino autore. La fede, infatti, ci  introduce nei segreti misteri della vita divina; in essa si fondano tutte  le nostre speranze; essa fin da questa vita terrena rafforza e rinsalda il  vincolo della comunità cristiana, secondo il detto dell’Apostolo: « Un  unico Signore, una fede, un battesimo » (1).

 

Essa è per eccellenza il dono che pone sul nostro labbro l’inno della  riconoscenza: « Che renderò io al Signore per tutti i Suoi benefici? »  [2]. Che cosa offriremo al Signore in cambio di questo dono divino, oltre  l’ossequio della mente, se non il nostro zelo per diffondere tra gli  uomini lo splendore della divina verità? Lo spirito missionario, animato  dal fuoco della carità, è in qualche modo la prima risposta della nostra  gratitudine verso Dio, nel comunicare ai nostri fratelli la fede che noi  abbiamo ricevuta.

 

Considerando da un lato le schiere innumerevoli dei Nostri figli che,  soprattutto nei paesi di antica tradizione cristiana, sono partecipi del  bene della fede, e dall’altro la massa ancor più numerosa di coloro che  tuttora attendono il messaggio della salvezza, sentiamo l’ardente  desiderio di esortarvi, Venerabili Fratelli, a sostenere con il vostro  zelo la causa santa della espansione della Chiesa nel mondo. Voglia Iddio  che in seguito al nostro appello lo spirito missionario penetri più a  fondo nel cuore di tutti i sacerdoti, e, attraverso il loro ministero,  infiammi tutti i fedeli! Non è certo la prima volta, voi ben lo sapete, che i Nostri Predecessori e  Noi stessi vi intratteniamo su questo grave argomento, particolarmente  adatto a nutrire il fervore apostolico dei cristiani, resi più consapevoli  dei doveri che esige la fede ricevuta da Dio [3]. Si orienti questo  fervore verso le regioni scristianizzate d’Europa e verso le vaste  contrade dell’America del Sud, dove sappiamo che le necessità sono grandi;  si metta a servizio di tante importanti Missioni di Asia e d’Oceania, là  soprattutto dove vi è un difficile campo di lotta; sostenga fraternamente  le migliaia di cristiani, particolarmente cari al Nostro cuore, che sono  l’onore della Chiesa perché sanno la beatitudine evangelica di coloro che  « soffrono persecuzione per la giustizia » [4]. Abbia pietà della miseria  spirituale delle innumerevoli vittime dell’ateismo moderno, dei giovani  soprattutto che crescono nell’ignoranza e talora anche nell’odio di Dio.  Tutti còmpiti necessari, urgenti, che esigono da ognuno un risveglio di  energia apostolica suscitatore « di immense falangi di apostoli, simili a  quelle che conobbe la Chiesa ai suoi albori » [5]. Ma, pur tenendo  presenti al Nostro pensiero ed alla Nostra preghiera questi còmpiti  indispensabili, pur raccomandandoli al vostro zelo, Ci è sembrato  opportuno orientare oggi i vostri sguardi verso l’Africa, nell’ora in cui  essa si apre alla vita del mondo moderno ed attraversa gli anni forse più  gravi del suo destino millenario.

 

I L’espansione della Chiesa in Africa dorante gli ultimi decenni ha da  essere senza dubbio, per i cristiani, motivo di gioia e di fierezza.  Appena elevati alla Cattedra di Pietro, abbiamo solennemente affermato «  di non risparmiare fatica alcuna affinché… la Croce, in cui sono la  salvezza e la vita, stenda la sua ombra fino alle più remote plaghe del  mondo » [6]; abbiamo favorito con ogni Nostro potere il progresso del  Vangelo su quel continente. Le circoscrizioni ecclesiastiche vi si sono  moltiplicate; il numero dei cattolici è considerevolmente aumentato e  continua ad accrescersi a rapido ritmo. Abbiamo avuto la gioia di  istituire in molti paesi la gerarchia ecclesiastica e di elevare già  numerosi sacerdoti africani alla dignità episcopale conformemente al «  fine ultimo » del lavoro missionario che è di « stabilire saldamente e  definitivamente la Chiesa presso nuovi popoli » [7]. In tal modo, nella  grande famiglia cattolica, le giovani Chiese Africane prendono oggi il  posto che loro spetta, salutate con cuore fraterno dalle più antiche  diocesi, che le hanno precedute nella fede.

 

Legioni di apostoli, sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti,  collaboratori laici hanno ottenuto sì confortanti risultati mercé un  lavoro di cui Dio solo conosce i sacrifici nascosti. Con tutti e con  ciascuno di essi, Ci congratuliamo di cuore ed esprimiamo in questa  occasione la Nostra gratitudine, poiché la Chiesa può essere giustamente  fiera dell’opera dei suoi missionari; i quali sia in Africa sia dovunque  lo possano, compiono il proprio dovere. Eppure l’ampiezza dell’opera  compiuta non induca alcuno a dimenticare che « il lavoro che resta da fare  richiede uno sforzo immenso ed innumerevoli operai » [8]. Al momento in  cui l’instaurazione della gerarchia potrebbe erroneamente far credere che  l’attività missionaria è sul punto di terminare, più che mai la  sollecitudine di tutte le chiese del vasto continente africano riempie il  Nostro animo di angoscia. Come dunque non Ci si stringerebbe il cuore nel  considerare, da questa Sede Apostolica, i gravi problemi ivi imposti  dall’estensione e dall’approfondimento della vita cristiana, quando  mettiamo a confronto l’ampiezza e l’urgenza dei compiti da un lato, e  dall’altro il numero infimo di operai apostolici e la loro mancanza di  mezzi? Questa sofferenza confidiamo a voi, Venerabili Fratelli, e Ci piace  pensare che la prontezza e la generosità della vostra risposta faranno di  nuovo balenare la speranza nel cuore di tanti generosi apostoli.

 

Le condizioni generali in cui si svolge in Africa l’opera della Chiesa vi  sono note. Esse sono difficili. La maggior parte di quei territori sta  attraversando una fase di evoluzione sociale, economica e politica, che è  gravida di conseguenze per il loro avvenire; bisogna pur riconoscere che  le numerose incidenze della vita internazionale sulle situazioni locali  non sempre permettono anche ai governanti più saggi di graduare le tappe  che sarebbero necessarie per il vero bene di quei popoli. La Chiesa che,  nel corso dei secoli, ha già visto nascere e ingrandirsi tante nazioni,  non può oggi non rivolgere particolare attenzione a quei popoli che  operano per assicurarsi i diritti delle libertà civili. Già più volte Noi  abbiamo esortato le nazioni interessate a procedere per questa via in uno  spirito di pace e di comprensione reciproca. «Che una giusta e progressiva  libertà politica non sia a quei popoli negata ed ostacolata », dicevamo  agli uni; ed avvertivamo gli altri a « riconoscere all’Europa il merito  del loro avanzamento; all’Europa, senza il cui influsso, esteso in tutti i  campi, essi potrebbero essere trascinati da un cieco nazionalismo a  precipitare nel caos o nella schiavitù » [9]. Nel rinnovare qui tale  duplice esortazione, formuliamo voti perché si prosegua in Africa un’opera  di collaborazione costruttiva, libera da pregiudizi e offese reciproche,  preservata dalle seduzioni e dalle strettoie del falso nazionalismo, e  capace di estendere a quelle popolazioni, ricche di risorse e di avvenire,  i veri valori della civiltà cristiana, che hanno già portato tanti buoni  frutti in altri continenti.

 

Non ignoriamo, infatti, che in molte regioni dell’Africa vengono diffusi i  germi di turbolenze dai seguaci del « materialismo » ateo, i quali  attizzano le passioni, eccitano l’odio d’un popolo contro l’altro,  sfruttano alcune tristi condizioni per sedurre gli spiriti con fallaci  miraggi o per seminare la ribellione nei cuori. Nella Nostra sollecitudine  per un autentico progresso umano e cristiano delle popolazioni africane,  vogliamo qui rinnovare, a loro riguardo, i gravi e solenni moniti che già  più volte abbiamo rivolto su questo punto ai cattolici del mondo intero; e  Ci piace congratularCi con i loro Presuli per avere già, in più di una  circostanza, denunziato fermamente ai loro fedeli il pericolo cui li  espongono quei falsi pastori.

 

Ma mentre i nemici del nome di Dio esplicano su quel continente i loro  sforzi insidiosi e violenti, bisogna denunciare altri gravi ostacoli che  contrastano in certe regioni i progressi dell’evangelizzazione. Conoscete  in particolare la facile attrattiva esercitata su gran numero di spiriti  da una concezione religiosa della vita che, pur appellandosi con forza  alla Divinità, trascina nondimeno i suoi seguaci in una via che non è  quella di Gesù Cristo, unico Salvatore di tutti i popoli. Il Nostro cuore  di Padre è aperto a tutti gli uomini di buona volontà; ma, Vicario di  Colui che è la Via, la Verità e la Vita, Noi non possiamo considerare un  simile stato di cose senza vivo dolore. Varie in realtà sono le cause di  ciò; spesso sono cause storiche recenti, e non sempre vi è stato estraneo  l’atteggiamento di nazioni che pur si onorano del loro passato cristiano.  Vi è in questo, per l’avvenire cattolico dell’Africa, causa di seria  sollecitudine. E v’è motivo perché i figli della Chiesa comprendano  l’obbligo di aiutare più efficacemente ed in tempo utile i missionari del  Vangelo ad annunziare la verità salvatrice ai circa 85 milioni di africani  di razza nera ancora attaccati alle credenze pagane.

 

Quest’ordine di considerazioni diviene ancor più grave per il generale  precipitare degli avvenimenti, di cui i Vescovi e gli elementi scelti fra  i cattolici d’Africa hanno viva coscienza. Nel momento in cui si cercano  nuove strutture, mentre taluni popoli corrono il rischio di abbandonarsi  alle più fallaci seduzioni di una civilizzazione tecnica, la Chiesa ha il  dovere di offrir loro, nella massima misura possibile, le sostanziali  ricchezze della sua dottrina e della sua vita, animatrici di un ordine  sociale cristiano. Qualsiasi ritardo sarebbe gravido di conseguenze. Gli  Africani, che percorrono in pochi decenni le tappe di un’evoluzione che  l’Occidente ha compiuto nel corso di più secoli, sono più facilmente  sconvolti e sedotti dall’insegnamento scientifico e tecnico che si dà  loro, come pure dagli influssi materialisti che subiscono. Per questo  motivo possono prodursi qua o là situazioni difficilmente riparabili, sì  da nuocere in seguito alla penetrazione del cattolicesimo nelle anime e  nella società. Bisogna, fin da oggi, dare ai Pastori di anime possibilità  di azione in proporzione all’importanza ed all’urgenza della presente  congiuntura.

 

Orbene, salvo rare eccezioni, queste possibilità di azione missionaria  sono ancora inferiori senza paragone all’opera da compiere; e, sebbene  siffatta penuria purtroppo non sia della sola Africa, qui però è più  vivamente sentita a motivo delle particolarissime condizioni in cui si  trova oggi questo continente. Perciò crediamo molto opportuno, Venerabili  Fratelli, parlarvi un po’ più diffusamente su siffatta materia. Nelle  missioni recenti, per esempio, fondate magari solo una decina d’anni fa,  non si può sperare prima di un lungo tempo un notevole aiuto del clero  locale, ed i troppo rari missionari, sparsi su territori immensi, dove  lavorano inoltre altre confessioni non cattoliche, non possono più  rispondere a tutte le esigenze. In un territorio sono 40 sacerdoti per  quasi un milione di anime, tra cui solo 25 mila convertiti; in un altro si  contano 50 sacerdoti per una popolazione di due milioni di abitanti,  mentre i 60 mila fedeli basterebbero già ad assorbire il tempo dei  missionari. A leggere queste cifre, un cuore cristiano non può rimanere  insensibile. Venti sacerdoti di più in una determinata regione  permetterebbero oggi d’impiantarvi la Croce, mentre domani quella stessa  terra, lavorata da altri operai che non quelli del Signore, sarà divenuta  forse impenetrabile alla vera fede. Inoltre, non basta annunciare il  Vangelo: nella crisi sociale e politica che l’Africa attraversa, bisogna  formare quanto prima un gruppo scelto di cristiani in mezzo a un popolo  ancor neofito; ma in quale maggior proporzione dovrà moltiplicarsi il  numero dei missionari per permetter loro di compiere quest’opera di  formazione personale delle coscienze! A questa penuria di uomini si  aggiunge inoltre quasi sempre una mancanza di mezzi che rasenta talora la  miseria. Chi darà a queste nuove Missioni, situate in genere in regioni  povere ma importanti per l’avvenire dell’evangelizzazione, l’aiuto  generoso di cui hanno un si urgente bisogno? L’apostolo soffre al vedersi  talmente privo di mezzi di fronte alle moltissime opere che gl’incombono.  Non ammirazione egli domanda, bensì aiuti coi quali, dov’è ancora  possibile, stabilire nuovi centri di lavoro missionario.

 

Nelle Missioni più antiche, in cui la proporzione già considerevole dei  cattolici e il loro fervore sono per il Nostro cuore motivo d’intensa  gioia, le condizioni dell’apostolato, benché diverse, non muovono meno a  profonda ansietà. Anche li, soprattutto la mancanza di sacerdoti si fa  duramente sentire. Quelle Diocesi o Vicariati Apostolici devono infatti  sviluppare senza indugio le opere indispensabili all’espansione ed  irradiazione del cattolicesimo: occorre fondare collegi e diffondere  l’insegnamento cristiano nei suoi vari gradi; occorre dar vita ad  organismi di azione sociale che animino il lavoro dei gruppi scelti di  cristiani a servizio del civile consorzio; occorre moltiplicare la stampa  cattolica in tutte le sue forme e preoccuparsi delle tecniche moderne di  diffusione e di cultura, poiché è nota l’importanza, ai nostri giorni, di  una pubblica opinione formata ed illuminata; bisogna soprattutto dare un  crescente sviluppo all’Azione Cattolica e soddisfare i bisogni religiosi e  culturali di una generazione che, priva di sufficiente alimento, sarebbe  esposta al pericolo di andar a cercare fuori della Chiesa il suo  nutrimento. Orbene, per far fronte a queste diverse esigenze, i Pastori  d’anime hanno bisogno, non solo di più grandi mezzi, ma anche e  specialmente di collaboratori preparati a questi ministeri che si  presentano tanto più difficili quanto più debbono adattarsi alle varie  categorie sociali. Siffatti apostoli non si possono improvvisare; sovente  essi mancano, eppure l’impegno è urgente, se non si vuol perdere la  fiducia di gruppi scelti in ascesa. Perciò vogliamo dire qui tutta la  nostra gratitudine alle Congregazioni Religiose, ai sacerdoti e ai  militanti laici i quali, compresi della gravità dell’ora, sono andati,  anche spontaneamente, incontro a tali bisogni. Iniziative di questo genere  hanno dato già frutti e, unite alla dedizione di tutti, lasciano adito a  grandissime speranze; ma è Nostro debito di verità affermare che in questo  campo rimane da fare un lavoro immenso.

 

Perfino lo stesso progresso delle Missioni pone alla Chiesa, in certi  territori, una nuova difficoltà, giacché il successo dell’evangelizzazione  esige un proporzionato aumento del numero degli apostoli, se non si vuol  comprometterne il magnifico sviluppo. Ora le Congregazioni Missionarie  sono sollecitate da ogni parte e sempre più spesso, e l’insufficenza delle  vocazioni non permette loro di venir incontro a tante richieste  simultanee. Ben sapete, Venerabili Fratelli, che il numero dei sacerdoti,  a paragone di quello dei fedeli, in Africa è in diminuzione. Il clero  africano aumenta, senza dubbio; ma solamente tra molti anni esso potrà,  nelle proprie Diocesi, prenderne completamente in mano il governo, pur con  l’aiuto di quei missionari che vi portano la fede. Quelle giovani  cristianità di Africa non possono al presente, con le loro attuali  risorse, bastare al loro compito nelle odierne gravissime circostanze.

 

Varranno le difficoltà di una situazione siffatta a richiamare al loro  dovere missionario tanti Nostri figli, che non ringraziano abbastanza Dio  del dono della fede ricevuto nella loro famiglia cristiana e dei mezzi di  salvezza messi loro a disposizione? II Venerabili Fratelli, queste condizioni di apostolato, che abbiamo  tracciato a grandi linee, mostrano chiaramente che non si tratta più in  Africa di uno di quei problemi ristretti e locali che si possono risolvere  a proprio agio a poco a poco e indipendentemente dalla vita generale del  mondo cristiano. Se in altri tempi « la vita ecclesiastica, in quanto è  visibile, si svolgeva rigogliosa di preferenza nei paesi della vecchia  Europa, donde si diffondeva… a quella che poteva dirsi la periferia del  mondo; oggi appare invece come uno scambio di vita e di energia fra tutti  i membri del Corpo mistico di Cristo sulla terra » [10]. La vita della  Chiesa Cattolica in Africa non si restringe a questo continente, ma si  ripercuote anche su altri popoli, ed occorre che da tutta la Chiesa, sotto  l’impulso di questa Sede Apostolica, venga la risposta fraterna a tanti  bisogni.

 

Non senza motivo dunque, in un’ora importante dell’espansione della  Chiesa, Noi Ci rivolgiamo a voi, Venerabili Fratelli. «E a quella guisa  che nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, tutti gli altri  risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, parimenti nella Chiesa i  singoli membri non vivono unicamente per sé, ma porgono aiuto anche agli  altri per loro mutua consolazione e per un migliore sviluppo di tutto il  Corpo » [11]. Ora non sono i Vescovi, in verità, « i membri più eminenti  della Chiesa universale, quelli che sono collegati al capo divino di tutto  il Corpo con un legame veramente singolare, onde con diritto sono chiamati  “ le principali parti delle membra del Signore ”? » [12]. Di essi più che  d’ogni altro si deve dire che Cristo, Capo del Corpo mistico, « ha bisogno  delle sue membra: anzitutto perché la persona di Gesù Cristo e  rappresentata dal Sommo Pontefice il quale per non essere aggravato dal  peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose  partecipi della sua sollecitudine » [13]. Uniti con più stretto legame sia  a Cristo sia al Vicario, voi avrete caro, Venerabili Fratelli, di  prendere, in ispirito di viva carità, la vostra parte di questa  sollecitudine di tutte le chiese [14], che pesa sulle nostre spalle [15].  Voi, stimolati dalla carità di Cristo, sarete contenti di sentire a fondo  con Noi l’imperioso dovere di propagare il Vangelo e di fondare la Chiesa  nel mondo intero; sarete lieti di effondere tra il vostro clero ed il  vostro popolo uno spirito di preghiera e di scambievole aiuto, esteso  nelle dimensioni del Cuore di Cristo. « Se vuoi amare Cristo, diceva  sant’Agostino, effondi la carità su tutta la terra, perché i membri di  Cristo sono sull’intero mondo » [16].

 

Senza alcun dubbio, al solo Apostolo Pietro ed ai suoi successori, i  Romani Pontefici, Gesù ha affidato la totalità del suo gregge: « Pasci i  miei agnelli, pasci le mie pecore » [17]; ma, se ogni Vescovo è pastore  proprio soltanto della porzione del gregge affidata alle sue cure, la sua  qualità di legittimo successore degli Apostoli per istituzione divina lo  rende solidalmente responsabile della missione apostolica della Chiesa,  secondo la parola di Cristo ai suoi Apostoli: «Come il Padre ha mandato  me, così io mando voi » [18]. Questa missione, che « deve abbracciare  tutte le nazioni e tutti i tempi » [19], non è cessata alla morte degli  Apostoli; essa dura nella persona di tutti i Vescovi in comunione con il  Vicario di Gesù Cristo. In essi, che sono per eccellenza gli inviati, i  missionari del Signore, risiede nella sua pienezza « la dignità  dell’Apostolato, che è la prima nella Chiesa », come attesta San Tommaso  d’Aquino [20].

 

Dal loro cuore questo fuoco apostolico, portato da Gesù sulla terra, deve  comunicarsi al cuore di tutti i Nostri figli e suscitarvi un nuovo ardore  per l’azione missionaria della Chiesa nel mondo.

 

Inoltre, questo interessamento ai bisogni universali della Chiesa  manifesta veramente in modo vivo e vero la cattolicità della Chiesa. « Lo  spirito missionario e lo spirito cattolico, dicevamo tempo fa, sono una  sola e stessa cosa. La cattolicità è una nota essenziale della vera  Chiesa: a tal punto che un cristiano non è veramente affezionato e devoto  alla Chiesa, se non è ugualmente attaccato e devoto alla sua universalità,  desiderando che essa metta radici e fiorisca in tutti i luoghi della terra  » [21]. Nulla dunque è più estraneo alla Chiesa di Gesù Cristo che la  divisione; nulla è più nocivo alla sua vita dell’isolamento, del  ripiegarsi su di sé, e di tutte le forme di egoismo collettivo che  inducono una comunità cristiana particolare, qualunque essa sia, a  chiudersi in sé. « Madre di tutte le nazioni e di tutti i popoli, non meno  che di tutti i singoli uomini », la Chiesa, Sancta Mater Ecclesia, « non è  né può essere straniera in alcun luogo; essa vive, o almeno per la sua  natura deve vivere, in tutti i popoli » [22]. Al contrario, è necessario  affermarlo, nulla di ciò che riguarda la Chiesa, Nostra Madre, è o può  essere estraneo ad un cristiano: come la sua fede è la fede di tutta la  Chiesa, la sua vita soprannaturale è la vita di tutta la Chiesa, così le  gioie e le angosce della Chiesa saranno le sue gioie e le sue angosce; le  prospettive universali della Chiesa saranno le prospettive normali della  sua vita cristiana; spontaneamente, allora, gli appelli dei Romani  Pontefici per i grandi impegni apostolici nel mondo avranno eco nel suo  cuore, pienamente cattolico, come gli appelli più cari, più gravi e più  urgenti.

 

III Missionaria fin dalle sue origini, la santa Chiesa non ha cessato, per  compiere l’opera cui non può venir meno, di indirizzare ai suoi figli un  triplice invito: alla preghiera, alla generosità, e, per alcuni, al dono  di se stessi. Oggi ancora le missioni, soprattutto quelle d’Africa,  attendono dal mondo cattolico questa triplice assistenza.

 

Pertanto, Venerabili Fratelli, Noi desideriamo in primo luogo che per  questa intenzione si preghi di più e con un più illuminato fervore. È  vostro dovere sostenere, tra i vostri sacerdoti e fedeli, una supplica  incessante e istante per sì santa causa; nutrire questa preghiera con un  insegnamento adatto e regolari informazioni sulla vita della Chiesa;  stimolarla infine in certi periodi dell’anno liturgico, più adatti a  ricordare il dovere missionario dei cristiani. Soprattutto pensiamo al  tempo di Avvento, che è quello dell’attesa dell’umanità e delle vie  provvidenziali di preparazione alla salvezza, alla festa dell’Epifania,  che manifesta questa salvezza al mondo, ed a quello della Pentecoste, che  celebra la fondazione della Chiesa per il soffio dello Spirito Santo.

 

La forma più eccellente di preghiera è quella che Cristo, Sommo Sacerdote,  rivolge Egli stesso al Padre sugli altari su cui rinnova il suo sacrificio  redentore.

 

In questi anni specialmente, che sono forse decisivi per l’avvenire del  cattolicesimo in molti paesi, moltiplichiamo le Messe celebrate per le  Missioni; ciò risponde ai desideri del Signore, che ama la sua Chiesa e la  vuole estesa e fiorente in ogni luogo della terra. Se le suppliche  personali dei fedeli sono senza dubbio legittime, conviene tuttavia  rammentare loro a che cosa soprattutto e necessariamente miri il  Sacrificio dell’altare; cioè secondo il Canone della Messa di rito latino:  « in primis… pro Ecclesia tua sancta catholica, quam pacificare,  custodire, adunare et regere digneris toto orbe terrarum ». Queste  intenzioni più alte saranno d’altronde meglio comprese quando si tenga  presente allo spirito, secondo l’insegnamento della Nostra enciclica  «Mediator Dei», che ogni Messa celebrata è essenzialmente un’azione  compiuta a nome della Chiesa, poiché « il ministro dell’altare vi  rappresenta Cristo offerente, in quanto Capo, in nome di tutti i suoi  membri » [23]; è dunque la Chiesa tutta che, mediante Cristo, presenta al  Padre l’offerta santa «pro totius mundi salute ». Come dunque non vi si  dovrebbe elevare la preghiera dei fedeli, in unione col Papa, i Vescovi e  tutta la Chiesa, per implorare da Dio una nuova effusione dello Spirito  Santo, grazie a cui, « profusis gaudiis, totus in orbe terrarum mundus  exsultat? ».

 

Pregate dunque, Venerabili Fratelli, pregate di più. Ricordatevi degli  immensi bisogni spirituali di tanti popoli ancora così lontani dalla vera  fede oppure così privi di soccorsi per perseverarvi. Rivolgetevi al Padre  celeste e, con Gesù, ripetete la preghiera che fu quella dei primi  Apostoli e rimane quella degli operai apostolici di ogni tempo: «  sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua sicut in  caelo et in terra ». Per l’onore di Dio e lo splendore della sua gloria,  vogliamo che il suo regno di giustizia, di amore e di pace venga alfine  stabilito in ogni luogo. Questo zelo per la gloria di Dio, in un cuore  ardente di amore per i propri fratelli, non è forse da ritenersi un vero e  proprio zelo missionario? Così infatti si aiutano gli operai apostolici  che sono anzitutto araldi di Dio.

 

Ma sarebbe sincera una preghiera per la Chiesa Missionaria, se non fosse  accompagnata, nella misura delle proprie possibilità, da un gesto di  generosità? Noi, certo più di tutti, conosciamo la inestinguibile carità dei Nostri  figli, Noi, che ne riceviamo incessantemente splendide e molteplici  testimonianze. Noi sappiamo che, grazie alla loro generosità, hanno potuto  aver luogo i meravigliosi progressi dell’evangelizzazione dall’inizio di  questo secolo. Noi intendiamo qui ringraziare i Nostri diletti figli e  dilette figlie che si dedicano al servizio delle missioni in svariate  opere, ispirate da una carità industriosa. Vogliamo poi rendere speciale  omaggio a coloro che, nelle Pontificie Opere Missionarie, si consacrano  all’ufficio — talvolta ingrato ma nobilissimo — di stendere la mano a nome  della Chiesa in favore delle nuove cristianità, sua fierezza e sua  speranza. Di gran cuore li ringraziamo, come pure esprimiamo la Nostra  gratitudine a tutti i membri della Sacra Congregazione de Propaganda Fide,  ai quali, sotto la guida del Nostro diletto figlio il Cardinale Prefetto,  è stata affidata la grande opera di servire al progresso della Chiesa in  vasti continenti.

 

Il Nostro apostolico ufficio Ci impone tuttavia un dovere, Venerabili  Fratelli: di dirvi che questi doni, che riceviamo con tanta gratitudine,  sono lungi purtroppo dal bastare ai crescenti bisogni dell’apostolato  missionario. Ci giungono continuamente angosciosi appelli di pastori, che  vedono il bene da fare, il male da rimuovere, edifici indispensabili da  costruire, opere da fondare; per cui siamo profondamente addolorati, per  non poter rispondere nella misura necessaria, ma solo in parte e  imperfettamente, a queste legittime richieste. Ciò accade, per esempio,  per la Pontificia Opera di San Pietro Apostolo: i sussidi che essa  distribuisce ai seminari dei paesi di missione sono considerevoli, ma le  vocazioni vi sono, grazie a Dio, ogni anno più numerose ed esigerebbero  fondi ancor più cospicui. Bisognerà dunque limitare queste provvidenziali  vocazioni nella misura delle somme a disposizione? Bisognerà chiudere, per  mancanza di denaro, le porte del seminario a giovani generosi e di ottime  speranze, come si dice sia talora accaduto? N, non vogliamo credere che il  mondo cristiano, messo davanti alle sue responsabilità, non sarà capace  del particolare sforzo che s’impone per far fronte a tali necessità.

 

Non ignoriamo la durezza dei tempi attuali e le difficoltà delle diocesi  antiche di Europa o d’America. Ma, se si citassero cifre, si vedrebbe  subito che la povertà degli uni appare un relativo benessere di fronte  alla miseria degli altri. Vano paragone, peraltro, perché non tanto si  tratta qui di fare dei calcoli, quanto di esortare tutti i fedeli, come  abbiamo già fatto in una circostanza solenne, « ad arruolarsi sotto il  vessillo della rinuncia cristiana e del dono di sé, che va al di là di ciò  che è comandato e fa combattere la buona battaglia generosamente, secondo  le forze di ciascuno, secondo l’invito della grazia e la propria  condizione… Ciò che si toglierà alla vanità, aggiungevamo, si darà alla  carità, si darà con misericordia alla Chiesa ed ai poveri » [24]. Con il  denaro che il cristiano spende talora per gusti passeggeri, quanto non  farebbe un missionario, paralizzato nel suo apostolato, per mancanza di  mezzi! È necessario, dunque, che ogni figlio della Chiesa, ogni famiglia,  ogni comunità cristiana facciano a questo riguardo un diligente esame di  coscienza. Ricordandovi della « generosità di Gesù Cristo Nostro Signore,  che da ricco si è fatto povero per voi, per arricchirvi con la sua povertà  » [25] date del vostro superfluo, perfino talvolta del vostro necessario!  E ricordate pure che dalla vostra liberalità dipende lo sviluppo  dell’apostolato missionario, e che la faccia del mondo sarebbe rinnovata  se trionfasse la carità.

 

La Chiesa in Africa, come negli altri territori di Missione, manca di  apostoli. Pertanto Ci rivolgiamo di nuovo a voi, Venerabili Fratelli, per  chiedervi di favorire in tutti i modi la cura delle vocazioni missionarie:  sacerdoti, religiosi, religiose. Spetta a voi, in primo luogo, come testé  dicevamo, rinvigorire i sentimenti dei fedeli e accendere in essi un tale  zelo da renderli partecipi delle sollecitudini della Chiesa e atti a dare  più volentieri ascolto al comando di Dio, già risonato e poi ripetuto di  età in età: « Lascia il tuo paese, la tua famiglia e la casa di tuo padre  e va nel paese che io ti mostrerò » [26].

 

Una generazione formata a questi ideali veramente cattolici, sia nella  famiglia, sia a scuola, nella , nell’Azione Cattolica e nelle  opere di pietà, darà alla Chiesa gli apostoli di cui essa ha bisogno per  annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Questo soffio missionario,  inoltre, animando le vostre diocesi, sarà per esse un pegno di  rinnovamento spirituale. Una comunità cristiana che dona i suoi figli e le  sue figlie alla Chiesa non può morire. E se è vero che la vita  soprannaturale viene dalla carità e si accresce con il dono di sé, si può  affermare che la vitalità cattolica di una nazione si misura con i  sacrifici di cui è capace per la causa missionaria.

 

Non basta tuttavia formare un’atmosfera favorevole a questa causa; bisogna  fare di più. Esistono, grazie a Dio, numerose diocesi così largamente  provviste di sacerdoti da consentire senza loro danno il sacrificio di  alcune vocazioni. Ad esse soprattutto Ci rivolgiamo con paterna insistenza  con le parole del Vangelo: « Date ai poveri quello che vi avanza » [27].

 

Ma Noi pensiamo altresì a coloro, tra i Nostri Fratelli nell’Episcopato,  che sono angosciati da un doloroso diradarsi delle vocazioni sacerdotali e  religiose e che non possono ormai far fronte alle necessità spirituali  nelle loro pecorelle. Facciamo Nostre le loro ansietà e ad essi diciamo  come San Paolo ai Corinti: « Non si tratta, per soccorrere gli altri, di  ridurvi alla penuria, ma di applicare il principio di uguaglianza » [28].

 

Tuttavia, anche queste diocesi così provate non siano sorde all’appello  delle missioni lontane. L’obolo della vedova fu citato in esempio da  Nostro Signore, e la generosità di una diocesi povera verso altre più  povere non potrebbe impoverirla, perché Dio non si lascia vincere in  generosità.

 

Per risolvere efficacemente i problemi molteplici della ricerca e della  scelta delle vocazioni missionarie, non possono tuttavia bastare gli  sforzi isolati. Richiamateli dunque, Venerabili Fratelli, questi problemi  nelle vostre adunanze e nel quadro delle organizzazioni nazionali, dove  queste esistono: in tal modo, sarà più facile moltiplicare le vie per  stimolare più efficacemente gli animi dei giovani già inclini per divina  ispirazione alla vocazione missionaria, e così riusciranno più leggere le  responsabilità che vi legano solidalmente nel promuovere il bene comune  della Chiesa. Favorite largamente nelle vostre diocesi l’Unione  Missionaria del Clero, così spesso raccomandata dai Nostri Predecessori e  da Noi medesimi, che già l’abbiamo elevata or ora a dignità di Opera  Pontificia, sicché nessuno porrà in dubbio la stima che nutriamo per essa  e l’importanza che diamo al suo sviluppo. Si stabilisca infine,  dappertutto, uno stretto coordinamento degli sforzi, fattore  indispensabile di successo, tra i pastori di anime e coloro che lavorano  più immediatamente per le Missioni: abbiamo in mente soprattutto i  presidenti nazionali delle Opere Pontificie Missionarie, dei quali  faciliterete l’opera sostenendo con la vostra autorità e il vostro zelo le  direzioni diocesane di queste stesse Opere; ed ancora i superiori delle  così benemerite Congregazioni, cui la Santa Sede non cessa di fare appello  per rispondere ai bisogni più urgenti delle Missioni e che non possono  aumentare il numero delle vocazioni senza la benevola comprensione degli  Ordinari locali. Studiate di comune accordo il modo migliore di conciliare  gli interessi reali degli uni e degli altri; se talora questi interessi  sembrano momentaneamente divergere, non è forse perché si cessa di  considerarli con fede sufficiente nella visione soprannaturale dell’unità  e della cattolicità della Chiesa? Nel medesimo spirito di collaborazione fraterna e disinteressata, avrete  cura, Venerabili Fratelli, di esser solleciti per l’assistenza spirituale  dei giovani africani ed asiatici, che il proseguimento degli studi conduce  a dimorare temporaneamente nelle vostre diocesi. Fuori dell’ambiente del  loro paese, essi rimangono spesso, e per motivi vari, senza contatti  sufficienti con i centri di vita cattolica delle nazioni che li ospitano.  Per questo, la loro vita cristiana può trovarsi in pericolo, perché  restano tuttora loro nascosti i valori della nuova civiltà alla cui  ricerca essi vanno, mentre sono sottoposti alla violenta attrazione dei  princìpi del materialismo e all’intenso proselitismo di associazioni atee  che si sforzano di guadagnarne la fiducia. Non potrebbe sfuggirvi la  gravità di questo stato di cose per il presente e per il futuro. Perciò,  venendo incontro alle preoccupazioni dei Vescovi delle Missioni, non  esiterete a destinare a questo apostolato qualche sacerdote sperimentato e  zelante delle vostre diocesi.

 

Un’altra forma di aiuto scambievole, certo di più grave incomodo, è  adottata da alcuni Vescovi, che autorizzano qualcuno dei loro sacerdoti,  sia pure a prezzo di sacrifici, a partire per mettersi, per un certo  limite di tempo, a disposizione degli Ordinari d’Africa. Così facendo,  rendono loro un impareggiabile servizio, sia per assicurare  l’introduzione, saggia e discreta, di forme nuove e più specializzate del  ministero sacerdotale, sia per sostituire il clero di dette diocesi nelle  mansioni dell’insegnamento, ecclesiastico e profano, cui quello non può  far fronte. Volentieri incoraggiamo siffatte iniziative opportune e  feconde; preparate e messe in atto con prudenza, esse possono portare una  soluzione preziosa in un periodo difficile, ma pieno di speranza, del  cattolicesimo africano.

 

L’aiuto alle diocesi missionarie assume infine al presente una forma che  allieta il Nostro cuore e che vi vorremmo proporre prima di finire. Si  tratta dell’opera efficace che militanti laici, i quali agiscono per lo  più nei movimenti cattolici nazionali o internazionali, accettano di  svolgere a servizio delle giovani cristianità. La loro cooperazione esige  dedizione, modestia e prudenza, ma assai vantaggiosa riuscirà alle diocesi  premute dall’esigenza di nuove opere apostoliche.

 

Con piena sottomissione al Vescovo del luogo, responsabile  dell’apostolato, in perfetta collaborazione altresì con i cattolici  africani, che comprendono il beneficio di tale sostegno fraterno, questi  militanti laici offrono a diocesi recenti il vantaggio di una lunga  esperienza dell’Azione Cattolica e dell’azione sociale, come pure di altre  forme particolari di apostolato. Rendono inoltre — e non è il minor  vantaggio — più rapida e più facile l’unione delle Organizzazioni  cattoliche del proprio paese con le altre innumerevoli d’indole  internazionale. Di cuore Ci felicitiamo con loro per lo zelo posto a  servizio della Chiesa.

 

IV Nell’indirizzarvi questo grave ed urgente appello in favore delle Missioni  d’Africa, il Nostro pensiero — voi l’avete ben compreso, Venerabili  Fratelli — non si è punto distaccato da tutti quei Nostri figli che si  consacrano al progresso della Chiesa in altri continenti. Tutti Ci sono  ugualmente cari, quelli soprattutto che più soffrono nelle Missioni  dell’Estremo Oriente. Se le peculiari circostanze dell’Africa sono state  l’occasione di questa Lettera Enciclica, non vogliamo porvi termine senza  rivolgere ancora una volta il Nostro sguardo a tutte le Missioni  Cattoliche.

 

A voi, Venerabili Fratelli, pastori responsabili delle terre di recente  evangelizzate, che piantate la Chiesa o la consolidate a prezzo di tante  fatiche, vorremmo che la presente Lettera apportasse non solo la  testimonianza della Nostra paterna sollecitudine, ma anche l’assicurazione  che tutta la comunità cristiana, messa di nuovo sull’avviso circa  l’ampiezza e le difficoltà del vostro compito, vi è più che mai vicina per  sostenervi con le sue preghiere, i suoi aiuti e l’opera dei migliori tra i  suoi figli. Che cosa importa la distanza materiale che vi separa dal  Centro della cristianità? Nella Chiesa, i più valorosi ed i più esposti  tra i suoi figli, non sono forse i più vicini al suo cuore? A voi ancora,  missionari, sacerdoti del clero locale, religiosi e religiose,  seminaristi, catechisti, militanti laici, a voi tutti, apostoli di Gesù  Cristo, in qualsiasi posto lontano e ignorato voi siate, Noi rinnoviamo  l’espressione della Nostra gratitudine e della Nostra speranza;  perseverate con fiducia nell’opera intrapresa, fieri di servire la Chiesa,  attenti alla sua voce, sempre più penetrati del suo spirito, uniti nei  vincoli di una carità fraterna. Qual fonte di consolazione per voi,  diletti figli, e quale certezza di vittoria, nel pensiero che l’oscura e  pacifica lotta che voi conducete a servizio della Chiesa non è soltanto  vostra, e neppure della vostra generazione o del vostro popolo: è in  verità la lotta perenne dell’intera Chiesa, cui tutti i suoi figli hanno  da partecipare più attivamente, debitori come sono a Dio e ai loro  fratelli del dono della fede ricevuto col battesimo.

 

« Predicare il Vangelo non è per me un titolo di gloria, è una necessità  che m’incombe; e guai a me se non predicassi il Vangelo » [29]. Questo  energico monito, Noi, Vicario di Gesù Cristo, come non lo applicheremmo a  Noi stessi, che, per il Nostro mandato apostolico, siamo costituiti «  predicatore e apostolo… dottore delle genti nella fede e nella verità »?  [30]. Invocando dunque sulle missioni cattoliche il duplice patrocinio di  San Francesco Saverio e di Santa Teresa del Bambino Gesù, la protezione di  tutti i Santi martiri e soprattutto la potente e materna intercessione di  Maria, Regina degli Apostoli, rivolgiamo nuovamente alla Chiesa quelle  parole di vittoria del suo divino Fondatore: « Conduci in alto! » [31].

 

Fiduciosi che tutti i cattolici risponderanno al Nostro appello con  generosità tanto ardente che, per la grazia di Dio, le Missioni potranno  finalmente portare fino ai confini della terra la luce del cristianesimo e  il progresso della civiltà, accordiamo di gran cuore, quale pegno della  Nostra paterna benevolenza e dei celesti favori, a voi, Venerabili  Fratelli, ai vostri fedeli, a tutti e a ciascuno degli araldi del Vangelo,  a Noi tanto cari, la Nostra Benedizione Apostolica.

 

Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa della Risurrezione di Nostro  Signore, il giorno 21 aprile dell’anno 1957, decimonono del Nostro  Pontificato.

 

PIUS PP. XII

 

(1] Eph., IV, 5.
[2] Ps. CXV, 12.
[3] Cf. Benedicti XV Epist. Apost. Maximum illud (A.A.S., XI, 1919, p. 440  sq.); Pii XI Homilia Accipietis virtutem (A.A.S., XIV, 1922, p. 344 sq.);  Pii XI Enc. Litt. Rerum Ecclesiae (A.A.S., XVIII, 1926, p. 65 sq.); Pii  XII Enc. Litt. Evangelii praecones (A.A.S., XLIII, 1951, p. 497 sq.).
[4] Matth., V, 10.
[5] A.A.S., XLIV, 1952, p. 370.
[6] Allocutio 1 Maii 1939: Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio  XII, I, p. 87.
[7] Enc. Litt. Evangelii praecones (A.A.S., XLIII, 1951, p. 507).
[8] Ibid., p. 505.
[9] A.A.S., XLVIII, 1956, p. 40.
[10] A.A.S., XXXVIII, 1946, p. 20.
[11] Enc. Litt. Mystici Corporis (A.A.S., XXXV, 1943, p. 200).
[12] Ibid., p. 211.
[13] Ibid., p. 213.
[14] Cf. II Cor., XI, 28.
[15] Cf. II Cor., V, 4.
[16] In Ep. Ioannis ad Parthos, Tr. X, n. 8: P. L., XXXV, 2060.
[17] Ioann., XXI, 16-18.
[18] Ioann., XX, 21.
[19] Matth., XXVIII, 19-20.
[20] Expos. in Ep. ad Rom., cap. I, lect. I, Ed. Parmae, 1862, XIII, 4.
[21] Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VIII, p. 328.
[22] A.A.S., XXXVIII, 1946, p. 18.
[23] A.A.S., XXXIX, 1947, p. 556.
[24] A.A.S., XLII, 1950, p. 787.
[25] II Cor., VIII, 9.
[26] Gen., XII, 1.
[27] Cf. Luc., XI, 41.
[28] II Cor., VIII, 13.
[29] I Cor., IX, 15.
[30] I Tim., II, 7.
[31] Luc., V, 4.