Erano andati per un mandato di cinque anni e ne sono trascorsi già nove da quando Goffredo Leonardis (53) e Tiziana D’Andrea (52) sono partiti dall’Abruzzo come coppia fidei donum in Albania.
Senza stupore dei genitori «che già dai tempi del fidanzamento avevano capito che avremmo preso vie inesplorate e lontane dalle loro aspettative».
Nel villaggio di Mabë (diocesi di Sapa), hanno anche festeggiato il loro 25esimo anniversario di matrimonio lo scorso giugno.
Con quanti, dal 2012, sono diventati la loro nuova famiglia: la laica Maria Palma Di Battista, il parroco don Angjelin Krygja, ecc.
Tuttavia, il regalo più grande che si sono fatti non è la missione.
Quella, piuttosto, è lo sfondo della loro vita, così come la fede è alla base della scelta compiuta.
«Fin dall’inizio, ci siamo sentiti famiglia in stato di diaconia, cioè in servizio permanente alla Chiesa», dicono Goffredo e Tiziana.
Per usare le parole di don Giampietro Pittarello, il parroco di Montesilvano che li ha cresciuti, «Il bene si trova più facilmente se siamo capaci di pensarci in uscita, dirigendo il nostro agire verso gli altri piuttosto che verso noi stessi».
Uno stile che ha prevalso anche quando, anziché tornare in Congo, dopo un’esperienza nel nord Kivu, hanno detto sì al Vescovo della diocesi di Pescara-Penne, monsignor Valentinetti.
Entrambi vengono inviati in Albania ad occuparsi di giovani e pastorale familiare, con incontri molto partecipati, celebrazioni e percorsi di preghiera. In realtà, portano avanti anche la missione, visto che il parroco deve recarsi in altri villaggi.
«Molti ci chiedono a che titolo siamo qui; noi rispondiamo che siamo cresciuti nell’Azione Cattolica e nello Scoutismo, che abbiamo vissuto l’esperienza del Cammino Neocatecumenale e che, da 12 anni, siamo semplici parrocchiani».
Ciò che marito e moglie cercano di portare è soprattutto la testimonianza, senza i veli dell’apparenza: «Come tutti, discutiamo. Così, aiutati dalla preghiera quotidiana e dalla direzione spirituale di coppia, abbiamo iniziato a guardare non ciò che manca ma il bene che c’è, per valorizzarlo».
Anche il fatto di non avere figli, «in un Paese dove questa condizione è considerata una maledizione e causa di infelicità», diventa occasione di evangelizzazione, per «il nostro essere coppia realizzata prima di tutto nell’amore sponsale».
E se il loro mandato non sarà rinnovato, si augurano «di continuare a vivere in stato di missione come, per grazia di Dio» hanno sempre fatto. «Come e dove lo scopriremo».