All’alba del 12 giugno scorso, polizia e militari, per ordine del governo di Asmara (Eritrea), hanno messo alla porta pazienti, medici ed infermieri dei 22 centri sanitari gestiti dalla Chiesa Cattolica nelle sue quattro eparchie. Il giorno successivo, il 13 giugno, i presuli hanno espresso “profonda amarezza” per quanto accaduto in una lettera recapitata al ministro della salute dell’Eritrea: “Un fatto che non riusciamo a comprendere né nei suoi contenuti, né nei suoi modi. In alcuni centri i soldati sono stati visti intimidire il personale a servizio delle nostre cliniche, costringere i pazienti ad evacuare i locali. In altri casi hanno perfino circondato e sorvegliato le case dei religiosi. Come è possibile che questi fatti si verifichino in uno Stato di diritto?”.

La Chiesa cattolica eritrea, si è comunque dichiarata “aperta e disponibile al dialogo e alla mutua comprensione”.  Da rilevare che sono circa 170mila i pazienti che vengono assistiti ogni anno dalla Chiesa Cattolica nel Paese africano che, peraltro, già lo scorso anno aveva subito un duro colpo con la chiusura di 7 cliniche gestite dal proprio personale.

A pagare il prezzo più alto è la stremata popolazione civile, soprattutto i più poveri e svantaggiati come i nomadi dell’etnia Afar della Dancalia ai quali, inspiegabilmente, le autorità hanno negato l’accesso (per chiusura) all’unico centro medico della regione, gestito con coraggio e zelo missionario da alcune Suore Orsoline. È importante sottolineare che molti dei migranti che in questi anni hanno tentato di raggiungere la sponda europea, vengono proprio dall’Eritrea.

Ma le cancellerie dei Paesi membri dell’Unione Europea non sembrano affatto prestare attenzione a quanto sta avvenendo nel Paese del Corno d’Africa, peraltro in flagrante violazione dei valori fondanti del diritto internazionale ancora vigente.