Rotte migratorie che si intrecciano, esodi interrotti, flussi dirottati, con centinaia di persone che tentano la strada inversa, per tornarsene da dove sono partite.  Destini spezzati proprio sulla via della possibile ‘liberazione’.

Il Niger è sempre più paradigmatico di una ‘manipolazione’ della migrazione con migliaia di persone che cercano strade alternative a quella classica nel deserto nigerino (attraverso Agadez), dopo essersi ritrovate bloccate o aver subito l’effetto imbuto.

Lo denuncia anche una delegazione della Croce Rossa internazionale che ha appena compiuto un viaggio di valutazione tra Niamey e Agadez.

«Le politiche che danno priorità al controllo, a scapito della sicurezza e della dignità dei migranti- spiega Francesco Rocca, Presidente della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa – possono essere crudeli, controproducenti e contribuire ad aumentare la sofferenza delle persone che si dirigono verso la costa nordafricana».

Tradizionale via di transito per una migrazione interna all’Africa, il Niger è il paradigma della chiusura e dell’esternalizzazione delle frontiere europee.

Mentre l’Unione Europea si impegna a raddoppiare i fondi destinati alla task force militare G5 Sahel (la cifra ammonta a 414 milioni di euro per il primo anno, ma l’Ue ha raddoppiato il suo contributo da 50 a 100 milioni) – ufficialmente per combattere il terrorismo di matrice jihadista – la fragilità interna al Niger diventa quasi emergenziale.

E’ il ripetersi della trappola libica.

«Quello che cambia – dice ancora Rocca – è che queste persone sono costrette a correre rischi anche peggiori, a prendere strade ancora più pericolose».

«Le persone che ho incontrato ad Agadez mi hanno detto che il Sahara è tanto letale quanto il Mediterraneo», conclude.

Anche i nostri missionari italiani in Niger confermano il replicarsi di dinamiche già viste in Libia ma con qualche aggravante.

«Le frontiere dell’Europa sono qui  – ci dice al telefono da Niamey padre Mauro Armanino, missionario della Società Missioni Africane (SMA), da anni in Niger – basta fare un giro ad Agadez».

E ancora: «Ci si accorge che i militari sono presenti come le aziende straniere. Ci sono gli americani dentro l’aeroporto per i droni a Niamey. Abbiamo i francesi ed ora anche gli italiani», aggiunge il missionario.

«C’è chi vende petrolio o altre risorse, noi qui vendiamo le frontiere. E anche le cipolle che sono buonissime!».

Dell’aeroporto americano dei droni (l’Air Base 201) nei pressi di Agadez, che dovrebbe entrare a pieno ritmo nei prossimi mesi, parla The Intercept, in un pezzo datato 18 febbraio 2018 a firma di Joe Penney, che ha tentato un’incursione nell’area e ha realizzato alcune interessanti interviste.

«Tecnicamente l’aeroporto è di proprietà dell’esercito nigerino, sebbene sia pagato, costruito e operato dagli americani», scrive il giornalista.

Dovrebbe essere utilizzato per lo più per sorvegliare attraverso i droni i gruppi affiliati ad Al Qaeda nel Maghreb e milizie locali affiliate all’Isis, inclusa Boko Haram.

Il problema è che questa ‘missione’ militare americana è illegale. Così almeno, affermano attivisti, avvocati e politici nigerini d’opposizione: viola infatti gli articoli 169 e 66 della Costituzione del Niger.  L’aeroporto coinvolge qualcosa come 800 persone tra militari, civili, e contractors vari. 

Della missione militare italiana di 500 soldati, in parte ingaggiate per addestrare truppe locali, ufficialmente a sostegno del G5 Sahel, non si sa ancora molto.  

«Da un certo punto di vista – ci spiega ancora padre Armanino –  siamo in un polo d’osservazione privilegiato: per renderci conto delle aberrazioni della narrazione europea».

Il sito di Analisi Difesa scrive che l’Italia dovrebbe inviare «poco meno di 500 militari con 150 veicoli (inizialmente paracadutisti della “Folgore” secondo indiscrezioni) verrebbero schierati nella base francese di Fort Madama (che dovrà essere ampliata e si trova in una regione ampiamente minata) per controllare le piste dirette in Libia e attraversate dai traffici migratori illegali».

«Qui in Niger è stato eretto un grande muro visibile ed anche invisibile. Chi ha il potere ha vinto: ad aver trionfato finora è questa narrazione della Storia.

Noi missionari, la società civile con un’altra interpretazione dei fatti, ne usciamo sconfitti. Io ne sono consapevole – dice Armanino – Possiamo continuare a lanciare manciate di sabbia negli ingranaggi del sistema, prospettando la possibilità di una narrazione differente, ma i nostri margini di manovra sono davvero limitati».

Padre Mauro è addolorato per le sorti di una popolazione che non ha meritato questo destino, dice: «Qui c’è un popolo che ha il diritto di essere rispettato. E questo non sta avvenendo: ognuno fa il proprio interesse».

Ma cerchiamo di comprendere meglio che cos’è veramente il Niger. E perché si è scatenata questa sorta di corsa alle armi che vede il suolo nigerino ricoperto di polvere e di militari.

«Il Niger ha un’estensione enorme – spiega Armanino – è grande quattro volte l’Italia; presenta una notevole zona desertica dove l’indice di povertà balza all’apice delle statistiche delle Nazioni Unite».

L’indice di sviluppo umano calcolato dall’Undp colloca il Niger all’ultimo gradino della graduatoria: 187esimo posto su 187 Paesi. Si tratta del Paese più povero del mondo.

A fare la differenza qui è l’acqua: «Dove passa il fiume o nei dintorni dei laghi si sviluppa una certa pastorizia e il commercio di frontiera aiuta la gente a sopravvivere, ma per il resto la vita è durissima e da anni ormai il Niger compare in fondo alla lista», spiega.

Il missionario ricorda che il Paese «non ha sbocchi sul mare ed è attorniato da Paesi relativamente complicati sia dal punto di vista geopolitico che sociale: Mali e Algeria, per la presenza jihadista Libia, Nigeria, Ciad.

Il fatto di essere senza sbocchi lo rende un Paese di transito non solo verso il Nord Africa, ma un transito interno all’Africa: una migrazione che ha come obiettivo numero uno trovare ospitalità nei Paesi limitrofi.

Andare verso la Libia e da lì in Europa risulta dunque, per migliaia di persone alle prese con regimi dittatoriali e terrorismo jihadista, solo una delle opzioni possibili.

 «I nigerini nello specifico non hanno mai avuto l’ambizione di passare il mare», dice Armanino.

Semmai passano le immediate frontiere. Non va certo meglio in politica interna: per quattro volte vittima di colpi di Stato, il Niger è di fatto ancora colonizzato dall’ex madre patria francese.

«Questo è un Paese estremamente fragile, direi di argilla. L’ultimo colpo di Stato risale al 2010. Quello attuale è un Presidente socialista, molto vicino alla Francia, la quale considera i Paesi francofoni africani come il cortile di casa sua», spiega padre Mauro.

E la politica di Emmanuel Macron segue questa scia: senza mutare di fatto il precedente approccio colonialista.

Un capitolo importante di questa fragilità umana, che vede nel colonialismo economico il suo tallone d’Achille, riguarda la formazione e la scolarizzazione di un popolo per l’80% rimasto analfabeta.

«L’istruzione è stata smantellata del tutto – conferma padre Vito Girotto, sempre della Società Missioni Africane – grazie ai piani di aggiustamento strutturale che hanno distrutto i principali servizi pubblici: sanità e scuola».

  • una versione di questo articolo verrà pubblicata sul numero di marzo di Popoli e Missione
  • La foto è di Al Jazeera