Ecclesiae Sanctae

PAOLO VI  LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO ECCLESIAE SANCTAE

Vengono promulgate norme per l’applicazione di alcuni Decreti del Concilio  Vaticano II

Il governo della Santa Chiesa esige senza alcun dubbio che, dopo il  Concilio Ecumenico Vaticano II, siano stabilite nuove norme e siano  sanciti nuovi ordinamenti che rispondano alle necessità che il Concilio ha  posto in rilievo, e siano sempre più adatti ai nuovi scopi e settori  d’apostolato. Questi ultimi, grazie al Concilio, sono stati aperti alla  Chiesa nel mondo attuale, il quale, in seguito a profonde trasformazioni,  ha bisogno di un irraggiamento di luce e attende un ardore soprannaturale  di carità.  Già dalla fine del Concilio Ecumenico, spinti da queste riflessioni, Noi  abbiamo costituito Commissioni di studio, ognuna delle quali, per parte  sua, applicasse le sue consegne e la sua esperienza al fine di definire le  norme fisse d’esecuzione di Decreti del Concilio, per i quali era stata  concessa una vacanza della legge. Come volentieri scrivemmo nel motu  proprio Munus Apostolicum dello scorso 10 giugno, queste Commissioni si  dedicarono con zelo al compito loro affidato e Ci fecero conoscere le loro  conclusioni nel tempo indicato.  Dopo aver attentamente considerato queste conclusioni, Noi giudichiamo che  è ormai venuto il tempo di promulgare le norme di cui sopra. Tuttavia,  poiché si tratta di una materia che riguarda la disciplina, per la quale  l’esperienza può ancora suscitare molti suggerimenti, e poiché, d’altra  parte, una Commissione apposita lavora alla revisione del Codice di  Diritto Canonico, nel quale tutte le leggi della Chiesa universale saranno  coordinate secondo un criterio più appropriato, esatto e preciso, Ci pare  di agire con saggezza e prudenza promulgando queste norme ad esperimento.

Nell’intervallo, vi sarà agio per le Conferenze Episcopali di comunicarCi  le riflessioni e le osservazioni che l’applicazione delle norme potrebbe  suggerire, e di proporCi nuovi pareri.  Così dunque, dopo aver profondamente riflettuto, di Nostra iniziativa e  con la nostra autorità apostolica, decretiamo e promulghiamo le seguenti  norme per l’applicazione dei Decreti del Conci- lio: Christus Dominus  (sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa), Presbyterorum Ordinis  (sul ministero e la vita sacerdotale), Perfectae caritatis (sul  rinnovamento della vita religiosa) e Ad gentes divinitus (sull’attività  missionaria della Chiesa). Noi prescriviamo che queste norme siano  osservate a titolo di esperimento, e cioè fino alla promulgazione del  nuovo Codice di Diritto Canonico, a meno che, nell’intervallo, la Sede  Apostolica non decida altrimenti.  Queste norme entreranno in vigore il prossimo 11 ottobre, giorno  consacrato alla Maternità della Beata Vergine Maria e giorno in cui,  quattro anni or sono, il Sacro Concilio fu inaugurato solennemente dal  Nostro Predecessore Giovanni XXIII di venerata memoria.  Tutto ciò che abbiamo stabilito in questa Lettera data in forma di motu  proprio, Noi ordiniamo che sia tenuto per fermo e ratificato, nonostante  ogni cosa contraria, anche degna di specialissima menzione.  Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 agosto 1966, nella festa della  Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, anno quarto del Nostro  Pontificato.

PAOLO PP. VI

I. NORME PER L’APPLICAZIONE DEI DECRETI  DEL CONCILIO VATICANO II

«CHRISTUS DOMINUS» E «PRESBYTERORUM ORDINIS»

 L’ufficio episcopale, che il Concilio Vaticano II ha messo più vivamente  in luce nella Costituzione dogmatica Lumen gentium e nel Decreto Christus  Dominus, è stato divinamente istituito in vista dell’edificazione del  Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa.  Perciò i Sacri Pastori sono tenuti a compiere, con cura costante,  l’ufficio che essi hanno di insegnare, di santificare e di pascere il  Popolo di Dio, sia assumendo generosamente la loro parte nella  sollecitudine di tutte le Chiese col Romano Pontefice, sia provvedendo con  maggiore attenzione al buon governo delle diocesi che sono loro affidate,  sia infine collaborando attivamente tra loro per il bene comune di più  Chiese.  Nel governo delle diocesi a loro affidate, i Vescovi hanno, come necessari  aiuti e come consiglieri, in primo luogo i Sacerdoti, perciò volentieri li  ascolteranno e ancor più li vorranno consultare, restando sempre salvo il  potere degli stessi Vescovi di agire liberamente in ogni cosa, di  stabilire criteri e norme e di emanare leggi secondo la coscienza ch’essi  hanno del loro ufficio e i principi del governo della Chiesa (cf Cost.  dogm. Lumen gentium, n. 27).  E affinché i Vescovi siano più facilmente e più opportunamente in grado di  esercitare il loro ufficio pastorale, e per applicare con maggiore  efficacia i principi che il Sacro Concilio ha solennemente approvato, sia  nel Decreto Christus Dominus, sia nel Decreto Presbyterorum ordinis,  vengono stabilite le norme seguenti.  RIPARTIZIONE DEL CLERO  E AIUTI DA FORNIRSI ALLE DIOCESI  (Decr. Christus Dominus, n. 6 e Decr. Presbyterorum ordinis, n. 10)

1. Sia istituito presso la Sede Apostolica, se si crederà opportuno, uno  speciale Consiglio con il compito di stabilire i principi con cui la  distribuzione del clero sia resa più adatta alle necessità delle varie  Chiese.

2. Spetterà ai Sinodi Patriarcali e alle Conferenze Episcopali, tenendo  presente quanto prescritto dalla Sede Apostolica, stabilire ordinanze ed  emettere norme per i Vescovi, per ottenere un’opportuna distribuzione del  clero sia del proprio territorio, sia di quello che provenga da altre  regioni; con tale distribuzione si provveda alle necessità di tutte le  diocesi del proprio territorio, e si pensi anche al bene delle Chiese in  terra di Missione e nelle Nazioni che soffrono per scarsezza di clero.  Perciò si costituisca, presso ogni Conferenza Episcopale, una Commissione,  il cui compito sarà di prendere in considerazione le necessità delle varie  diocesi del suo territorio e la loro possibilità di cedere ad altre Chiese  alcuni elementi del proprio clero, e di dare esecuzione alle conclusioni,  stabilite e approvate dalla Conferenza, che riguardano la distribuzione  del clero, riferendole ai Vescovi di quei territori.

3. Per rendere più facile il passaggio di un chierico da una diocesi  all’altra – fermo restando l’istituto dell’incardinazione e  dell’escardinazione, anche se adattato alle nuove circostanze – si  stabiliscono le seguenti norme:
§ 1. I chierici nei Seminari siano formati in modo da aver sollecitudine  non soltanto della diocesi al cui servizio sono ordinati, ma della Chiesa  intera, in modo che, col permesso del proprio Vescovo, siano pronti a  dedicarsi alle Chiese particolari, che ne abbiano grave necessità;
§ 2. Fuori del caso di vera necessità della propria diocesi, gli Ordinari  non neghino il permesso di emigrazione ai chierici che conoscono preparati  e che stimano adatti a esercitare il sacro ministero nelle regioni che  soffrono per la penuria di clero; curino però, attraverso una convenzione  scritta con l’Ordinario del luogo d’arrivo, che siano definiti i diritti e  i doveri dei loro chierici;
§ 3. Parimenti gli stessi Ordinari s’interessino affinché i chierici, che  dalla propria diocesi intendono recarsi in quella di un’altra nazione,  siano adeguatamente preparati per esercitare in quel luogo il sacro  ministero, cioè che acquistino conoscenza degli istituti, delle condizioni  sociali, della lingua di quella regione, nonché degli usi e delle  abitudini di quegli abitanti;
§ 4. Gli Ordinari possono concedere ai loro chierici il permesso di  passare a un’altra diocesi per un tempo determinato, magari rinnovabile  più volte, ma a condizione che gli stessi chierici restino incardinati  alla propria diocesi e che ritornandovi godano di tutti i diritti e doveri  che avrebbero se vi fossero stati impegnati nel sacro ministero;
§ 5. Il chierico poi che passa legittimamente dalla propria diocesi ad  un’altra, trascorsi cinque anni, sarà incardinato di diritto a  quest’ultima diocesi se avrà manifestato per iscritto tale volontà sia  all’Ordinario della diocesi ospite, sia all’Ordinario proprio, né entro  quattro mesi abbia ricevuto da nessuno dei due un parere contrario.

4. Inoltre, per favorire speciali iniziative pastorali o missionarie in  favore di certe regioni o di gruppi sociali, che abbisognano di speciale  aiuto, possono fruttuosamente essere erette dalla Sede Apostolica delle  Prelature composte di presbiteri del clero secolare, in possesso di una  particolare formazione, dotate di propri statuti e sotto la direzione di  un proprio Prelato.  Sarà compito di questo Prelato fondare e dirigere Seminari nazionali o  internazionali, per una opportuna formazione degli alunni. Tale Prelato  avrà il diritto di incardinare quegli alunni e di promuoverli agli Ordini  col titolo di servizio della Prelatura.  Il Prelato deve interessarsi della vita spirituale di coloro che ha  promosso col titolo predetto e di perfezionare continuamente la loro  peculiare formazione, in vista dello speciale ministero, con opportuni  accordi con gli Ordinari dei luoghi in cui questi sacerdoti sono mandati.  Così pure deve provvedere loro un dignitoso sostentamento, assicurato  mediante gli stessi accordi, o con beni propri della Prelatura o con altri  opportuni aiuti. Similmente dovrà interessarsi di coloro che per malferma  salute o per altre cause sono costretti ad abbandonare il loro ministero.  Nulla impedisce che dei laici, sia celibi sia coniugati, mediante  convenzioni con la Prelatura, offrano la loro abilità professionale a  servizio delle opere e delle iniziative di essa.  Tali Prelature non siano erette se non dopo aver ascoltato le Conferenze  Episcopali del territorio in cui esse prestano la loro opera. Nel loro  servizio le Prelature si premurino di rispettare i diritti degli Ordinari  del luogo e abbiano continue e strette relazioni con le stesse Conferenze  Episcopali.

5. È dovere dei Sinodi Patriarcali e delle Conferenze Episcopali stabilire  quegli opportuni regolamenti sull’uso dei beni ecclesiastici, con cui,  facendo attenzione anzitutto alle necessità delle diocesi del proprio  territorio, vengano imposti dei tributi da versare in favore sia delle  opere di apostolato e di carità, sia delle Chiese povere o che, per  particolari circostanze, si trovano in necessità.  POTERI DEI VESCOVI DIOCESANI  (Decr. Christus Dominus, n. 8)

6. Le norme per l’applicazione di ciò che prescrive il n. 8 sono state  stabilite con il motu proprio De Episcoporum muneribus, del 15 giugno  1966.  FAVORIRE LO STUDIO E LA SCIENZA PASTORALE  (Decr. Christus Dominus, n. 16 e Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 19)

7. Procurino i Vescovi da soli o uniti tra di loro, che tutti i  Presbiteri, anche se incaricati di un ministero, seguano una serie di  lezioni pastorali, subito dopo l’ordinazione, per la durata di un anno e  frequentino in giorni prestabiliti altri corsi, sia ad essi offerta  l’occasione sia di acquisire una più piena conoscenza dei metodi  pastorali, della scienza teologica, morale e liturgica, sia di irrobustire  la vita spirituale e di comunicarsi tra loro, come fratelli, le esperienze  apostoliche.  Provvedano inoltre i Vescovi o le Conferenze Episcopali, secondo le  condizioni di ogni territorio, che siano eletti uno o diversi Presbiteri  di provata scienza e virtù, i quali a guisa di prefetti degli studi,  promuovano e organizzino dei corsi pastorali e altri mezzi ritenuti  necessari per favorire la formazione scientifica e pastorale dei Sacerdoti  del proprio territorio, come: centri destinati agli studi, biblioteche  circolanti, convegni di catechetica, di omiletica, di liturgia o simili.  ASSICURARE AI SACERDOTI UNA GIUSTA REMUNERAZIONE  E ORGANIZZARE LA PREVIDENZA SOCIALE  (Decr. Christus Dominus, n. 16  e Decr. Presbyterorum ordinis, nn. 20-21)

8. I Sinodi Patriarcali e le Conferenze Episcopali provvedano, ognuno  nella propria diocesi o riunendosi in gruppi o su scala nazionale, ad  emanare delle norme che garantiscano un decoroso sostentamento di quanti  svolgono o hanno svolto una funzione al servizio del Popolo di Dio. Si  richiede che la retribuzione da assegnare ai chierici sia anzitutto uguale  per tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni, tenendo conto  però sia della natura dell’ufficio sia delle circostanze di tempo e di  luogo, nonché sufficiente a una vita decorosa dei chierici e anche a  soccorrere i poveri.  La riforma del sistema beneficiario è affidata alla Commissione per la  revisione del Codice di Diritto Canonico. Frattanto i Vescovi, dopo aver  udito i Consigli presbiterali, provvedano a una equa distribuzione dei  beni, anche di quelli che provengono dai redditi beneficiari.  Almeno nelle regioni in cui il sostentamento del clero dipende  completamente o in gran parte dalle offerte dei fedeli, le Conferenze  Episcopali procurino che esista in ogni diocesi una istituzione speciale  che raccolga i beni offerti a questo scopo, il cui amministratore sia il  Vescovo diocesano, con la collaborazione di sacerdoti delegati e, se ce ne  fosse bisogno, anche di laici esperti in economia.  Infine le stesse Conferenze Episcopali procurino che nelle rispettive  nazioni vi siano, in conformità alle leggi ecclesiastiche e civili, o  delle istituzioni diocesane confederate tra loro o altre istituzioni  costituite per diverse diocesi unite insieme o un’associazione a carattere  nazionale, le quali provvedano adeguatamente, sotto la vigilanza della  Gerarchia, sia alla conveniente previdenza e assistenza sanitaria, sia al  doveroso sostentamento dei chierici malati, invalidi o anziani.  Spetterà al Codice di Diritto Canonico riformato stabilire i criteri  secondo cui si dovrà pure costituire in ogni diocesi o regione un altro  fondo comune con cui i Vescovi possano soddisfare gli altri obblighi verso  le persone che prestano servizio alla Chiesa, o venir incontro alle varie  necessità della diocesi e con il quale le diocesi più ricche possano  aiutare quelle più povere.

SOLLECITUDINE PER ALCUNE CATEGORIE DI FEDELI  (Decr. Christus Dominus, n. 18)

9. Le Conferenze Episcopali, dato l’odierno grande numero di emigranti e  di turisti, sono pregate d’affidare ad un sacerdote delegato a questo  scopo, o a una speciale Commissione, tutto ciò che si riferisce allo  studio e all’organizzazione del loro servizio spirituale.  NOMINA DEI VESCOVI  (Decr. Christus Dominus, n. 20)

10. Fermo restando il diritto del Romano Pontefice di nominare liberamente  i Vescovi e di conferir loro l’ufficio, e salva la disciplina delle Chiese  Orientali, le Conferenze Episcopali ogni anno trattino prudentemente sotto  segreto degli ecclesiastici degni d’essere promossi all’ufficio Episcopale  e propongano alla Sede Apostolica i nomi dei candidati, secondo le norme  stabilite o da stabilirsi dalla Sede Apostolica stessa.  RINUNCIA DEI VESCOVI AL LORO UFFICIO  (Decr. Christus Dominus, n. 21)

11. Per rendere possibile l’esecuzione della prescrizione del n. 21 del  Decreto Christus Dominus, tutti i Vescovi diocesani e gli altri ad essi  equiparati per diritto sono vivamente pregati di presentare  spontaneamente, non più tardi dei 75 anni compiuti, la rinuncia  all’ufficio all’Autorità competente, la quale, esaminati tutti gli aspetti  di ogni singolo caso, provvederà.  Il Vescovo la cui rinuncia all’ufficio sia stata accettata, potrà  conservare, se lo desidera, la residenza nella stessa diocesi. Questa poi  deve provvedere al conveniente e degno sostentamento del Vescovo che  rinuncia. È compito della Conferenza Episcopale territoriale determinare,  con una norma generale, i criteri secondo i quali le diocesi devono  soddisfare questo obbligo.  DELIMITAZIONE DEI CONFINI DELLE DIOCESI  (Decr. Christus Dominus, nn. 22-24)

12. § 1. Affinché la delimitazione delle diocesi possa essere  adeguatamente riveduta, le Conferenze Episcopali, ognuna per il suo  territorio, esamineranno le attuali divisioni territoriali delle Chiese,  istituendo, se occorre, una Commissione particolare. A tale fine bisogna  studiare con cura lo stato delle diocesi quanto al territorio, alle  persone e ai beni. Sarà ascoltato ognuno dei Vescovi direttamente  interessati, e così pure i Vescovi di tutta la provincia o regione  ecclesiastica nei limiti della quale ha luogo la revisione delle diocesi;  sarà domandato l’apporto, se possibile, di esperti veramente competenti,  ecclesiastici o laici; le ragioni obiettive che potrebbero suggerire un  mutamento delle circoscrizioni saranno ponderate con calma; dovranno  essere proposte tutte le modifiche che dovrebbero essere introdotte  secondo quanto affermato nei nn. 22-23 del Decreto Christus Dominus; nella  divisione o nello smembramento delle diocesi si avrà cura di una giusta e  opportuna distribuzione dei sacerdoti e dei seminaristi, tenuto conto sia  delle necessità che presenta l’esercizio del ministero della salvezza in  ciascuna diocesi, sia delle condizioni particolari e dei desideri dei  sacerdoti e dei seminaristi.  § 2. Per le Chiese Orientali, poi, è desiderabile che nel definire i  confini delle eparchie sia tenuto conto anche della maggiore vicinanza dei  luoghi di residenza dei fedeli di un medesimo rito.

FACOLTÀ DEI VESCOVI AUSILIARI  (Decr. Christus Dominus, nn. 25-26)

13. § 1. È necessario costituire Vescovi Ausiliari per una determinata  diocesi ogni qual volta lo esigano ragioni di vera necessità  nell’esercizio dell’apostolato. Orbene, i principi da tener presenti  quando si tratta della potestà da attribuire al Vescovo Ausiliare sono: il  bene della cura del gregge del Signore, l’unità di direzione nel governo  della diocesi, la condizione di membro del Collegio Episcopale di cui è  insignito l’Ausiliare e l’efficace cooperazione col Vescovo diocesano.  § 2. Il Vescovo diocesano deve costituire l’Ausiliare o Vicario Generale  (Sincello) o Vicario Episcopale, a condizione però che in ciascun caso  questi dipenda unicamente dall’autorità del Vescovo diocesano.  § 3. Per provvedere sufficientemente al bene della diocesi e per porre al  sicuro la dignità del Vescovo Ausiliare, il Concilio ha voluto manifestare  il suo desiderio che, quando la sede è vacante, coloro che ne hanno il  diritto affidino il governo della diocesi al Vescovo Ausiliare, oppure,  quando essi sono più di uno, a uno di costoro. Tuttavia, a meno che la  competente Autorità non abbia stabilito diversamente in un caso speciale,  il Vescovo Ausiliare non perde, durante la vacanza della sede, i poteri e  le facoltà di cui godeva per diritto, vivente il titolare della sede, come  Vicario Episcopale o come Vicario Generale. Nel caso in cui l’Ausiliare  non sia stato eletto Vicario Capitolare, continua a godere di questa sua  potestà, concessagli dal diritto, finché il nuovo Vescovo non abbia preso  possesso della sede; ma la eserciterà in piena concordia coi Vicario  Capitolare, che presiede al governo della diocesi.  I VICARI EPISCOPALI  (Decr. Christus Dominus, n. 27)

14. § 1. Il nuovo ufficio di Vicario Episcopale è stato introdotto nel  diritto dal Concilio, affinché il Vescovo, assistito da nuovi cooperatori,  possa esercitare il governo pastorale della diocesi nel miglior modo.  Perciò la nomina di uno o più Vicari Episcopali è lasciata alla libera  iniziativa del Vescovo diocesano, secondo le particolari necessità del  luogo; anzi rimane immutata la sua facoltà di nominare uno o diversi  Vicari Generali, a norma del can. 366 CIC.  § 2. I Vicari Episcopali hanno la stessa potestà ordinaria vicaria, che il  diritto comune dà al Vicario Generale, relativamente a una determinata  parte del territorio diocesano, o in un particolare genere di affari,  oppure nei riguardi dei fedeli di un determinato rito o di una categoria  di persone, secondo la designazione del Vescovo diocesano. Perciò essi  godono, nei limiti della loro competenza, delle facoltà abituali che la  Santa Sede concede al Vescovo e possono dare esecuzione ai rescritti, a  meno che non sia stato stabilito diversamente, oppure a meno che  l’esecuzione del rescritto non sia stata scelta in considerazione della  persona del Vescovo. Tuttavia il Vescovo diocesano ha la libertà di  riservare a sé o al Vicario Generale le cause che crede, oppure anche di  conferire al Vicario Episcopale lo speciale mandato prescritto dal diritto  per alcuni affari.  § 3. Essendo cooperatore dell’ufficio episcopale, il Vicario Episcopale  deve riferire al Vescovo diocesano su tutto ciò che ha compiuto o che  intende compiere; anzi non deve mai agire contro l’intenzione o contro la  volontà del Vescovo. Inoltre non manchi di stabilire un dialogo frequente  anche con gli altri cooperatori del Vescovo, in modo particolare con il  Vicario Generale, nei modi da stabilirsi dal Vescovo, per rendere sempre  più salda nel clero e nel popolo cristiano l’unità della disciplina e per  ottenere frutti più copiosi nella diocesi.  § 4. Un indulto rifiutato dal Vicario Generale o dal Vicario Episcopale,  non può essere concesso validamente da un altro Vicario dello stesso  Vescovo, anche se sono state esposte le ragioni del rifiuto da parte del  Vicario. Inoltre un indulto rifiutato dal Vicario Generale o «Sincello» o  dal Vicario Episcopale e poi ottenuto dal Vescovo, senza far menzione del  precedente rifiuto, è invalido; l’indulto invece rifiutato dal Vescovo non  può mai essere concesso validamente dal Vicario Generale o dal Vicario  Episcopale, anche se si fa presente la risposta negativa del Vescovo, a  meno che costui non acconsenta.  § 5. I Vicari Episcopali che non siano Vescovi Ausiliari ricevono la  nomina per un tempo determinato nell’atto stesso di costituzione; possono  però essere rimossi a piacere del Vescovo. Quando la sede diventa vacante  scadono dal loro ufficio, a meno che non siano Vescovi Ausiliari; tuttavia  conviene che il Vicario Capitolare si serva di loro in qualità di suoi  delegati, affinché non ne scapiti minimamente il bene della diocesi.  CONSIGLIO PRESBITERALE E CONSIGLIO PASTORALE  (Decr. Christus Dominus, n. 27 e Decr. Presbyterorum ordinis, n. 7)

15. Per ciò che concerne il Consiglio Presbiterale:  § 1. In ogni diocesi sia istituito nel modo e nelle forme fissate dal  Vescovo, un Consiglio Presbiterale, cioè un gruppo o senato di sacerdoti,  rappresentanti il Presbiterio, che possa efficacemente aiutare col suo  consiglio il Vescovo nel governo della diocesi. In questo Consiglio, il  Vescovo ascolterà i suoi sacerdoti, li consulterà e si intratterrà con  essi su ciò che riguarda le necessità dell’opera pastorale e il bene della  diocesi.  § 2. Tra i membri del Consiglio Presbiterale potranno essere scelti anche  dei Religiosi, in quanto hanno cura del ministero delle anime e di altre  opere d’apostolato.  § 3. Il Consiglio Presbiterale ha solo voce consultiva.  § 4. Durante la vacanza della sede, il Consiglio Presbiterale decade, a  meno che in particolari circostanze, riconosciute dalla Santa Sede, il  Vicario Capitolare o l’Amministratore Apostolico non lo confermi. Il nuovo  Vescovo si costituirà egli stesso un nuovo Consiglio Presbiterale.

16. Per ciò che riguarda il Consiglio Pastorale, vivamente comandato dal  Decreto Christus Dominus:  § 1. È compito del Consiglio Pastorale studiare, esaminare tutto ciò che  concerne le attività pastorali, e proporre quindi conclusioni pratiche, al  fine di promuovere la conformità della vita e dell’azione del Popolo di  Dio con il Vangelo.  § 2. Il Consiglio Pastorale, che ha voce soltanto consultiva, può essere  costituito in diversi modi. Ordinariamente, anche se per sua natura è  un’istituzione permanente, esso può essere a tempo determinato quanto ai  suoi membri e alla sua attività, e può adempiere al suo ufficio  occasionalmente; il Vescovo potrà convocarlo ogni volta che lo crederà  opportuno.  § 3. Nel Consiglio Pastorale troveranno posto sacerdoti, Religiosi e  laici, particolarmente scelti dal Vescovo.  § 4. Affinché il Consiglio raggiunga veramente il suo scopo, è conveniente  che studi preventivi precedano il lavoro in comune, con l’aiuto, se  occorre, degli Istituti e degli uffici che operano a questo fine.  § 5. Ove esistano, su un medesimo territorio, Gerarchie di riti diversi,  si raccomanda fortemente che, nella misura del possibile, il Consiglio  Pastorale sia di carattere interrituale, cioè composto di sacerdoti,  Religiosi e laici dei diversi riti.  § 6. Le altre disposizioni da prendersi sono lasciate alla libera  decisione del Vescovo diocesano, tenuto conto di ciò che è detto al n. 17.

17. § 1. È opportuno che, per le questioni che riguardano sia il Consiglio  Presbiterale, sia il Consiglio Pastorale, nonché le loro mutue relazioni,  o le relazioni con i Consigli Episcopali già esistenti secondo il diritto  in vigore, i Vescovi, specialmente riuniti nelle Conferenze, prendano  disposizioni comuni ed emanino norme simili in tutte le diocesi del  territorio.  I Vescovi avranno anche cura che tutti i Consigli diocesani siano il  meglio possibile coordinati mediante una definizione precisa delle  competenze, una partecipazione mutua dei loro membri a sessioni comuni o  continue, e in altri modi.  § 2. Frattanto i Consigli del Vescovo che esistono in forza del diritto  vigente, vale a dire il Capitolo Cattedrale, la Riunione dei consultori, e  altri ancora se ne esistono, conservano i loro compiti e le loro  competenze, in attesa della loro revisione.  SOPPRESSIONE DI DIRITTI E PRIVILEGI  NEL CONFERIMENTO DEGLI UFFICI O DEI BENEFICI  (Decr. Christus Dominus, n. 28)

18. § 1. Il bene delle anime esige che il Vescovo goda della libertà  richiesta per conferire con giustizia ed equità ai sacerdoti più idonei  gli uffici e benefici, anche non curati. La Sede Apostolica stessa non si  riserva più il conferimento di uffici o di benefici, siano essi curati o  non curati, salvo i benefici concistoriali. Nel testo di fondazione di  qualsiasi beneficio sono proibite per sempre le clausole che limitassero  la libertà del Vescovo quanto al loro conferimento; sono abrogati i  privilegi non onerosi, eventualmente concessi fino ad oggi a persone  fisiche o morali, che comportano un diritto di elezione, di nomina, o di  presentazione per qualsiasi ufficio o beneficio non concistoriale vacante;  sono abrogate le consuetudini e ritirati i diritti quanto alla nomina,  all’elezione, alla presentazione di sacerdoti ad un ufficio o beneficio  parrocchiale; la legge del concorso, anche per gli uffici o benefici non  curati, è soppressa.  Per ciò che concerne le cosiddette elezioni popolari, dove sono in vigore,  è compito della Conferenza Episcopale proporre alla Sede Apostolica le  misure ritenute più adatte perché, nella misura del possibile, vengano  abrogate.  § 2. Se però, in questa materia, diritti e privilegi sono stati stabiliti  attraverso una convenzione tra la Sede Apostolica e una Nazione, oppure  attraverso un contratto intervenuto con persone fisiche o morali, sarà  necessario trattare della loro cessazione con gli interessati.  VICARI FORANEI  (Decr. Christus Dominus, n. 30)

19. § 1. Tra i più prossimi collaboratori del Vescovo diocesano si pongono  i sacerdoti che esercitano un ufficio pastorale superparrocchiale, e tra  essi occorre rammentare i Vicari Foranei, chiamati anche Arcipreti, o  Decani e, presso gli Orientali, Protopresbiteri. Ad esercitare questo  ufficio siano chiamati sacerdoti che si distinguono per scienza e zelo  apostolico, in modo che, muniti da parte del Vescovo delle facoltà  necessarie, possano convenientemente promuovere e dirigere un’azione  pastorale d’insieme nel territorio loro affidato. Perciò questo ufficio  non è legato ad una determinata sede parrocchiale.  § 2. I Vicari Foranei, Arcipreti o Decani, siano nominati per un tempo da  determinarsi secondo un diritto particolare; essi potranno essere rimossi  a piacimento del Vescovo. È bene che il Vescovo diocesano li interpelli  ogni volta che si tratta di nomina, trasferimento o rimozione di parroci  nel territorio cui presiedono.

RIMOZIONE, TRASFERIMENTO E RINUNCIA DEI PARROCI  (Decr. Christus Dominus, n. 31)

20. § 1. Il Vescovo può, restando salvo il diritto vigente per i  Religiosi, legittimamente rimuovere qualsiasi parroco dalla sua  parrocchia, ogni qual volta il suo ministero, anche se egli non ha  commesso colpa grave, è reso pregiudizievole o almeno inefficace per una  delle ragioni indicate dal diritto o altra simile a giudizio del Vescovo:  fino alla riforma del Codice si segua la procedura stabilita per i parroci  amovibili (cann. 2157-2161 CIC), e resti salvo il diritto delle Chiese  Orientali.

§ 2. Se il bene delle anime, o i bisogni ovvero l’utilità della Chiesa lo  richiedono, il Vescovo può trasferire un parroco dalla parrocchia che egli  regge in modo utile ad un’altra parrocchia o a qualsiasi altro ufficio  ecclesiastico. E, se il parroco si rifiuta, il Vescovo deve, perché il  trasferimento sia validamente decretato, seguire in tutto la procedura di  cui sopra.  § 3. Affinché la disposizione del Decreto Christus Dominus, n.31, possa  essere portata ad effetto, tutti i parroci sono pregati di presentare  spontaneamente la rinuncia all’ufficio al loro Vescovo non oltre i 75 anni  compiuti. Questi, tenuto conto di tutte le circostanze personali e locali,  deciderà se accettarla o differirla. Il Vescovo provveda al conveniente  mantenimento e alloggio dei dimissionari.

EREZIONE, SOPPRESSIONE E MODIFICAZIONE DI PARROCCHIE  (Decr. Christus Dominus, n. 32)

21. § 1. Bisogna assolutamente adoperarsi, in modo conveniente alle  diverse circostanze, di dividere o smembrare le parrocchie nelle quali, a  motivo del troppo grande numero di fedeli o dell’estensione eccessiva del  territorio o per qualsiasi altro motivo, l’attività apostolica non può  svolgersi che con difficoltà o in modo inadeguato. Parimenti, bisogna  raggruppare in una sola le parrocchie troppo piccole, nella misura in cui  la realtà lo richieda e le circostanze lo permettano.  § 2. Nessuna parrocchia verrà più unita di pieno diritto ad un Capitolo di  canonici. Se ve ne sono di unite, dopo aver udito il Capitolo e il  Consiglio Presbiterale, si separino e si nomini un parroco – scelto o no  fra i membri del Capitolo – che abbia tutte le facoltà che spettano ai  parroci per diritto.

§ 3. Il Vescovo diocesano può, di propria autorità, dopo aver udito il  Consiglio presbiterale, erigere o sopprimere parrocchie o modificarle in  qualche modo, ma in modo che, se vi sono convenzioni tra la Sede  Apostolica e il Governo civile o dei diritti quesiti di altre persone  fisiche o morali, per tali casi l’Autorità competente trovi, d’accordo con  gli interessati, la giusta soluzione.  I RELIGIOSI  (Decr. Christus Dominus, nn. 33-35)

22. Le norme che sono qui stabilite valgono per tutti i Religiosi dei due  sessi, di qualunque rito siano, restando salvi i diritti dei Patriarchi  per gli Orientali.

 23. § 1. Tutti i Religiosi, anche esenti, che svolgono l’attività in un  luogo in cui non esiste che un solo rito diverso dal loro, o in cui il  numero dei fedeli del rito è talmente dominante che esso è considerato  come unico secondo l’opinione generale, dipendono dall’Ordinario del luogo  o dal Gerarca di questo rito in tutto ciò che riguarda le attività  esteriori del ministero, e gli sono sottomessi secondo il diritto.  § 2. Dove invece esistono più Ordinari del luogo o Gerarchi, questi stessi  Religiosi, nel compimento del loro ufficio presso i fedeli di riti  diversi, sono tenuti ad osservare le norme date di comune accordo da  questi stessi Ordinari e Gerarchi.

24. Benché anche nelle terre di Missione sia in vigore l’esenzione dei  Religiosi nel suo legittimo campo, tuttavia le circostanze particolari  dell’esercizio del sacro ministero in queste regioni richiedono che siano  osservate, secondo lo spirito del Decreto Ad gentes divinitus, gli statuti  speciali dati o approvati dalla Sede Apostolica in ciò che concerne le  relazioni tra l’Ordinario del luogo e il Superiore dei religiosi,  soprattutto in una Missione affidata ad un Istituto determinato.

25. § 1. Tutti i Religiosi, anche esenti, sono tenuti alle leggi, decreti  e disposizioni dati dall’Ordinario del luogo circa le diverse opere, in  quanto riguardano l’esercizio dell’apostolato, dell’azione pastorale e  sociale prescritta o raccomandata dall’Ordinario del luogo.  § 2. Essi sono parimenti tenuti alle leggi, decisioni ed ordini dati  dall’Ordinario del luogo o dalla Conferenza dei Vescovi, concernenti tra  l’altro:  a) l’uso pubblico di tutti i mezzi di comunicazione sociale a norma dei  nn. 20 e 21 del Decreto Inter mirifica;  b) l’accesso agli spettacoli pubblici;  c) l’iscrizione a società o associazioni, o la collaborazione con esse,  che l’Ordinario del luogo o la Conferenza Episcopale hanno dichiarato  doversi evitare;  d) l’abito ecclesiastico, restando salvo tuttavia il canone 596 del CIC e  il canone 139 del CICO, sui Religiosi, e secondo la disposizione seguente:  l’Ordinario del luogo o la Conferenza Episco pale, per evitare il  disorientamento dei fedeli, possono proibire ai chierici, sia secolari sia  religiosi, anche esenti, di portare l’abito laico in pubblico.

26. Gli stessi Religiosi sono tenuti, inoltre, alle leggi e decreti  emanati dal Vescovo del luogo a norma del diritto, concernenti l’esercizio  pubblico del culto nelle proprie chiese e oratori pubblici e semipubblici,  se i fedeli vi hanno generalmente accesso, restando salvo il loro proprio  rito, che essi utilizzano legittimamente solo per la loro comunità, e il  loro modo di recitare in coro t’Ufficio Divino e di praticare gli esercizi  religiosi che mirano al fine speciale del loro Istituto.

27. § 1. La Conferenza Episcopale di ogni nazione può, dopo aver udito i  Superiori religiosi interessati, stabilire norme per la questua, che  dovranno essere osservate da tutti gli Ordini e Congregazioni Religiose,  senza escludere quelli che, per loro istituzione, portano il nome di  mendicanti e lo sono in effetti, restando salvo tuttavia il diritto che  hanno questi ultimi di mendicare. § 2. Parimenti, i Religiosi non  procederanno alla raccolta di sussidi con pubblica sottoscrizione senza il  consenso degli Ordinari del luogo in cui tali sussidi sono raccolti.

28. Le opere proprie o particolari di ciascun istituto, cioè quelle che,  con l’approvazione della Sede Apostolica, sono legate alla stessa  fondazione o a venerabili tradizioni, e in seguito sono state definite e  regolate dalle Costituzioni e dalle altre leggi proprie dell’Istituto, i  Religiosi devono promuoverle con zelo, tenendo conto specialmente dei  bisogni spirituali delle diocesi e avendo cura di conservare la concordia  fraterna con il Clero diocesano e gli altri Istituti che dirigono opere  simili.

29. § 1. Le opere proprie o particolari che sono dirette nelle case  dell’Istituto, anche nelle case affidate, dipendono dai Superiori di  questo Istituto; costoro le dirigono e le amministrano secondo le  Costituzioni. Ma tali opere sono sottoposte anche alla giurisdizione  dell’Ordinario del luogo, a norma del diritto.  § 2. Quanto alle opere, anche proprie o particolari di un Istituto, che  sono affidate dall’Ordinario del luogo, esse sono sottomesse all’autorità  e alla direzione del medesimo Ordinario, restando salvo il diritto che  hanno i Superiori religiosi di vegliare sulla vita dei membri, ed anche,  congiuntamente con l’Ordinario del luogo, sul compimento dei compiti che  sono affidati a tali membri.

30. § l. Per ogni opera di apostolato che sarà affidata dall’Ordinario del  luogo a un Istituto, senza pregiudizio delle altre norme del diritto, sarà  fatta una convenzione scritta tra l’Ordinario del luogo e il Superiore  competente dell’Istituto, nella quale, fra le altre cose, sarà chiaramente  definito ciò che riguarda l’opera da compiere, i membri da impegnarvi, e  gli elementi di natura economica.  § 2. Per queste opere poi spetta al Superiore religioso, dopo uno scambio  di vedute con l’Ordinario del luogo, di scegliere religiosi veramente  idonei, e, se si tratta di affidare una carica ecclesiastica a un  Religioso, questi deve essere nominato dall’Ordinario del luogo, su  presentazione o almeno con l’assenso del suo Superiore, per un tempo  determinato di comune accordo.

31. Anche quando un Ordinario del luogo o una Conferenza Episcopale dovrà  conferire un incarico a un Religioso, ciò sia fatto col consenso del suo  Superiore e mediante una convenzione scritta.

32. Per una causa grave, ogni religioso può essere rimosso dall’incarico a  lui affidato sia a piacimento dell’Autorità che lo affida, dopo aver  avvertito il Superiore religioso, sia a piacimento del Superiore dopo aver  avvertito l’Autorità che affida l’incarico, secondo un diritto uguale per  le due parti, senza che sia richiesto il consenso dell’altra parte; né  l’una né l’altra parte è tenuta a comunicare le proprie ragioni e ancor  meno a provarle, restando salvo il ricorso alla Sede Apostolica in  devolutivo.

33. § 1. L’Ordinario del luogo può, di sua propria autorità, con il  consenso del Superiore competente, affidare una parrocchia a un Istituto  religioso, anche erigendola in una chiesa religiosa del medesimo Istituto.  Questa parrocchia può essere affidata, sia in perpetuo, sia per un tempo  determinato. In entrambi i casi si dovrà procedere per convenzione scritta  tra l’Ordinario e il Superiore competente dell’Istituto; in essa, tra le  altre cose, sarà espressamente ed accuratamente indicato ciò che riguarda  l’opera da compiere, le persone da impegnarvi e gli elementi di natura  economica.  § 2. L’Ordinario del luogo può costituire parroco un Religioso con il  permesso del Superiore, anche per una parrocchia che non è affidata  all’Istituto, dopo aver fatto una convenzione particolare conveniente con  il Superiore competente del medesimo Istituto.

34. § 1. Una casa religiosa, formata o non formata, appartenente a un  Istituto religioso esente, non può essere soppressa senza il beneplacito  della Sede Apostolica e senza che sia stato consultato l’Ordinario del  luogo.  § 2. I Superiori religiosi che intendono sopprimere una casa o un’opera  per qualunque ragione, non lo facciano affrettatamente. Si ricordino  infatti che incombe a tutti i Religiosi il dovere di lavorare con ardore e  sollecitudine non solo all’edificazione e allo sviluppo del Corpo Mistico  di Cristo nel suo insieme, ma anche al bene delle Chiese particolari.  § 3. Quando la soppressione di una casa o di un’opera qualunque è  richiesta dai Superiori, soprattutto per mancanza di personale,  l’Ordinario del luogo prenderà in considerazione la domanda in modo  benevolo.

35. Le associazioni di fedeli che sono poste sotto la guida e la direzione  di un Istituto religioso, anche se sono state erette dalla Sede  Apostolica, sono sottomesse alla giurisdizione e alla vigilanza  dell’Ordinario del luogo, il quale, a norma dei sacri canoni, ha il  diritto e il dovere di visitarle. Queste associazioni, se si dedicano ad  attività esteriori di apostolato o di promozione del culto divino, devono  seguire le prescrizioni emanate su tale materia dall’Ordinario del luogo o  dalla Conferenza Episcopale.

36. § 1. L’attività apostolica dei membri degli Istituti di perfezione che  non sono votati alla vita puramente contemplativa non sarà circoscritta  alle opere proprie dell’Istituto, o ad altre occasionalmente assunte, fino  al punto che, in ragione dei bisogni urgenti delle anime o della penuria  del Clero, gli Ordinari del luogo non possano chiamare, pur avendo  riguardo al carattere proprio di ciascun Istituto e col consenso del  Superiore religioso competente, non solo i Sacerdoti ma anche tutti i  membri, uomini e donne, perché essi apportino il soccorso della loro  attività nei diversi ministeri delle diocesi o delle regioni.  § 2. Se l’Ordinario del luogo giudica necessario o molto utile l’aiuto dei  Religiosi per l’esercizio delle molteplici attività di apostolato e per  sostenere le attività della carità o del ministero pastorale nelle  parrocchie secolari o nelle associazioni diocesane, i Superiori religiosi,  su domanda dell’Ordinario, devono, nella misura del possibile, fornire  l’aiuto richiesto.

37. In tutte le chiese e tutti gli oratori pubblici o semipubblici  dipendenti da Religiosi, quando questi edifici sono di fatto abitualmente  aperti ai fedeli, l’Ordinario del luogo può prescrivere che i documenti  episcopali siano letti pubblicamente e che vi si tenga il catechismo, ed  altresì che vi sia fatta una colletta speciale per opere determinate,  parrocchiali o diocesane, nazionali o universali; questa colletta dovrà  essere poi sollecitamente inviata alla Curia Vescovile.

38. L’Ordinario del luogo ha il diritto di visitare le chiese e gli  oratori, anche semipubblici, dei Religiosi, anche esenti, se i fedeli vi  hanno comunemente accesso, relativamente all’osservanza delle leggi  generali e delle decisioni del Vescovo circa il culto divino. Se vi  riscontrasse degli abusi e l’avvertimento dato al Superiore religioso  restasse senza risultato, l’Ordinario può di propria autorità provvedervi  direttamente.

39. § 1. Secondo la norma n. 35, 4 del Decreto Christus Dominus,  l’organizzazione generale delle scuole cattoliche degli Istituti religiosi  comporta, restando salvo il diritto degli Istituti a dirigere queste  scuole e osservate le norme ivi stabilite (n. 35, 5) circa la previa  intesa a cui devono pervenire i Vescovi e i Superiori religiosi, la  distribuzione generale di tutte le scuole cattoliche nella diocesi, la  loro collaborazione reciproca e la sorveglianza su di esse affinché non  siano meno idonee delle altre scuole a perseguire i fini culturali e  sociali.  § 2. L’Ordinario del luogo può visitare, a norma dei sacri canoni,  personalmente o tramite un suo delegato, tutte le scuole degli Istituti  religiosi, i collegi, oratori, ricreatori, patronati, ospedali,  orfanatrofi e altre istituzioni simili destinate ad opere religiose o  caritative, sia spirituali che temporali, ad eccezione delle scuole  interne che sono aperte solo agli alunni propri dell’Istituto.

40. Le norme relative all’introduzione dei religiosi nelle opere e nei  ministeri diocesani, che devono essere esercitati sotto la direzione dei  Vescovi, vanno applicate, con gli opportuni adattamenti, anche alle opere  e ai ministeri che oltrepassano i limiti di una diocesi.  LE CONFERENZE EPISCOPALI  (Decr. Christus Dominus, n. 38)

41. § 1. I Vescovi delle nazioni o dei territori nei quali la Conferenza  Episcopale non esiste ancora, a norma del Decreto Christus Dominus,  provvederanno a costituirla il più presto possibile e a redigerne gli  Statuti che dovranno essere rivisti dalla Sede Apostolica.  § 2. Le Conferenze Episcopali già costituite devono redigere i propri  Statuti, secondo le prescrizioni del Concilio, o, se li hanno già redatti,  li aggiornino secondo lo spirito dello stesso Concilio e li mandino alla  Sede Apostolica per la revisione.  § 3. I Vescovi delle nazioni nelle quali è difficile costituire una  Conferenza, d’intesa con la Sede Apostolica, dovranno unirsi alla  Conferenza che meglio si accorda con le esigenze dell’apostolato della  loro nazione.  § 4. Le Conferenze Episcopali di più nazioni o internazionali non possono  costituirsi che con l’approvazione della Sede Apostolica, cui spetta  fissarne le norme particolari. Ogni volta che attività o relazioni aventi  di per sé aspetto internazionale vengono intraprese dalle Conferenze, la  Santa Sede deve esserne precedentemente avvertita.  § 5. Relazioni tra Conferenze Episcopali, soprattutto di nazioni vicine,  potranno essere stabilite in modo opportuno e adeguato attraverso i  Segretariati di tali Conferenze. Esse potranno tra l’altro:  a) comunicare i metodi principali d’azione soprattutto nel campo  dell’attività pastorale;  b) trasmettere gli scritti o i fogli che riportano le decisioni della  Conferenza, o ancora gli atti e i documenti che i Vescovi pubblicano di  comune accordo;  c) fare conoscere le diverse iniziative di apostolato proposte o  raccomandate dalla Conferenza Episcopale e tutto ciò che potrebbe essere  utile in casi analoghi;  d) presentare i problemi più gravi che paiono essere di maggior importanza  nell’ora presente e in circostanze particolari;  e) indicare i pericoli o errori che si diffondono nella propria nazione e  che potrebbero sorgere anche presso altri popoli, perché si possano  prendere le disposizioni opportune e atte per prevenirli, o estirparli, o  limitarli, e altre cose simili.  CIRCOSCRIZIONI DELLE PROVINCE E DELLE REGIONI ECCLESIASTICHE  (Decr. Christus Dominus, nn. 39-41)

42. Le Conferenze dei Vescovi esamineranno attentamente se per promuovere  maggiormente il bene delle anime nel territorio: a) non sia richiesta una  più approfondita delimitazione delle province ecclesiastiche; b) se non  sia consigliabile l’erezione di regioni ecclesiastiche. In caso  affermativo esse presenteranno alla Sede Apostolica i motivi per i quali  dovrebbero essere stabilite di diritto la revisione della delimitazione  delle province e l’erezione delle regioni. Inoltre esse faranno conoscere  alla Santa Sede le modalità secondo cui dovrebbero essere aggregate le  diocesi del territorio che sono state fino ad ora immediatamente soggette  alla Sede Apostolica.  REDAZIONE DEI DIRETTORI PASTORALI  (Decr. Christus Dominus, n. 44)

43. In ciò che concerne i Direttori di pastorale, i Sinodi Patriarcali e  le Conferenze Episcopali sono pregati di studiare rapidamente quali sono i  problemi di cui dovranno trattare i Direttori generali e speciali e di  comunicare quanto prima alla Sede Apostolica i loro desideri e pareri.

II. NORME PER L’APPLICAZIONE DEL DECRETO  «PERFECTAE CARITATIS» DEL CONCILIO VATICANO II

Perché i frutti del Concilio possano diligentemente giungere a  maturazione, bisogna che gli Istituti religiosi promuovano anzitutto uno  spirito nuovo e, partendo di qui, che essi abbiano a cuore di realizzare  con prudenza certo, ma anche con premura, l’opportuno rinnovamento della  vita e della disciplina, dandosi assiduamente allo studio in particolare  della Costituzione dogmatica Lumen gentium (cap. V e VI) e del Decreto  Perfectae caritatis, e dando applicazione all’insegnamento e alle norme  del Concilio.  In vista della rapida applicazione del Decreto Perfectae caritatis, le  Norme seguenti, valide per tutti i religiosi, latini e orientali, facendo  gli adattamenti necessari, fissano il modo di procedere e qualche  prescrizione.  Parte I  Norme per promuovere un adeguato rinnovamento  della vita religiosa  I. Chi deve promuovere il rinnovamento adeguato

1. Nel rinnovamento e nell’adattamento della vita religiosa, la parte  principale spetta agli Istituti stessi che la realizzeranno soprattutto  attraverso i Capitoli generali o, presso gli Orientali, attraverso le  Sinassi. Il ruolo dei Capitoli non si esaurisce nella sola promulgazione  delle leggi, ma si compie promovendo anche la vitalità spirituale e  apostolica.

2. È necessaria la collaborazione di tutti, Superiori e membri, per  rinnovare la vita religiosa in loro stessi, per preparare lo spirito dei  Capitoli, per adempiere il loro compito, e perché le leggi e le norme  promulgate dai capitoli siano fedelmente osservate.

3. Per promuovere il rinnovamento adeguato in ciascun Istituto, uno  speciale Capitolo generale, ordinario o straordinario, sarà riunito nello  spazio di due o al massimo tre anni. Questo Capitolo potrà essere diviso  in due periodi distinti, separati da un intervallo che non supererà in  generale un anno, se così il Capitolo stesso avrà deciso a votazione  segreta.

4. In preparazione di questo Capitolo, il Consiglio generale organizzerà  con cura una consultazione ampia e libera dei membri e classificherà  opportunamente i risultati di questa consultazione per aiutare e dirigere  il lavoro del Capitolo. E ciò potrà essere realizzato, per esempio,  ascoltando i Capitoli conventuali e provinciali, costituendo commissioni,  proponendo serie di quesiti, ecc.

5. Per i Monasteri stauropegiaci è compito del Patriarca emanare le norme  per realizzare questa consultazione.

6. Questo Capitolo generale ha il potere di modificare, a titolo di  esperimento, certe prescrizioni delle Costituzioni o, presso gli  Orientali, delle Tipiche, purché siano rispettati il fine, la natura e il  carattere dell’Istituto. Esperienze contrarie al diritto comune, ma fatte  con prudenza, saranno, secondo l’opportunità, autorizzate volentieri dalla  Santa Sede.  Queste esperienze possono protrarsi fino al prossimo Capitolo generale  ordinario, il quale avrà la facoltà di prolungarle, ma non oltre il  Capitolo immediatamente seguente.

7. Della stessa facoltà, per il periodo di tempo che separa questi due  Capitoli, alle condizioni che questi dovranno determinare, godrà il  Consiglio generale e, presso gli Orientali nei Monasteri autonomi,  l’Igumeno con la piccola Sinassi.

8. L’approvazione definitiva delle Costituzioni è riservata all’Autorità  competente.

9. Per quanto concerne la revisione delle Costituzioni di Monache, ogni  Monastero in forma capitolare o addirittura ciascuna Monaca, esprimerà i  suoi voti che saranno raccolti dall’Autorità suprema dell’Ordine, se essa  esiste, e ciò in vista di salvaguardare l’unità della famiglia religiosa,  secondo il carattere proprio di ciascuna di queste famiglie. Se non c’è  autorità suprema, questi voti saranno raccolti dal Delegato della Santa  Sede e, presso gli Orientali, dal Patriarca o dal Gerarca del luogo. Voti  e pareri potranno essere ottenuti anche dalle assemblee delle Federazioni  o da altre riunioni legittimamente convocate. La sollecitudine pastorale  dei Vescovi rechi anche in questo un benevolo aiuto.

10. Se nei Monasteri di Monache alcuni esperimenti temporanei fossero a  volte giudicati opportuni in materia di osservanza, essi potranno essere  autorizzati dai Superiori generali o dai Delegati della Santa Sede e,  presso gli Orientali, dal Patriarca o dal Gerarca del luogo; ma si terrà  conto della mentalità particolare o dello stato d’animo delle monache che  hanno bisogno soprattutto di stabilità e di sicurezza.

11. È compito delle Autorità di cui si è parlato sopra provvedere, dopo la  consultazione e con l’aiuto dei Monasteri, alla revisione del testo delle  Costituzioni e presentarlo all’approvazione della Santa Sede o del Gerarca  competente.  II Revisione delle Costituzioni e delle Tipiche

12. Per ogni Istituto le leggi generali (Costituzioni, Tipiche, Regole o  comunque si chiamino) abbracceranno ordinariamente i seguenti elementi:  a) Principi evangelici e teologici della vita religiosa e dell’unione di  questa con la Chiesa ed espressioni adatte e sicure grazie alle quali u si  interpretino e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei  Fondatori, come pure le sane tradizioni: tutto ciò costituisce il  patrimonio di ciascun Istituto» (Decr. Perfectae caritatis, n. 2 b);  b) le norme giuridiche necessarie per definire chiaramente il carattere, i  fini e i mezzi dell’Istituto. Queste norme non devono essere  eccessivamente moltiplicate, ma devono sempre essere espresse in modo  adeguato.

13. L’unione di questi due elementi, spirituale e giuridico, è necessaria  perché i testi fondamentali dell’Istituto abbiano una base stabile e  perché il vero spirito e la norma vitale li penetrino; bisogna dunque  guardarsi dal comporre un testo o solo giuridico o di pura esortazione.

14. Si escludano dal testo fondamentale degli Istituti gli elementi già  caduti in disuso, o soggetti a mutazioni secondo i costumi di ciascuna  epoca, o che rispondono a consuetudini puramente locali. Le norme che  corrispondono all’epoca attuale, alle condizioni fisiche e psicologiche  dei membri, e a circostanze particolari, saranno poste in testi annessi,  chiamati «direttori», libri di usanze, o con altri nomi.  III. Criteri di rinnovamento adeguato

15. Le norme e lo spirito ai quali bisogna che risponda il rinnovamento  adeguato, devono essere cercati non solo nel Decreto Perfectae caritatis,  ma anche negli altri documenti del Concilio Vaticano II, in particolare  nei capitoli V e VI della Costituzione dogmatica Lumen gentium.

16. Gli Istituti avranno cura che i principi stabiliti nel n. 2 del  Decreto Perfectae caritatis guidino realmente il rinnovamento della loro  vita religiosa; per cui:  § 1. Lo studio e la meditazione dei Vangeli e di tutta la Sacra Scrittura  siano promossi più intensamente presso i membri, fin dal noviziato;  parimenti bisogna fare in modo che partecipino con mezzi più adeguati al  mistero e alla vita della Chiesa;  § 2. La dottrina della vita religiosa sia studiata e presentata sotto i  diversi aspetti (teologico, storico, canonico, ecc.);  § 3. Per procurare il bene stesso della Chiesa, gli Istituti perseverino  nello sforzo di conoscere esattamente il loro spirito d’origine, affinché,  mantenendolo fedelmente negli adattamenti che dovranno fare, la loro vita  religiosa sia purificata dagli elementi estranei e da quelli caduti in  disuso.

17. Bisogna considerare caduti in disuso gli elementi che non  costituiscono la natura e i fini dell’Istituto e che, avendo perduto il  loro senso e la loro forza, non aiutano più realmente la vita religiosa;  si terrà fermo tuttavia che c’è una testimonianza che lo stato religioso  ha il dovere di portare.

18. Il metodo di governo sarà tale che «i Capitoli e i Consigli…  ciascuno a suo modo, esprimano la partecipazione e l’interesse di tutti i  membri al bene di tutta la comunità» (Decr. Perfectae caritatis, n. 14),  il che avverrà in particolare se i religiosi avranno un ruolo veramente  efficace nella scelta dei membri di questi organi; parimenti, che renda  l’esercizio dell’autorità più efficace e più agevole, secondo le esigenze  dell’epoca attuale. Perciò i Superiori di tutti i gradi saranno dotati di  facoltà opportune, in modo da non moltiplicare i ricorsi inutili o troppo  frequenti alle autorità superiori.

19. Il rinnovamento adeguato del resto non può essere realizzato una volta  per tutte, ma deve essere attuato continuamente in un certo senso,  attraverso il fervore dei membri e la preoccupazione dei Capitoli e dei  Superiori.  Parte II  Alcuni elementi da adattare e da rinnovare nella vita religiosa  I. L’ufficio divino dei Religiosi e delle Religiose  (Decr. Perfectae caritatis, n. 3)

20. Benché i religiosi che recitano il piccolo Ufficio debitamente  approvato abbiano parte nella preghiera pubblica della Chiesa (cf Cost.  Sacrosanctum Concilium, n. 98), si raccomanda agli Istituti di recitare  t’Ufficio divino in parte o integralmente al posto del piccolo Ufficio, al  fine di partecipare più intimamente alla vita liturgica della Chiesa. I  membri Orientali recitino le dossologie e le Lodi divine secondo le loro  Tipiche e le loro Consuetudini.  II. L’Orazione mentale (Decr. Perfectae caritatis, n. 6)

21. Perché i religiosi partecipino più intimamente e con più frutto al  sacrosanto mistero dell’Eucaristia e alla preghiera pubblica della Chiesa,  e perché tutta la loro vita spirituale sia più abbondantemente nutrita, si  sostituirà la molteplicità delle preghiere con un maggiore tempo dedicato  alla preghiera mentale, mantenendo tuttavia i pii esercizi comunemente  accolti nella Chiesa, e vegliando che i membri siano formati con cura  nelle vie della vita spirituale.  III. La Mortificazione (Decr. Perfectae caritatis, nn. 5 e 12)

22. I Religiosi più degli altri fedeli si diano alle opere di penitenza e  di mortificazione. Gli Istituti rivedano, se è necessario, le loro proprie  osservanze penitenziali, in modo che, tenuto conto delle tradizioni, sia  dell’Oriente, sia dell’Occidente, e altresì delle condizioni attuali, i  loro membri possano realmente praticarle, anche in forme nuove improntate  al modo di vita attuale.  IV. La Povertà (Decr. Perfectae caritatis, n. 13)

 23. Gli Istituti, specialmente ad opera dei Capitoli generali, favoriscano  con cura e con misure concrete lo spirito e la pratica della povertà  secondo il n. 13 del Decreto Perfectae caritatis, cercando anche e  instaurando, secondo il carattere loro proprio, nuove forme che rendano  più efficace nel nostro tempo l’esercizio e la testimonianza della  povertà.

24. Spetta agli stessi Istituti di voti semplici decidere in Capitolo  generale se la rinuncia ai beni patrimoniali, acquisiti o acquisibili,  deve essere introdotta nelle Costituzioni e, in questo caso, se essa deve  essere obbligatoria o facoltativa, e il tempo in cui dovrà essere fatta,  cioè prima della professione perpetua o dopo diversi anni.  V. La Vita da condurre in comune (Decr. Perfectae caritatis, n. 15)

25. Negli Istituti dediti alle opere di apostolato, la vita comune, che è  così importante perché i membri, come una famiglia unita nel Cristo,  intrattengano relazioni fraterne, dovrà essere favorita ad ogni costo nel  modo che è conforme alla vocazione dell’Istituto.

26. Spesso l’orario quotidiano in questi Istituti non può essere identico  in tutte le case, né a volte per tutti i membri in una stessa casa. Ma  esso deve sempre essere stabilito in modo tale che i religiosi dispongano,  oltre al tempo consacrato alla vita spirituale e ai loro impegni, di un  po’ di tempo per se stessi, e possano godere della ricreazione  conveniente.

27. I Capitoli generali e le Sinassi cercheranno il modo in forza del  quale i membri chiamati conversi, cooperatori, o con altro nome, possano  ottenere per gradi il diritto di voto attivo in determinati atti della  comunità e nelle elezioni e anche di voto passivo per certi incarichi; in  questo modo avverrà veramente che essi siano più strettamente uniti alla  vita e alle attività della comunità e che i sacerdoti possano dedicarsi  più liberamente ai propri ministeri.

28. Nei Monasteri in cui si sarà giunti a un solo tipo di Monache, le  obbligazioni corali siano definite nelle Costituzioni, tenendo conto della  diversità delle persone, come esige la distinzione dei compiti e delle  vocazioni speciali.

29. Le suore dedite al servizio esterno dei Monasteri, dette oblate o  designate con qualche altro nome, avranno regolamenti particolari, nei  quali si terrà conto della loro vocazione che non è solo contemplativa, e  altresì delle esigenze della vocazione delle Monache con le quali esse  vivono in stretta relazione, benché non siano monache.  La superiora del Monastero ha l’obbligo grave di prendersi premurosa cura  di loro, di procurare loro la formazione religiosa adeguata, di trattarle  con vera carità e di favorire il legame della fraternità fra loro e la  comunità delle Monache.  VI. La Clausura delle Monache (Decr. Perfectae caritatis, n. 16)

30. La clausura papale dei Monasteri deve essere considerata come  un’istituzione ascetica singolarmente coerente con la vocazione  particolare delle monache, e come il segno, la protezione e la forma  speciale del loro ritiro dal mondo.  Le Monache dei riti Orientali osserveranno la loro propria clausura nello  stesso spirito.

31. Questa clausura deve essere sistemata in modo che la separazione  materiale da tutto ciò che è esterno sia sempre assicurata. Ma ogni  Famiglia religiosa, secondo il suo spirito specifico, può stabilire e  definire nelle sue Costituzioni le norme particolari di questa separazione  materiale.

32. La clausura minore è soppressa. Di conseguenza le Monache che per  istituzione si dedicano ad attività esterne, definiranno nelle  Costituzioni la propria clausura. Ma le Monache che hanno assunto attività  esterne, mentre sono contemplative per istituzione, dopo un tempo  conveniente che sarà loro accordato perché possano deliberare, dovranno o  abbandonare le attività esterne e prendere la clausura papale, o, se  conservano queste attività, definire nelle Costituzioni la clausura loro  propria, ferma restando la loro condizione di Monache.  VII. La Formazione dei Religiosi (Decr. Perfectae caritatis, n. 18)

33. La formazione dei membri non sarà regolata nella stessa maniera in  tutti gli Istituti fin dal noviziato, ma sarà tenuto conto del carattere  proprio di ciascun Istituto. Nella sua revisione e adattamento si dia  spazio sufficiente all’esperienza, secondo prudenza.

34. Quanto è fissato nel Decreto Optatam totius (sulla formazione dei  sacerdoti) dovrà essere osservato fedelmente nel metodo di formazione dei  religiosi chierici, dopo essere stato convenientemente adattato al  carattere di ciascun Istituto.

35. Il proseguimento della formazione dopo il noviziato, in modo adeguato  a ciascun Istituto, è assolutamente indispensabile per tutti i religiosi,  anche per i contemplativi; per i fratelli delle Congregazioni laicali e le  suore d’Istituti dedicati all’apostolato essa sia protratta generalmente  per tutta la durata dei voti temporanei, come già avviene in molti  Istituti, sotto il nome di iuniorato o scolasticato o altro.

36. Questa formazione sarà data in case adatte e, perché essa non sia  semplicemente teorica, sarà completata con l’esercizio, a titolo di  addestramento, di attività o di incarichi conformi al carattere e alle  circostanze particolari di ciascun Istituto, in modo che i membri  s’inseriscano gradualmente nella vita che più tardi dovranno condurre.

37. Quando degli Istituti non possono ciascuno per suo conto fornire una  sufficiente formazione, dottrinale o tecnica, vi si potrà supplire  mediante la collaborazione fraterna di più congregazioni, salvaguardando  sempre la formazione propria a ciascuna. Questa collaborazione può avere  forme e gradi diversi: lezioni o corsi comuni, prestiti di professori e  persino raggruppamenti di questi ultimi e contribuzione ad una scuola  comune frequentata dai membri di più Istituti. Gli Istituti che hanno i  mezzi necessari aiuteranno volentieri gli altri.

38. Dopo aver compiuto le esperienze necessarie, spetterà a ciascun  Istituto redigere le norme proprie che convengono alla formazione dei suoi  membri.  VIII. Unione e Soppressione di Istituti (Decr. Perfectae caritatis, nn.  21-22)

39. La promozione di una qualsiasi unione tra Istituti suppone una  conveniente preparazione spirituale, psicologica, giuridica, nello spirito  del Decreto Perfectae caritatis. A tal fine sarà spesso opportuno che un  Assistente, approvato dall’Autorità competente, aiuti gli Istituti.

40. Nei suddetti casi e circostanze, bisogna mirare al bene della Chiesa,  tenuto conto tuttavia del carattere proprio di ciascun Istituto e della  libertà di ciascuno dei membri.

41. Fra i criteri che possono concorrere a determinare un giudizio  riguardo la soppressione di un Istituto o di un Monastero, dopo aver  vagliato tutte le circostanze, si porrà attenzione soprattutto ai seguenti  punti nel loro insieme: il piccolo numero di religiosi relativamente agli  anni d’esistenza, la mancanza di candidati da parecchi anni, l’età  avanzata della maggior parte dei membri. Se si arriva a decidere la  soppressione, bisogna provvedere che il gruppo sia aggregato, «se sarà  possibile, a un altro Istituto o Monastero più fiorente che non molto  differisca nelle finalità e nello spirito» (Decr. Perfectae caritatis, n.  21). Prima sia udito ogni religioso e tutto si faccia nella carità.  IX. Conferenze o Unioni dei Superiori e delle Superiore Maggiori (Decr.  Perfectae caritatis, n. 23)

42. Bisognerà procurare che l’unione dei Superiori generali e l’unione  delle Superiore generali possano essere ascoltate e consultate attraverso  un Consiglio costituito presso la Sacra Congregazione dei Religiosi.

43. È della massima importanza che le Conferenze o Unioni nazionali dei  Superiori e delle Superiore Maggiori collaborino con le Conferenze  Episcopali nella fiducia e nel rispetto (cf Decr. Christus Dominus, n. 35,  5; Decr. Ad gentes divinitus 33). È perciò auspicabile che le questioni  concernenti l’una e l’altra parte siano trattate da Commissioni miste,  costituite di Vescovi e di Superiori o Superiore Maggiori.  Conclusione

44. Queste norme, che varranno per i Religiosi della Chiesa universale,  lasciano intatte le leggi generali della Chiesa, sia della Chiesa Latina  sia delle Chiese Orientali, come pure le leggi proprie degli Istituti  religiosi, a meno che non vi apportino esplicitamente o implicitamente  delle modifiche.

  III. NORME PER L’APPLICAZIONE DEL DECRETO  «AD GENTES DIVINITUS»  DEL CONCILIO VATICANO II

Poiché il Decreto del Sacro Concilio Vaticano II Ad gentes divinitus  (sull’attività missionaria della Chiesa) deve essere fedelmente osservato  da tutti, in modo che tutta la Chiesa si faccia realmente missionaria e  tutto il Popolo di Dio sia cosciente del suo dovere missionario, gli  Ordinari del luogo facciano in modo che tutti i fedeli cristiani conoscano  il Decreto: si tengano conferenze al clero sullo stesso e lo si predichi  al popolo al fine di illustrare e inculca re la comune responsabilità di  coscienza sull’attività missionaria.  Al fine di facilitare e rendere più fedele l’applicazione del Decreto, si  stabilisce quanto segue:

1. La teologia della Missione sia inserita nell’insegnamento della  dottrina teologica in modo tale che nella sua progressiva evoluzione di  forma appaia in piena luce la natura missionaria della Chiesa. Si faccia  inoltre attenzione alle vie del Signore le quali preparano  l’evangelizzazione e la possibilità di salvezza dei non evangelizzati,  inculcando la necessità dell’evangelizzazione e dell’incorporazione alla  Chiesa (Ad gentes divinitus, cap. 1).  Quanto è stato detto deve essere tenuto nel debito conto per organizzare  rettamente e ordinatamente gli studi nei Seminari e nelle Università (n.  39).

2. Si invitano le Conferenze Episcopali a proporre al più presto alla  Santa Sede i quesiti più generali relativi alle Missioni, affinché possano  essere studiati nella prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi (n. 29).

3. al fine di intensificare lo spirito missionario nel popolo cristiano,  si raccomandino orazioni e sacrifici quotidiani, in modo che la  celebrazione dell’annuale giornata missionaria sia una spontanea  manifestazione di quello spirito (n. 36).  I Vescovi e le Conferenze Episcopali redigeranno diverse invocazioni a  favore delle Missioni per poi inserirle nell’Orazione dei Fedeli durante  la Messa.

4. In ciascuna diocesi sia designato un sacerdote per promuovere  efficacemente l’attività in favore delle missioni; questi dovrà anche far  parte del Consiglio pastorale della diocesi (n. 38).

5. al fine di promuovere lo spirito missionario, si devono stimolare gli  alunni dei Seminari e i giovani delle associazioni cattoliche affinché  stabiliscano e mantengano contatti con gli alunni dei Seminari e di  associazioni similari delle missioni, in modo che la mutua conoscenza  accresca la coscienza missionaria ed ecclesiale nel popolo cristiano (n.  38).

6. I Vescovi, compenetrati della grande urgenza dell’evangelizzazione del  mondo, favoriscano le vocazioni missionarie tra i propri chierici e  giovani, e procurino di dar mezzi e opportunità agli Istituti che lavorano  nelle missioni affinché facciano conoscere nella diocesi le necessità  delle missioni e suscitino vocazioni (n. 38).  Nello stimolare le vocazioni per le missioni deve proporsi diligentemente  tanto la missione della Chiesa verso tutte le nazioni come i modi nei  quali gli uni e gli altri (Istituti, sacerdoti, religiosi e laici di ambo  i sessi) si sforzano di realizzarla. Va sottolineata e illustrata con  esempi soprattutto la speciale vocazione missionaria a vita (nn. 23 e 24).

7. Siano promosse in tutte le diocesi le Pontificie Opere Missionarie,  osservandone fedelmente gli statuti, in particolare per quanto si  riferisce all’invio dei sussidi (n. 38).

8. Poiché le offerte date spontaneamente dai fedeli per le missioni non  bastano in alcun modo, si raccomanda di fissare quanto prima per ciascuna  diocesi, parrocchia e ogni altra comunità diocesana la consegna di una  determinata quota annuale, secondo le rispettive disponibilità, la quale  dovrà essere distribuita dalla Santa Sede, senza pregiudizio per  l’integrità delle altre offerte dei fedeli (n. 38).

9. In seno alle Conferenze Episcopali ci sia una Commissione episcopale  per le missioni, incaricata di incrementare l’attività e la coscienza  missionaria e una coerente disponibilità alla cooperazione tra le diocesi;  di mantenere rapporti con le altre Conferenze Episcopali e di escogitare  il modo di procurare diligentemente l’equità nell’aiuto alle missioni (n.  38).

10. Gli Istituti missionari rimangono quanto mai necessari, poiché si deve  riconoscere che ad essi è affidato dalle Autorità ecclesiastiche il  compito di assolvere il dovere missionario di tutto il Popolo di Dio (n.  27).

11. I Vescovi devono servirsi anche degli Istituti missionari per  accendere nei fedeli lo zelo per le missioni, offrendo inoltre loro la  possibilità, nei limiti di un giusto ordine, di suscitare e coltivare  vocazioni di giovani per le missioni e di organizzare questue (nn. 23, 37  e 38).  Al fine di conseguire maggiore unità ed efficacia, i Vescovi si servano  del Consiglio Nazionale o Regionale delle Missioni, del quale faranno  parte i Direttori delle Pontificie Opere missionarie e degli Istituti  missionari esistenti nella Nazione o Regione.

12. Ogni Istituto missionario deve provvedere al più presto possibile ad  un suo opportuno rinnovamento tanto per ciò che riguarda i metodi di  evangelizzazione e di iniziazione cristiana (nn. 13 e 14), quanto per ciò  che riguarda la norma di vita delle comunità (Decr. Perfectae caritatis,  n. 3).

13. § 1. È necessario che per tutte le missioni vi sia un solo dicastero  competente, e cioè la Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede.  Però, poiché alcune missioni per particolari ragioni dipendono  temporaneamente da altri Dicasteri, si deve nel frattempo istituire in  tali Dicasteri una sezione missionaria, la quale sia in stretti rapporti  con la Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede affinché possa  darsi una condotta e norma del tutto costante e uniforme nell’ordinamento  e direzione di tutte le missioni (n. 29).  § 2. Dalla Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede dipendono le  Pontificie Opere Missionarie, e precisamente la Pontificia Opera della  Propagazione della Fede, l’Opera di san Pietro apostolo per il clero  indigeno, l’Unione del clero per le missioni e l’Opera della santa  Infanzia.

14. Il Presidente del Segretariato per l’unità dei Cristiani, in virtù del  suo ufficio, è membro della Sacra Congregazione per la Propagazione della  Fede; il segretario dello stesso Segretariato fa parte del gruppo dei  consultori della Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede (n.  29).

Similmente, la Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede deve  essere rappresentata in seno al Segretariato per l’Unità dei Cristiani.

15. Parteciperanno con voto deliberativo alla direzione della Sacra  Congregazione per la Propagazione della Fede ventiquattro rappresentanti,  salvo che il Sommo Pontefice determini altrimenti caso per caso;  precisamente: dodici Prelati delle missioni, quattro delle altre regioni;  quattro Superiori Generali di Istituti; quattro delle Opere Pontificie, i  quali dovranno essere tutti convocati due volte all’anno. I membri di tale  commissione sono nominati per un quinquennio, e ogni anno si rinnoverà  quasi la quinta parte degli stessi. Terminato il mandato potranno essere  nominati per un altro quinquennio.  Le Conferenze Episcopali, gli Istituti e le Opere Pontificie, seguendo le  norme che la Santa Sede comunicherà quanto prima, debbono proporre al  Sommo Pontefice i nomi dei candidati, tra i quali lo stesso Sommo  Pontefice eleggerà i menzionati rappresentanti, come pure i nomi di  quelli, anche se vivono nelle missioni, tra i quali possono scegliersi i  consultori.

16. I rappresentanti degli Istituti religiosi nelle missioni e delle Opere  regionali al servizio delle missioni, come pure delle Organizzazioni dei  laici, soprattutto internazionali, parteciperanno alle sessioni di questo  Dicastero con voto consultivo (n. 29).

17. La Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede, dopo aver  consultato le Conferenze Episcopali e gli Istituti missionari, fissi al  più presto i principi generali in base ai quali stabilire le convenzioni  tra gli Ordinari del luogo e gli Istituti missionari, per regolare i loro  mutui rapporti (n. 32).  In tali convenzioni si tenga presente tanto la continuazione dell’opera  missionaria come le necessità degli Istituti (n. 32).

18. È desiderabile che le Conferenze Episcopali nelle Missioni si  riuniscano in assemblee organiche corrispondenti alle citate zone  socio-culturali (cf il precedente n. 9) e pertanto la Sacra Congregazione  per la Propagazione della Fede (n. 29) promuova questo coordinamento delle  Conferenze Episcopali.  Spetta a tali Conferenze, congiuntamente alla Sacra Congregazione per la  Propagazione della Fede: 1°. Cercare i modi anche nuovi mediante i quali i fedeli cristiani e gli  Istituti missionari, con unione di forze, devono inserirsi nei popoli o  gruppi con i quali convivono o ai quali sono stati inviati (nn. 10 e 11) e  con i quali si deve attuare il colloquio della salvezza.  2°. Istituire gruppi di esperti che studino la concezione dei popoli  sull’universo e sull’uomo, la loro mentalità verso Dio, e diano  prospettiva teologica (n. 22) a quanto vi è di buono e di vero.  Questo studio teologico servirà come necessario fondamento per realizzare  gli adattamenti, compito anche questo al quale devono dedicarsi quei  gruppi di esperti. Tali adattamenti devono riguardare tra l’altro i metodi  di evangelizzazione, le forme liturgiche, la vita religiosa e la  legislazione ecclesiastica (n. 19).  Al fine di perfezionare i metodi dell’evangelizzazione e della catechesi  (nn. 11, 13 e 14), la Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede  promuova una stretta cooperazione tra i principali Istituti Pastorali.  In quanto alle forme liturgiche, i gruppi di esperti dovranno inviare  documenti e suggerimenti al Consiglio incaricato di applicare la  Costituzione sulla Liturgia.  E quanto allo stato religioso (n. 18), ci si deve guardare dal prestare  maggiore cura alla forma esteriore (ad es. il gesto, il vestito, le arti,  ecc.) che non a far propria l’indole religiosa dei popoli e all’assimilare  la perfezione evangelica.  3°. Promuovere nei Seminari, in determinati momenti, riunioni di  Professori per adattare l’orientamento e il programma degli studi e per il  reciproco scambio di informazioni, sentito il parere dei gruppi di esperti  già citati, al fine di provvedere alle attuali necessità della formazione  sacerdotale (n. 16).  4°. Studiare il modo più adatto di distribuire le forze nel territorio  (sacerdoti, catechisti, Istituti, ecc.), soprattutto per ovviare alla  mancanza di forze nelle località ove esistono comunità più numerose.

19. Nella distribuzione dei sussidi dovrà essere riservata ogni anno una  congrua parte alla formazione e al sostentamento tanto del clero locale,  dei missionari e dei catechisti, come pure dei gruppi di esperti citati al  n. 18. I Vescovi invieranno relazioni di tutto ciò alla Sacra  Congregazione per la Propagazione della Fede (nn. 17, 29).

20. Si costituisca debitamente il Consiglio Pastorale; al quale spetta,  secondo il n. 27 del Decreto Christus Dominus, «studiare ed esaminare  tutto ciò che si riferisce alle opere di apostolato, per poi proporre  pratiche conclusioni», e anche cooperare alla preparazione del Sinodo  diocesano e curare l’applicazione degli Statuti del Sinodo (n. 30).

21. Nelle missioni si fondino Conferenze di Religiosi e Unioni di  Religiose alle quali prendano parte i Superiori Maggiori di tutti gli  Istituti della stessa nazione o regione, e mediante le quali si coordinino  le loro attività (n. 33).

22. Si moltiplichino nelle missioni, secondo la possibilità e la  necessità, gli istituti scientifici i quali devono agire di comune  accordo, per coordinare rettamente i lavori di indagine e di  specializzazione, evitando così che nella stessa regione appariscano opere  similari (n. 34).

23. Perché i Vescovi delle nazioni di antica cristianità accolgano come si  deve gli immigrati dai territori di missione e li aiutino con una  conveniente cura pastorale, è necessaria la cooperazione con i Vescovi  delle missioni (n. 38).

24. Quanto ai laici nelle missioni:  § 1. Si esiga la sincera intenzione di servire le missioni, maturità,  preparazione idonea, specializzazione professionale e un conveniente  periodo di permanenza in missione.  § 2. Siano coordinate efficacemente tra loro le organizzazioni dei laici  nelle missioni.  § 3. Il Vescovo del luogo di missione si interessi con sollecitudine di  questi laici.  § 4. Si garantisca la sicurezza sociale di questi laici (n. 41).