L’incertezza di vita è la condizione prevalente in Guinea Bissau, dove all’esito non ancora chiaro del Covid-19 (sono 1400 ad oggi i casi) e alla crisi post-elettorale (il risultato delle urne è stato contestato), si aggiunge l‘emergenza alimentare, acuita dalle prime piogge.

Da dove iniziare per descrivere la realtà di un Paese «che somiglia ad una polveriera?», si chiede don Lucio Brentegani, fidei donum di Verona, a Bafatà da 13 anni.

«Posso solo dirvi che a noi pare di star seduti su una cassa di dinamite pronta ad esplodere – ci spiega al telefono don Lucio – e con queste tre grosse incognite, anche solo pensare a progetti di sviluppo o a degli investimenti nel Paese è quantomeno azzardato».

Partiamo dalla fine: l’ultima delle cause di instabilità è la temporanea crisi alimentare, dovuta all’inizio della stagione delle piogge («siamo alla terza giornata, fortunatamente senza vento, che di solito è così forte da portare via anche le capanne»); al rischio malaria e alle conseguenze del Covid.

Questi mesi di pandemia hanno fermato tutte le attività e il piccolo commercio, ora la gente ne risente per davvero.

«E’ appena finita la raccolta degli anacardi, chiamati caju, e però non ci sono più scorte di riso per le famiglie, è un momento dell’anno molto delicato questo», spiega il missionario.

Proprio ora la vicinanza della parrocchia e della Caritas diocesana a Bafatà fanno la differenza: «Non abbiamo mai arrestato le nostre attività anti-Covid e di distribuzione alimentare – precisa don Lucio – Adesso però entriamo in un’altra fase ancora, e pensiamo al dopo pandemia e alla ripartenza». E’ in cantiere un nuovo progetto di sostegno alle famiglie che sono ai limiti della fame.

Crisi politica in corso

E’ necessaria una buona dose di immaginazione (e di fede) per far ripartire una diocesi in un Paese politicamente fragile, alle prese con un’incognita enorme: il nuovo governo.

«La gente qui pensa alla sussistenza, non ha tempo per la politica», precisa il missionario.

Eppure i vertici politici giocano partite a scacchi rischiosiossime (al di fuori di ogni regola), manipolando il voto dei cittadini.

Dopo la feroce disputa elettorale tra i due contendenti alla presidenza, ad aprile scorso, (Umaro Sissoco Embaló, autoproclamato presidente, ha poi ottenuto la maggioranza al ballottaggio contro il rivale riformista Domingos Simoes Pereira), il Paese attende un rimpasto di governo, poichè l’attuale sembrerebbe non rispettare la maggioranza parlamentare.

«Il 18 giugno  è la nuova data scelta dal presidente per formare un nuovo governo. Se questo non avvenisse è probabile che si sciolgano le Camere. Ma il rischio è di ulteriore accentramento di potere nelle mani di Embalò che finora ha dimostrato una scarsissima empatia con il popolo guineano e un atteggiamento dispotico», argomenta don Lucio.

Basti pensare che in piena crisi pandemica ha «organizzato un viaggio personale in Francia, ufficialmente per cure mediche, ma la gente lo ha visto come un atto di disinteresse verso il Paese in sofferenza».

Embalò è appoggiato da Nigeria, Niger, Senegal e Gambia «soprattutto per motivi etnici – precisa don Lucio –  poichè sono tutti Paesi con leader di etnia Fula».

Ma la scelta di confermare la vittoria al ballottaggio ad Embalò non ha convinto gran parte del popolo guineano e soprattutto continua a non convincere la Chiesa cattolica.

Eppure nel Paese non esiste una vera e propria opposizione, nè c’è mai stata una consistente protesta  popolare che parte dal basso: «La classe intellettuale dissidente è andata all’estero, sono i guineani della diaspora», specifica il missionario. In Guinea è rimasta la parte di popolo più povera e sofferente e anche meno formata a livello culturale.

Infine, l’ultima incognita: quella legata al narcotraffico che per anni in Guinea Bissau ha alimentatilo un “narco-Stato”: il Paese era una via di transito per la cocaina che dall’America Latina arriva in Europa e l’incertezza politica rischia di farlo ripiombare nella gestione militarmente orientata del commercio di droga.

Uno scenario condiviso dal missionario e descritto di recente da World Politics Review che traccia un’analisi molto chiara del pericolo di ritorno al Narco-Stato e ad un commercio di droga eterodiretto (cliccando qui l’articolo), grazie alla stretta vicinanza di Embalò all’esercito e l’appoggio che gode tra tutti i Paesi dell’Africa occidentale.