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Intanto ti presentiamo la storia di Francesco, la cui fotografia ha vinto il concorso del mese di novembre #povertà

 

«Diventiamo quello che scegliamo. Scelte banali portano a una vita banale, scelte grandi rendono grande la vita».

Mi ritrovo nel bel mezzo della pandemia che sta sconvolgendo il mondo, ad ascoltare le parole che papa Francesco rivolge ai giovani in preparazione
alla Gionata Mondiale della Gioventù (GMG) del 2023. E mi sorprendo di quanto profondo sia il loro significato per me, di quanto visceralmente mi tocchi questa spinta di papa Francesco a «non rinunciare ai grandi sogni».

Era il 2018 quando ad agosto partii per lo Zambia. Guardando indietro, non mi sembra vero che siano passati soltanto due anni. Non fu un’esperienza sognata, nata da un particolare percorso o da una meditata riflessione. Io, giovane curioso di scoprire il mondo, partii con l’entusiasmo tipico di qualsiasi viaggiatore che si avventura in un Paese sconosciuto. Partii cogliendo l’occasione di essere accolto da un missionario fidei donum originario del mio paese, don Angelo Bellati.

Trascorsi poche settimane con lui nella parrocchia di Situmbeko, a pochi chilometri dalla capitale Lusaka. La realtà rurale e tranquilla della parrocchia mi permise di vivere la quotidianità dell’accompagnamento, materiale e spirituale, che don Angelo porta avanti con le persone che vivono nel raggio di vari chilometri, sparse nel bush zambiano che circonda la parrocchia.
Una quotidianità segnata da sofferenza e privazioni, ma anche intessuta di grande dignità, di voglia di riscatto e di disponibilità a lasciarsi accompagnare. Mentirei se dicessi che tornai cambiato da quel viaggio. L’esperienza in Zambia fu intensa, toccante, ma anche veloce, superficiale e spensierata.

Tuttavia oggi, voltandomi indietro e ripercorrendo il mio cammino di questi due anni, sono spinto a pensare – e trovo consolazione nel farlo – che, forse, tutto sia nato lì. O che l’abbondante bene seminato dentro di me sia sbocciato lì. Lì, dove per la prima volta ho sperimentato un vero contatto con la povertà. In Zambia c’è odore di povertà, ed è un odore che non si può dimenticare. Lì, dove ho ammirato da vicino la scelta di chi decide di spendere la propria vita a servizio degli altri, senza alcun rendiconto personale. E mi piace pensare che proprio lì sia nato dentro di me quel desiderio, cui ora riesco lentamente a dare un nome, di «non restringere gli orizzonti, o vivere parcheggiati ai lati della vita».
All’esperienza in Zambia sono seguiti inquietudini, dubbi, domande. E scelte. Ma soprattutto desideri; primo fra tutti il voler trasmettere ai giovani, credenti o meno, che si ritrovano come me a vivere in questo tempo, quello che papa Francesco esprime con i suoi incoraggiamenti: «Non siamo fatti per sognare le vacanze o il fine settimana, ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita (…) Gesù sa che se viviamo chiusi e indifferenti restiamo paralizzati, ma se ci spendiamo per gli altri diventiamo liberi. Il Signore
della vita ci vuole pieni di vita e ci dà il segreto della vita: la si possiede solo donandola».

Noi, che abbiamo possibilità inimmaginabili per molti altri nostri coetanei in giro per il mondo, non possiamo permetterci di restringere i nostri orizzonti. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’egoismo che regna nella nostra società. In una realtà che ci spinge costantemente verso ciò
che “ci va di fare”, risuona forte e potente l’invito del papa a chiederci: che cosa ci fa bene?

Se dovessi riassumere in una frase quello che mi ha lasciato l’esperienza in Zambia, direi che mi ha fatto bene. E non significa certo che mi abbia
fatto vivere più tranquillamente: se avessi continuato con la mia vita di prima, senza fidarmi e affidarmi a quel desiderio, probabilmente questi
due anni avrebbero visto meno dubbi e più tranquillità. Ma ora sono persuaso che vale la pena uscire da noi stessi per inseguire ciò che ci riempie e che dà senso al nostro vivere. Vale la pena cogliere le occasioni che ci sono offerte per metterci in discussione, per interrogarci su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Ciò che davvero fa bene è renderci conto che possiamo fare tanto nella nostra vita, se
siamo in grado di dare un nome, e soprattutto un volto, ai desideri che portiamo nel cuore, desideri che ci portano inevitabilmente all’innata (o meglio, donata) necessità di amare.

«Se scegliamo di amare diventeremo felici». La domanda non è «perché vivo?» ma «per chi vivo?». E se la bellezza delle nostre scelte dipende
dall’amore, forse davvero «è il tempo delle scelte forti, decisive, eterne».

Francesco Tenderini