«Come dice il Papa nell’Evangelii Gaudium, dobbiamo “costituirci in uno stato permanente di missione” e non di auto-conservazione.

Il punto è che se anche ne abbiamo consapevolezza, spesso non sappiamo bene come farlo.

Ciò che è emerso stamani è che abbiamo buoni propositi ma non sempre chiarezza sul come portarli a termine».

È necessario dunque ancora di più oggi rispetto a ieri, il «confronto in chiave sinodale».

La riflessione viene da don Michele Autuoro, presidente della Fondazione Missio e vescovo ausiliare di Napoli, che ha presieduto ieri a Roma il Consiglio missionario nazionale assieme al direttore di Missio don Giuseppe Pizzoli.

Dall’assemblea – molto partecipata – sono emerse indicazioni preziose su come ripensare la presenza missionaria della Chiesa italiana, riprendendo la riflessione di monsignor Francesco Beschi al Consiglio missionario nazionale di novembre 2019.

Si è proceduto quindi con i singoli contributi per tracciare un quadro futuro della missione.

«La chiave è la ministerialità vissuta come cammino sinodale – ha precisato don Pizzoli – poiché nessuno di noi ha potere sugli altri ma tutti sono a servizio della Chiesa».

Si è molto insistito anche sulla trasversalità e sulla sinergia con altre realtà ecclesiastiche, prendendo spunto dalle esperienze inter-congregazionali e di collaborazione tra Missio, Caritas e Migrantes.

Suor Antonietta Papa, delle Figlie di Maria Missionarie, Coordinatrice del Progetto UISG Migranti in Sicilia, ha portato l’esempio della missione a Lampedusa dove lei opera in un contesto inter-congregazionale, per l’appunto:

«a Lampedusa non è sempre facile la relazione tra il migrante e la parrocchia – ha detto – però, andando nelle famiglie, si comprende bene che Caritas, Missio e Migrantes sono percepite e vissute come un’unica realtà».

Bene la trasversalità, ha precisato don Autuoro, attenzione però «a non appiattirci troppo sulla carità, dimenticando il nostro specifico di missionari: l’evangelizzazione.

Anche per i migranti che giungono da noi è importante l’accompagnamento».

A questo proposito don Roberto Ferranti, direttore del Cmd di Brescia, ha messo l’accento sulla «complementarietà».

«Quanto siamo davvero complementari come mondo missionario al cammino della Chiesa Italiana? – si è chiesto – O siamo complementari e ci mettiamo del nostro, oppure i nostri desideri rischiano di rimaner tali».

«La missione evangelica è sempre “straordinaria” alla luce dell’inesauribile novità del Vangelo, della vita che ne scaturisce e della meraviglia che suscita.

Il frutto della missione è la “vita nuova”», questo si legge nel testo scritto da monsignor Beschi al termine di quel Consiglio missionario del 2019 attorno al quale si riflette oggi per dar seguito alle sue parole.

«La missio ad gentes ci invita a varcare la soglia – ha spronato Giuseppe Marinaro, rappresentante dei laici per i Cmd delle diocesi del Sud – Da Brancaccio a Scampia, le periferie ci chiamano.

E queste possono essere anche un luogo di formazione missionaria.

Siamo noi che dobbiamo andare incontro agli altri, facendo, ad esempio, animazione di strada».

Suor Giuliana Bolzan, Segretaria nazionale del Suam ha rievocato l’esperienza di alcune parrocchie in Lombardia dove i missionari in una sorta di ‘open mission’ hanno vissuto per una settimana nel tessuto sociale di parrocchie e famiglie.

Da don Nicola Spinozzi, Segretario regionale delle Marche, è giunto l’invito ad «entrare nella concretezza e abbandonare gli slogan che sono belli ma troppo lontani dalla realtà».

In chiusura di questa riflessione Chiara Pallanti, segretaria della Commissione missionaria della Toscana, ha ricordato che se è «vero che ci sono concetti che andiamo ripetendo da molti anni, è anche vero che nella Chiesa esistono cammini sfalsati e il passo agile e veloce della missione è un dono».

Saper attendere il giusto punto di maturazione è una delle qualità della Chiesa missionaria.