“La mia più grande paura è che negli slum di Nairobi arriveremo alla fame. Temo che non siamo preparati ad affrontare il virus, ma non siamo preparati neanche ad affrontare l’emergenza fame, la scarsità di cibo, con la eventuale chiusura completa delle attività”.

A parlarci al telefono da Nairobi, dove vive oramai da anni, è il comboniano padre Renato Kizito Sesana, che illustra le conseguenze di una eventuale diffusione del Coronavirus in Kenya.

Padre Kizito parla anche del rischio chiusura per i progetti di Koinonia, community africana e missionaria, da lui guidata, in cooperazione con Amani, che crea piccole attività generatrici di reddito a Nairobi.

“Abbiamo delle attività gestite da giovani laici keniani, come il ristorante italiano ‘la cantina’ – racconta – se chiudiamo dobbiamo lasciare a casa 12 dipendenti”.

“Questo è un progetto iniziato 20 anni fa, io sono il solo missionario, gli altri sono tutti professionisti tra i 35 e i 40 anni, che si occupano del ristorante, della pensione ecc…Il principale mezzo di sostentamento locale. Abbiamo anche le galline, piccoli allevamenti”.

Le attività danno lavoro ad ex bambini di strada, generando reddito.

“Se chiudiamo ci crolla tutto…Anche se non dovesse esplodere l’epidemia, noi, come tutta la gente locale avremmo il problema di una economia distrutta”.

Ad oggi si registrano 15 casi di persone infette in tutto il Kenya, ma “non ci illudiamo – dice padre Kizito – è possibile che tra tre giorni diventino 100. I numeri sono molto contenuti per ora, ma non ci facciamo illusioni“.

Il timore di una improvvisa esplosione del morbo è l’incubo di queste ore in tutta Africa, dove i casi sembrano generalmente molto al di sotto di quelli europei e asiatici e anche nordamericani. Il Paese africano più a rischio è il Sudafrica con 402 casi e 2 ricoveri, seguito dall’Egitto con 327 casi e l‘Algeria 201. I dati aggiornati in tempo reale vengono dal portale della Johns Hopkins University, che fornisce anche mappe interattive di tutti i Paesi del globo, Italia in testa. In Ruanda i casi sono saliti a 19 e in Tanzania a 12. I governi africani stanno comunque chiudendo le frontiere e bloccando i voli, l’Africa è blindata al suo interno. Ma queste misure potrebbero non bastare.

“Intanto stiamo cercando di dare ai nostri bambini la moringa, una pianta iperproteica per rafforzare le difese immunitarie, che coltiviamo da tempo e volevamo anche farne un piccolo commercio, ma ora non so”, spiega padre Kizito.

La sopravvivenza quotidiana in tempi di pandemia è una priorità in Kenya: “oltre il 50% delle persone che vivono a Nairobi – spiega padre Kizito – se non escono al mattino presto a lavorare, a fare un piccolo commercio, la vendita al mercato, una piccola ristorazione, la sera non hanno di che mangiare”.

La convinzione del missionario, noto anche per i suoi racconti sui “ragazzi di strada”, i senza famiglia dei quali si prende cura, è che “fermare tutto e restare chiusi” è quasi un’utopia.

Spesso manca un luogo fisico dove chiudersi, “figuriamoci in quarantena”, dice; perchè la cosiddetta distanza sociale non può essere mantenuta e perchè “ci sono quelli che una casa neanche ce l’hanno. Non hanno una baracca. Come i ragazzi senza famiglia dei quali mi occupo. Noi qui in missione, se ampliamo i posti letto, possiamo arrivare ad ospitarne 50-60 ma di più non possiamo. E dove vanno?”.

Infine, questa crisi, mette in evidenza la distanza abissale, in Kenya tra chi può proteggersi e chi no.

“Gli espatriati a Nairobi, chi lavora nelle agenzie internazionali, si blindano nelle loro tenute, fanno grosse spese al supermercato e stanno giustamente al sicuro – dice – Vengono fuori le due economie, completamente distinte dei ricchi e dei poveri. C’è chi è tappato in casa e dal punto di vista economico non ha problemi e chi invece è disperato fuori…”.