Al Convegno missionario nazionale dei seminaristi, in corso a Loreto e organizzato da Missio Consacrati, oggi – venerdì 12 aprile 2024 – è stato affrontato il tema dell’andare, riprendendo la seconda parte dello slogan che dà il titolo all’appuntamento “Cuori ardenti, piedi in cammino”.

A guidare i seminaristi presenti, l’intervento di don Gianni Giacomelli, monaco camaldolese del monastero di Fonte Avellana, che non ha usato mezzi termini nel descrivere l’essenzialità della dimensione missionaria: «Una comunità – ha esordito – è credibile solo se è missionaria, altrimenti non è comunità».

E la connessione con il brano evangelico dei discepoli di Emmaus, da cui è estratto il titolo del Convegno, è stata immediata: «I piedi in cammino – ha detto – arrivano alla fine del racconto, dopo i cuori ardenti» che diventano tali solo con l’ascolto delle Scritture. «Un cuore ardente si costruisce, non si improvvisa: ci vuole un lavoro per costruirlo. E’ indispensabile un cambio di sguardo, attraverso l’interpretazione della propria vita con l’ascolto, il discernimento e l’ermeneutica della Scrittura. Non possiamo fare nulla come credenti, discepoli, comunità, come Chiesa, senza la Scrittura».

Senza la Parola, quindi, non c’è ardore del cuore, né piedi in cammino. Ma la vicenda dei discepoli di Emmaus insegna che «i cammini ministeriali, prima di nascere da un cuore ardente, nascono dalle sconfitte e dalla capacità di trasformarle in opere di salvezza».

I discepoli delusi, infatti, tornavano verso Emmaus e cercavano di spiegarsi l’un l’altro cosa era successo, senza riuscire a trovare il senso di ciò che era accaduto. Perché? «Perché per trasformarsi da discepoli a missionari è necessario un cambiamento di sguardo».

Quando si è in cammino, quando si è mandati, inviati, «la prima domanda da farsi non è “dove devo andare?”, ma è “chi sono io?”», ha sottolineato don Giacomelli. Proprio come ha fatto Mosè di fronte al roveto ardente, quando Dio gli ha risposto: “Io sono con te”. L’uomo, quindi, è colui con cui Dio sta. E questa consapevolezza è indispensabile per mettersi in cammino. Gesù lo ricorda esplicitamente ai discepoli di Emmaus.

Ciò significa che «Dio ti manda non per le tue capacità, ma per la capacità che hai di trasformare la tua debolezza in forza», ha spiegato il monaco.

Per essere missionario, quindi, occorre sapere chi sono, quali sono le mie debolezze e sconfitte, cosa mi dice la Parola. Occorre lasciarsi accompagnare da Dio. D’altronde, il primo atto dell’evangelizzazione è l’ascolto, come scrive anche papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. E’ fondamentale, secondo don Giacomelli, «educare, in termini missionari, il seminarista ad ascoltare» perché in primis non si va a portare Gesù, ma a riconoscerlo dove già opera, dove già sta.

Infine un monito per ricordare la centralità della dimensione missionaria anche nella sua vita: «Io sono un monaco e non posso fare il missionario, ma non posso non essere missionario».