«Serve una mistica del vivere assieme, dell’essere comunità: non è sufficiente ‘convivere’ o condividere gli stessi spazi, è necessario ricercare il bene altrui in una dimensione pienamente fraterna».

Il messaggio conclusivo delle Giornate di Spiritualità Missionaria di Assisi (dal 27 al 30 agosto scorsi) è stato affidato al direttore della Fondazione Missio, don Giuseppe Pizzoli, che ha parlato di bisogno di «alimentare la mistica della vita comunitaria». 

Al termine dei quattro giorni di lavori declinati attorno al tema: “Tessitori di Fraternità” – dal punto di vista pastorale, sociologico, economico e teologico – don Pizzoli ha tracciato una sintesi che chiude perfettamente il cerchio.

«Il bene per noi fratelli – ha detto- è ricercare il bene dell’altro; la mistica della comunità è qualcosa che ci induce a mettere il prossimo al primo posto».

Se allora, per dirla con le parole del sociologo don Armando Matteo «parlare di “prossimo” oggi non è più di moda», è pur vero che l’essere cristiani ci dona un antidoto all’egolatria.

Ossia vivere una dimensione genuina dell’esistenza fraterna, passando attraverso intuizioni che il papato di Francesco ci dona in abbondanza, come l’Evangelii Gaudium.

Il direttore di Missio ha precisato che «l’apprezzamento dell’io non è una cosa negativa in sé, non è lontana dal Vangelo, ma lo diventa nel momento in cui ci si dispone a vivere l’esistenza in maniera solitaria».

È proprio qui che si inserisce l’esempio delle prime comunità cristiane, con l’ascolto pieno della parola degli apostoli e l’attenzione alle istanze dei fratelli. 

«Le nostre stesse comunità – argomenta don Giuseppe – spesso hanno bisogno di fare un percorso di conversione: non si tratta solo di offrire servizi o attività ricreative; ma di creare un clima di incontro tra persone che si modella attorno alla parola di Dio».

La strada è quella dell’essere «missionari tessitori di fraternità in casa nostra – dice il sacerdote – e allo stesso tempo definirsi come Chiesa in uscita». Affinché questo anelito «possa contagiare tutti e allargarsi alla società civile».

«La gioia del Vangelo nasce e rinasce nell’incontro con Gesù», dice ancora Matteo, che è docente all’Urbaniana di Roma. “Inclusione” è una delle parole chiave risuonate più spesso alle Giornate di Assisi: in particolare don Augusto Barbi (profondo conoscitore degli Atti degli Apostoli), ne ha parlato in relazione all’episodio di Filippo e l’eunuco, icona «dell’uomo disprezzato e deriso, personaggio marginale». L’eunuco rappresenta tutti gli emarginati della Storia, dice monsignor Barbi. La figura di Filippo è invece «immagine di una Chiesa in uscita che riesce ad includere».

Filippo è «un evangelizzatore interiormente disponibile ad ogni eventualità – ha detto il biblista – Analogamente ogni incontro può per noi essere occasione di dialogo e progresso nella nostra ricerca». La fraternità assume dunque dimensioni universali.

La teologa Giuseppina De Simone, docente alla Lateranense di Roma, ha ribadito che «ogni essere umano è sacro perché amato da Dio.

Ecco perché siamo fratelli: siamo uniti alla radice. Ciò che ci rende fratelli è la vita di comunione in Dio. La fraternità ci è data e ci precede. È ciò in cui siamo posti in essere». È come il «marchio di fabbrica che ci portiamo addosso».

In quest’ottica non c’è crisi epocale che non possa essere affrontata insieme. «Chi fa esperienza della paternità di Dio – ha detto anche monsignor Ezio Falavegna, Docente alla Facoltà Teologica del Triveneto – sa apprezzare il volto della diversità di ogni cultura e ogni fede».

Che stile di fraternità mettere in atto, dunque? «Nella preghiera per eccellenza, il Padre Nostro – ancora Falavegna – Matteo non si limita all’invocazione ‘Padre’ ma ci insegna a dire ‘nostro’».

Ecco la chiave: Dio è padre di ognuno e di tutti, ed ogni volta che lo invochiamo la nostra fraternità si potenzia in Lui.

In quest’ottica persino la pandemia è occasione di crescita comunitaria. «La pandemia è stata uno tsunami – ha precisato la salesiana economista, suor Alessandra Smerilli- e ha amplificato le differenze economiche, di genere, lavorative, ma ci ha anche fornito lo stimolo per “sguardi nuovi”».

Sappiamo che «buona parte di ciò che ci aspetta dipende da come ci porremo: come cristiani abbiamo la responsabilità di non perdere la speranza  e di essere tessitori di fraternità; non possiamo cadere nelle logiche di divisione».

Infine, con la sua brillante relazione sull’icona biblica del cieco di Gerico, don Nicola Agnoli, docente allo Studio Teologico San Zeno di Verona, ha esortato a tornare a «vedere nuovamente».

Come Bartimeo, che chiede a Gesù «non la vista», ma «di ottenere ‘di nuovo’ la vista», noi fratelli possiamo chiedere «di vedere in modo nuovo», per una prospettiva inedita sul mondo.