Il 24 marzo siamo chiamati a celebrare i “missionari martiri”, cioè coloro che, nella fede, hanno manifestato la parresìa, il coraggio di osare, nelle periferie geografiche ed esistenziali del mondo e del tempo, perché “Chiamati alla vita” e non alla morte.

Un’espressione, questa, forte e diretta, che quest’anno è stata scelta dalla Fondazione Missio come slogan per la 26esima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri.

In questa logica divina sovvertita il richiamo alla vita (alla testimonianza, alla coerenza, alla bellezza e forza della verità) si manifesta, se necessario, persino con la morte.

Poiché, se per evitare la morte si ricorresse al ‘tradimento’ della Parola di Gesù, non ci sarebbe vera vita ma semplicemente un lento spegnersi. Questa inevitabile coerenza con la vita vera i nostri missionari la manifestano di continuo.

Una gratuità che rende davvero intelligibile la parola forte di Dio. Sulla croce Gesù riafferma che il disegno del Padre è l’unità della famiglia umana, che sperimenta la condivisione e vive la riconciliazione come unico gesto capace di generare pace e giustizia e di radunare attorno a sé tutti i popoli.

Ecco perché i missionari vengono perseguitati e uccisi, perché portatori di un Vangelo che continua, oggi e da sempre, a capovolgere le logiche umane fondate sull’egoismo e sull’ingiustizia. Dietro il martirio sembra quindi esserci una “pedagogia” fatta di imitazione: ossia si impara vedendo gli altri.

Se il martire ha dato la propria vita perdonando è perché ha visto il suo Dio fare lo stesso per lui.

Nel 2017, secondo i dati forniti dall’agenzia missionaria Fides, sono stati uccisi nel mondo 23 missionari: 13 sacerdoti, un religioso, una religiosa e otto laici.

Secondo la ripartizione continentale, per l’ottavo anno consecutivo, il numero più elevato si registra in America, dove hanno perso la vita 11 operatori pastorali (otto sacerdoti, un religioso, due laici), cui segue l’Africa, dove sono caduti 10 operatori pastorali (quattro sacerdoti, una religiosa, cinque laici), mentre in Asia sono stati uccisi due operatori pastorali (un sacerdote, un laico).

Dal 2000 al 2016, sempre secondo Fides, sono stati uccisi nel mondo 424 operatori pastorali, di cui cinque vescovi.

Ormai da tempo, esso non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma include nell’elenco tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, di cui si è avuta notizia, anche non espressamente “in odio alla fede”.

«I martiri sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli, i media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo! Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo… Pensiamo a questi fratelli e sorelle che soffrono il martirio!».

Queste parole, pronunciate da papa Francesco durante la messa mattutina a Santa Marta in Vaticano il 30 gennaio di due anni fa, ci introducono magistralmente al tema e alla giornata che stiamo per celebrare.

Raccogliamoci meditando e pregando, entriamo anche noi in quest’ottica non di sacrificio ma di salvezza piena.

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