Aveva individuato la polmonite killer, causata da un virus partito dalla provincia di Gandong in Cina e protocollato come Severe acute respiratory syndrom, più noto come Sars Cov.

Era il 2003 e nessuno poteva immaginare gli scenari futuri della pandemia mondiale del Covid 19. Ma Carlo Urbani, infettivologo tra i più esperti al mondo, ucciso il 29 marzo di 17 anni fa a Bangkok dal Coronavirus che aveva scoperto, aveva già messo a punto alcune misure di prevenzione e cura che anche dopo la sua morte riuscirono a contenere il numero dei contagi e delle vittime.

“Se non riusciamo a fermare il contagio, questa nuova malattia sarà una nova Spagnola“, aveva detto ai colleghi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)per cui lavorava nel Sud est asiatico, poco meno di un mese prima di ammalarsi.

Nell’ospedale di Hanoi dove era stato inviato dall’OMS (dopo essere stato in missione per molti anni con Medicins sans frontieres (era presidente della sezione italiana e nel 1999 ritirò il Nobel per la pace assegnato a Msf) aveva infatti visitato il “paziente 1”, un uomo d’affari americano colpito da una polmonite atipica.

Urbani fa subito partire l’allarme all’OMS e la richiesta di adottare tempestivamente misure di quarantena per evitare il contagio ad altri Paesi. Durante un volo da Hanoi a Bangkok Carlo è assalito da febbre alta e sintomi respiratori e chiede ai colleghi di essere immediatamente ricoverato in quarantena all’atterraggio.

Ai medici che lo curano chiede gli vengano prelevati campioni di tessuto polmonare da analizzare per la ricerca di farmaci efficaci.

Muore dopo qualche giorno a 46 anni, lasciando la moglie Giuliana e i tre figli piccoli Tommaso, Luca e Maddalena.

Nato a Castelplanio nelle Marche nel 1956, Urbani ha dedicato la sua vita a garantire la salute per tutti, combattendo per dare ai più poveri accesso a cure e farmaci in Africa, in Etiopia, Mauritania, e poi in Asia, in Cambogia, Laos Filippine e Vietnam. Carlo era davvero una persona speciale, come testimoniano le parole dei suoi cari.

La madre diceva che “era umile, schivo, non amava che si parlasse di lui, ma era una voce che si levava per difendere i diritti dei più poveri. Carlo è stato un uomo di pace, un testimone della pace che si trasmette agli altri”.

E il figlio Tommaso ricorda: «Mio padre è stato spesso chiamato eroe. Non sono d’accordo. Mio padre è stato un medico, un uomo che si è messo a disposizione dei più bisognosi. Ma non è l’unico. In tutto il mondo ci sono persone che rischiano la loro vita per aiutare i più deboli, i più sfortunati. Questo non va dimenticato».