Don Alberto Reani è un missionario della diocesi di Verona che vive in un villaggio dei Pankararu, una delle 13 popolazioni indigene dello Stato di Pernambuco, nel Nord-est del Brasile. Quando racconta della realtà in cui abita da anni, precisa subito che non tutti gli indigeni sono letteralmente isolati: alcuni sì, per scelta o per particolari condizioni geografiche, ma moltissimi no, poiché tanti vivono in città o campagne insieme al resto della popolazione non-indigena.

La pandemia da Coronavirus, pericolosa per chiunque, lo è ancora di più per gli indigeni isolati da tutto e tutti: questi, infatti, oltre ad essere più esposti al contagio, non hanno neanche i farmaci e la possibilità di accedere alle cure.

In Brasile la diffusione del Coronavirus mette paura. Il fatto che il virus colpisca maggiormente gli anziani, qui è una sofferenza doppia: nella tradizione indigena, infatti, sono loro i conoscitori della cultura.

Addirittura, racconta don Alberto, i professori pankararu sono soliti «inviare gli alunni nelle case per fare ricerche e interviste agli anziani: un modo per conoscere la storia, i costumi e le tradizioni. Perdere un anziano è impoverire la comunità e la saggezza della popolazione».

Tutti si domandano fino a quando la situazione potrà continuare, ma non si ha risposta. Qualcuno, però, comincia ad aprire il dibattito sul legame tra pandemia, ecologia, economia e lavoro.

Incontro dell’Associazione dei Popoli Indigeni, Nord-est del Brasile.

Don Alberto racconta che anche tra i Pankararu la vita pastorale sta riprendendo, ma sono allo studio le modalità, essendo troppo pericoloso incontrarsi di persona in quanto il virus continua a girare. Certamente non tutti hanno le stesse opportunità di collegamento web ed è quindi fondamentale che le diverse comunità si organizzino per non lasciare nessuno escluso dall’incontro virtuale.

Per decidere il da farsi, in queste settimane don Alberto e la sua équipe stanno visitando di persona le varie comunità pankararu per incontrare i responsabili: «E’ un momento molto bello e interessante, quello che stiamo vivendo, che mi fa pensare a ciò che nella Chiesa oggi chiamiamo “sinodalità”: discutere sui problemi, permettere che tutti dicano la propria opinione, decidere insieme. Le riunioni – racconta don Alberto Reani – cominciano alle otto della mattina e finiscono all’una o alle due del pomeriggio, con qualcosa da mangiare. Mentre uno parla, tutti ascoltano, poiché, come dice il capo-villaggio, “non puoi mettere in bocca la farina e fischiare allo stesso tempo”. Prima di ascoltare i presenti, i responsabili sanitari aggiornano la popolazione sulla situazione contagi».

Ad oggi il bollettino dice che in una popolazione di 6.300 persone, solo qualche decina è stata contagiata.

«Il pericolo, però, ancora sussiste – precisa il missionario – visto che nelle città vicine ogni giorno ci sono nuovi casi, e la media nazionale è di quasi 800 morti al giorno. Tra i Pankararu, dobbiamo ringraziare i giovani che si sono resi disponibili fin da subito a fare barriere sanitarie e controlli di sensibilizzazione con la gente. I responsabili per la sanità indigena hanno bussato di casa in casa per informare su igiene e prevenzione».

Durante questi mesi «la vita delle comunità cristiane si è basata principalmente sulla buona volontà di chi pregava in casa, collegandosi via web, in famiglia o con pochi vicini. Questo fenomeno, in un certo senso, ha aperto e moltiplicato le chiese: ogni casa è diventata una chiesa. La Parola di Dio e lo Spirito che guida la Chiesa alimentano la fede», conclude don Reani.

(Per il dossier completo si legga il Ponte d’Oro di settembre, anche richiedendo una copia gratuita)