Ad un mese dall’esodo di decine di migliaia di persone, in fuga dagli attacchi di Boko Haram al confine tra Nigeria e Camerun, l’emergenza umanitaria non si placa.

Sono oltre 40mila, secondo l’Unhcr, i rifugiati arrivati a Goura, in Camerun, provenienti dal villaggio di Renn, in Nigeria.

A parlarne con noi al telefono è fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, che coordina gli aiuti umanitari della Caritas della diocesi di Yagoua in Camerun. «Migliaia di persone, fuggite da Rann, si sono installate su un ampio terreno brullo del demanio pubblico di Goura, che dista appena quattro chilometri dal confine con la Nigeria – spiega fratel Mussi – e la suddivisione è per gruppi etnici. I pochi arbusti della zona sono serviti a fare da sostegno ai teli forniti dall’Agenzia Onu per i Rifugiati; chi non ha ricevuto niente, ha utilizzato delle coperte o dei vestiti per avere un riparo.

Bisogna tener presente che questa è la stagione secca, caratterizzata da forti venti del vicino deserto del Sahara che porta malattie respiratorie ed epidemie come la meningite».

Tutto è iniziato il 26 gennaio scorso, quando migliaia di persone hanno dovuto attraversare il confine tra i due Paesi spinte dall’urgenza Boko Haram, e arrivare nel primo centro ritenuto sicuro,  nel comune di Makari, Regione di Logone e Chari, all’estremo nord del Camerun.

«Il motivo dell’incursione dei terroristi di Boko Haram non è né etnico né specificamente religioso – ci spiega fratel Mussi – ma molto probabilmente legato alla necessità di occupare fisicamente delle porzioni di territorio ed allargare così la presenza del gruppo,  in vista dell’esito elettorale».

L’appuntamento con le urne in Nigeria, per eleggere il nuovo presidente e i componenti dell’Assemblea Nazionale – Camera e Senato –  è stato il 23 febbraio scorso, appena due giorni fa, ma il risultato finale del voto è ancora da definire.

In ogni caso il gruppo terrorista ha cercato di assicurarsi una maggior influenza sull’area, potenziando sia il numero dei militanti che il possesso di armi.

Il missionario ci spiega che quelle al confine sono «sempre zone ad alto rischio. Anche il campo allestito a Goura non è esente dal pericolo di incursioni di terroristi di Boko Haram, che presidiano le aree tra Camerun e Nigeria. Io stesso mi sposto sempre scortato: per effettuare missioni e sopralluoghi in queste zone bisogna avere dei permessi rilasciati dalle autorità».

Durante quest’ennesimo attacco, a Rann, alcuni elementi di Boko Haram durante la fuga hanno costretto gli uomini ad unirsi al gruppo armato, pena l’uccisione.

Eppure decine di persone di sesso maschile, di tutte le età, con ogni probabilità coloro che si erano rifiutati di aderire al gruppo, sono stati uccisi durante l’assalto.

«Questo attacco è stato il più feroce degli ultimi tempi – racconta Mussi – e ha richiesto un intervento delle agenzie Onu, ma ci sono molte altre zone vulnerabili, soprattutto attorno al lago Ciad che continuano ad essere sotto tiro di Boko Haram. A Darak circa 8mila bambini sono a rischio malnutrizione». 

La popolazione di rifugiati del sito di Goura è composta da persone di etnia araba, kanuris, kotokos e altre. «Ad un’attenta osservazione si nota che il gruppo è composto in modo schiacciante da donne, bambini e anziani», conferma Mussi.

Le organizzazioni umanitarie, tra cui le agenzie Onu e anche la Caritas, si sono immediatamente attivate per affrontare questa nuova crisi umanitaria, mentre l’area della città di Rann rimane ancora assediata dalla setta Boko Haram. 

«Sono due gli interventi prioritari che stiamo portando avanti al campo di Goura, entrambi di natura sanitaria – ci spiega Fabio Mussi – il primo è a favore dei bambini malnutriti, sono circa 2mila i bambini presenti al campo. Il secondo intervento è una campagna di vaccinazioni contro la meningite che affligge l’area. Successivamente penseremo a delle perforazioni per l’accesso all’acqua  potabile».

Ciascun intervento vede unite le forze della Caritas della diocesi di Yagoua.

Infine il missionario precisa che Boko Haram è più pericolosa di quanto non appaia agli osservatori occidentali: «Ci stiamo illudendo tutti – spiega – che si tratti di piccoli gruppi mal coordinati, ma in realtà da 4 anni imperversano andando contro le forze armate di ben 4 Paesi; sono mobili e ben armati».