Si è concluso sabato scorso il Corso di lingua italiana organizzato al CUM di Verona.

Ascoltando i 25 partecipanti in presenza, si incontrano storie davvero incredibili.

Come quella di padre Fidele Macara, della congregazione dei Padri Bianchi, nato a Bukavu, in Repubblica Democratica del Congo. «Sono qui al CUM per perfezionare l’italiano per poi frequentare corsi al Pontificio Istituto di Islamistica a Roma. Ho lavorato in Sudan, a Khartoum, in una parrocchia gestita da noi Padri Bianchi».

Cosa significa operare a Khartoum, chiediamo. «Significa avere un continuo e quotidiano confronto con l’islam, ovviamente. La nostra parrocchia dà supporto anche a molti sfollati che arrivano nella capitale sudanese da altri posti dell’Africa in guerra o dove le condizioni sono veramente difficili, come la Somalia o il Centrafrica. Le condizioni di accoglienza di queste persone non sono certo facili. Hanno bisogno di tutto, noi offriamo quello che possiamo».

C’è poi fratel Adrian Fernandez, clarettiano paraguaiano, in Italia per studiare teologia fondamentale. Gli abbiamo chiesto se non pensa che sia atipico per un fratello studiare teologia fondamentale. «Sì, in effetti lo è. Di solito i fratelli si occupano di altro. Ma i miei superiori hanno visto in me una persona adatta a studiare e poi insegnare teologia nel nostro centro di Cordoba, in Argentina». Cosa hai fatto finora? «Ho lavorato in Paraguay, Paese dove provengo, nella pastorale giovanile e in vari progetti sociali».

Padre Paul Reilly, padre bianco statunitense, ha operato negli ultimi otto anni in Etiopia, nel Tigrai.

«Da quando è iniziata la guerra, è iniziato anche il nostro calvario. Mancava tutto: la luce, gli alimenti, ogni tipo di servizio, anche il collegamento internet. Noi abbiamo fatto la scelta di rimanere con la gente, fino a che i guerriglieri sono entrati nella nostra missione, hanno rubato tutto, ci hanno obbligato a salire sui nostri mezzi e ci hanno intimato di fare noi gli autisti per loro. Sono stato sequestrato per tre giorni, ho fatto il loro autista trasportando tutto in Eritrea, guidando giorno e notte, passando per Adigrat. Liberati, abbiamo dovuto forzatamente abbandonare la missione. Oltre alla nostra vita, mettevamo a rischio anche la vita delle nostre comunità».

Padre Israel José Ndumbu è un clarettiano angolano con esperienze pastorali e di studio in Camerun. È in Italia per studiare teologia e poi tornare tra i suoi giovani in Angola. «I giovani hanno bisogno di Dio?», gli chiediamo. «I giovani in Africa cercano tantissimo Dio e la Chiesa ha bisogno di persone competenti che li sappiano indirizzare attraverso la vita nel compimento di scelte quotidiane».

Don Philemon è un sacerdote della diocesi di Sarh in Ciad che inizia una cooperazione tra le Chiese con la diocesi di Vittorio Veneto. «Sono qui come fidei donum, frutto di uno scambio tra due Chiese. In Ciad seguivo delle comunità di base, qui mi metto a disposizione: prima devo impratichirmi nella lingua, poi vedremo. Vengo da esperienze pastorali coinvolgenti: la gente in Ciad è poverissima, ma ha una grande vitalità pastorale. E poi la politica: con la situazione che abbiamo di stallo dopo l’uccisione del presidente, come cattolici non possiamo stare zitti, dobbiamo far sentire la nostra voce, come stanno facendo i vescovi».

 

(Nella foto di apertura: Il gruppo dei corsisti in visita al Santuario Madonna della Corona)